La Stampa, 29 settembre 2025
Crescita green
L’economia verde subisce l’ennesimo attacco da parte di Donald Trump, che nel suo intervento all’Onu l’ha definita un freno allo sviluppo economico. Non la pensa allo stesso modo l’altra metà del mondo né gli istituti finanziari. Salito sullo stesso palco del Palazzo di vetro venerdì scorso, il primo ministro cinese Li Qiang ha chiarito che il suo governo non ha intenzione di fare marcia indietro. Anzi, ha ribadito che la Cina è tuttora «impegnata verso lo sviluppo verde e a basse emissioni di carbonio». Non si tratta solo di dichiarazioni di principio. Per quanto rimanga il primo Paese per emissioni fossili al mondo, Pechino ha sviluppato un’industria verde negli ultimi vent’anni attraverso massicci investimenti statali ed è oggi uno dei luoghi a cui guardare per capire se il green genera crescita. Nel solo 2023, il Paese ha investito circa 890 miliardi di dollari nel settore verde, un ammontare che ha contribuito per il 40% alla crescita del Pil nazionale. Come ricostruito dal sito specialistico Carbon brief, senza questo apporto, la crescita economica cinese sarebbe stata del 3% anziché del 5,2% effettivamente registrato.
Le analisi delle principali istituzioni finanziarie internazionali confermano questa tendenza su scala globale. In un articolo scientifico intitolato Building back better, che analizza i moltiplicatori di crescita per la spesa in materia green, il Fondo monetario internazionale ha calcolato che gli investimenti in energia pulita generano fino a tre volte la crescita economica dei combustibili fossili, con un impatto che aumenta leggermente anno dopo anno. Secondo il Network for Greening the Financial System, che riunisce un gruppo di Banche centrali di tutto il mondo, una transizione ordinata verso la neutralità carbonica entro il 2050 potrebbe aumentare il Pil globale del 7% rispetto alle politiche attuali. «Gli investimenti in tecnologie che usano soprattutto combustibili fossili, generano per ogni dollaro investito un reddito compreso fra 0,5 e 0,6 dollari», spiega Mario Noera, docente di Banking and Finance all’Università Bocconi e associato senior sulla finanza sostenibile per il think tank sull’ambiente Ecco, con cui ha pubblicato su questi dati il volume “Strumenti per il nostro futuro: sostenibilità climatica e mercati finanziari”. «Le energie verdi invece, proprio perché sono innovative, richiedono molta ricerca e attivano filiere produttive nuove, ne creano uno e mezzo, quindi tre volte tanto». Nell’Unione europea i dati mostrano che negli ultimi trent’anni le emissioni nette sono diminuite del 37%, mentre il Pil Ue è cresciuto del 68%. Secondo gli obiettivi fissati da Bruxelles, il blocco deve raggiungere entro il 2030 una quota del 42,5% di energia da fonte rinnovabili, con l’obiettivo di puntare al 45%. Ma oggi è sotto gli obiettivi di 1,5 punti percentuali. Quello che ancora non si è riusciti a fare è proprio attivare in modo efficace filiere europee. «Bisogna cambiare la tecnologia e fare in modo che sia circolare: produrre l’acciaio con forni alimentati a elettricità e non a gas, e a sua volta l’elettricità deve provenire da rinnovabili: sono esempi semplici ma non siamo ancora riusciti a renderli realtà», dice Noera. «Bisogna fare in modo che i trasporti siano alimentati elettricamente o a idrogeno, ma l’idrogeno non è ancora maturo». Rimane poi il nodo dell’energia di uso domestico, tra le prime cause di inquinamento. «Usare le pompe di calore elettriche renderebbe più efficiente il riscaldamento, e l’energia utilizzata dovrebbe essere prodotta con rinnovabili anziché fossili».
Se poi Trump ritiene che l’economia verde freni la crescita non ha chiaro quanto si risparmierebbe solo evitando le catastrofi dovute all’emergenza climatica. Lo ha sottolineato poche settimane fa Axel van Trotsenburg, senior managing director della Banca Mondiale: «Il degrado ambientale e l’inquinamento – ha detto – stanno minando le performance economiche in tutto il mondo». Secondo l’ultimo rapporto della World Bank diffuso a settembre, gli effetti della siccità generano un danno di 379 miliardi di dollari, pari all’8% della produzione agricola globale. La deforestazione riduce le precipitazioni con un costo di 14 miliardi di dollari all’anno solo per la regione amazzonica. L’impatto di tutto questo si riflette anche sul costo della vita. A causa del collasso ambientale, la Bce stima aumenti dell’inflazione di 1-3 punti percentuali entro il 2035 e, per pensare ad alimenti nella vita di tutti i giorni, le quotazioni di caffè e cacao sono tra gli esempi più evidenti, con valori aumentati fino al 70% negli ultimi due anni. «Non sono soltanto gli effetti delle alluvioni, degli incendi e dei vari disastri naturali, che tra l’altro si stanno rendendo sempre più frequenti. Ma anche degli effetti permanenti, intere zone del pianeta diventano improduttive: basti pensare alle magre del Po: nelle estati di siccità, fanno risalire acqua salata nel delta e rendono infertili molte terre».
Le proiezioni non lasciano margini di immaginazione. «Le principali istituzioni del mondo convergono sulla misurazione degli effetti della crisi climatica – spiega Noera –, se non governata può distruggere fra il 6 e l’8% del Pil globale». Sulla scia delle opinioni trumpiane, perfino le banche europee hanno fatto marcia indietro Net Zero Alliance, l’unione degli istituti per la finanza green, che ha visto banche come Ubs (svizzera) e le britanniche Hsbc e Barclays rinunciare al posto in tavola seguendo gli abbandoni di JpMorgan, Goldman Sachs e altri giganti dell’alta finanza americana. Tuttavia i mercati stanno riallocando grandi risorse verso la transizione. Secondo il World Energy Investment 2025 dell’International Energy Agency (Iea), gli investimenti globali nel settore energia raggiungeranno 3,3 mila miliardi di dollari nel 2025, di cui circa 2,2 mila miliardi destinati a tecnologie pulite (rinnovabili, reti, stoccaggio, nucleare, efficienza energetica) – il doppio degli investimenti in fonti fossili stimati per lo stesso anno. Nel suo ultimo intervento pubblico, in occasione dell’anniversario della presentazione del rapporto sulla competitività dell’Ue, l’ex presidente della Bce Mario Draghi ha sottolineato che la spinta globale alla decarbonizzazione è anche un’opportunità di crescita per l’industria europea, e che servirà anche a reggere la concorrenza, soprattutto della Cina. Per Noera, la trasformazione in corso è paragonabile a rivoluzioni tecnologiche del passato. «Se c’è un processo di cambiamento tecnologico epocale, come quello che è l’elettrificazione e la decarbonizzazione, è equivalente al passaggio dalla trazione a cavalli a quella a vapore avvenuto tra fine del 1800 e inizi del 900. Quindi richiede investimenti infrastrutturali, cambiamenti molto profondi, ma poi il salto di qualità dell’economia è enorme».