Corriere della Sera, 30 settembre 2025
Salvare il pianeta dagli ambientalisti
C’era una volta una ragazza svedese di quindici anni che, con un cartello in mano davanti al Parlamento di Stoccolma, riuscì a scuotere governi e imprese. Greta Thunberg, con il suo «sciopero per il clima», trasformò un tema tecnico e scientifico in un movimento globale. Per la prima volta l’emergenza climatica smetteva di essere monopolio di esperti e veniva percepita come questione di tutti. E sono nati i «Friday for the future» che hanno mobilitato migliaia di giovani contro il riscaldamento globale. Assieme a scienziati, intellettuali ed accademici, sono stati i protagonisti di quello che, nel saggio «Le grandi ipocrisie sul clima» scritto con Luca D’Agnese, abbiamo chiamato il «triangolo della sostenibilità»: hanno spinto la politica (il secondo vertice del triangolo) a prendere sul serio la transizione energetica con il protocollo di Kyoto poi sfociato in politiche di incentivi per il terzo vertice, le imprese più innovative nelle fonti rinnovabili(per esempio la nostra Enel) e auto elettriche (per esempio Tesla).
Quella Greta non esiste più da anni. Al suo posto c’è oggi una leader che ha trasformato la battaglia per la sopravvivenza del pianeta in un’arena estremista ideologica che mescola capitalismo, diseguaglianze, gender gap, colonialismo, antisionismo. Così da anni è avvenuta la metamorfosi dei Fridays for Future e degli ambientalisti di tutto il mondo: da piattaforma intergenerazionale contro il riscaldamento globale a megafono di un’agenda politica di estrema sinistra per terzomondisti, sostenitori del capitalismo «woke» (risvegliati capitalista, il razzismo esiste ancora!), Lgbt.
Non ci sono solo gli ambientalisti attivisti che protestano per le strade (o in mare). Ad Harvard, una volta tempio del capitalismo e meritocrazia, non si può essere a favore del clima senza essere anche a favore della Dei (Diversity, Equity and Inclusion) e le imprese devono smettere di pensare solo ai profitti e preoccuparsi di ambiente e sociale. È il capitalismo woke secondo il quale la crescita economica non è compatibile con la sostenibilità ambientale e sociale. Le imprese devono essere misurate anche in base a quanto sono «buone», dove la «bontà» è rappresentata da centinaia di metriche che devono essere riportate secondo i criteri Esg (environment, social e governance ). Tutto ciò ha fatto esplodere una colossale burocrazia anche in Europa che oggi opprime le imprese e le distrae dalla innovazione. Ed è sorta una grande ipocrisia da parte di banche e imprese che si «lavano la faccia» col verde, il sociale e il rosa della parità di genere (green washing, social washing e pink washing).
Oggi gran parte del mondo non dà troppo peso alla freedom flotilla di Greta e alla sua ideologia. Molti tra gli stessi ambientalisti iniziano a guardarla con sospetto: i Fridays for Future tedeschi si sono dissociati dalla fondatrice del movimento.
Il problema è un altro: la ideologia estremista anticapitalista e il mantra della «sostenibilità» hanno aperto una autostrada a un grande nemico della lotta al clima.
Donald Trump ha sempre disprezzato Greta definendola nel migliore dei casi una «profeta di sventura incapace di gestire la propria rabbia». Ha sempre negato l’emergenza climatica che definisce una «frode inventata dai cinesi e dai democratici». Secondo l’Economist, la sua vittoria nel 2016 è stata favorita dalla discesa in campo di Jill Stein, leader dei verdi che oltre al tema dell’emergenza climatica proponeva però anche una piattaforma ideologica basata su «la fine della povertà», «giustizia razziale», «pace e diritti umani». È stato facile per Trump fare appello alla società civile americana che non si ritrova in queste idee per sostenere che la battaglia verde non è più una questione scientifica, ma politica. E milioni di cittadini, confusi e disillusi, finiscono per crederci. Negli Usa come in Europa.
Gli errori
Il 2025 rischia di essere ricordato come l’anno in cui si rischia di buttare al vento 30 anni di progressi contro l’emergenza climatica
In questi mesi sta avvenendo ciò che avevamo previsto nel nostro saggio: il rischio che si buttasse il bimbo (la lotta alla emergenza climatica) con l’ acqua sporca (estremismo ideologico di sinistra, capitalismo woke, burocrazia delle imprese per la sostenibilità). Così il 2025 rischia di essere l’anno in cui si rischia di buttare al vento 30 anni di progressi contro l’emergenza climatica.
Il dramma è che anche i paladini del capitalismo duro e puro che cavalcano la attuale crisi di rigetto della transizione energetica denunciandola come una bufala della sinistra non si rendono conto di quanto la lotta al clima sia legata allo sviluppo economico perché ignorarla costerà moltissimo e affrontarla crea grandi opportunità di creazione di valore: Elon Musk è diventato l’uomo più ricco del mondo grazie alla Tesla.
Come se ne esce?
È necessario un risveglio della società civile e di attivisti. Greta oggi si guadagna un minimo di visibilità andando a Gaza con la flotilla e non parlando più di clima e i suoi Friday for the future sono diventati un Friday for the past.
Abbiamo bisogno di una nuova generazione di attivisti che non cerchino solo occasioni di protesta contro il fossile, il capitalismo, Israele, ma suggeriscano soluzioni informate e pragmatiche. Devono diventare adulti, mandare in soffitta i sit-in e le flotille e discutere di politiche più intelligenti, non semplicemente «verdi»: di come fare tante energie rinnovabili senza pagare un prezzo eccessivo, di come preoccuparsi non solo della riduzione di CO2 («mitigazione») ma anche dell’«adattamento» a un pianeta che sappiamo non rispetterà l’obbiettivo di +1 grado e mezzo ecc...
Oggi abbiamo bisogno di ben altro che di una Greta che guida la freedom flotilla verso Gaza.