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 2025  settembre 29 Lunedì calendario

"Tornare tra i pali a 82 anni nessuno può imitarmi Il mio calcio era romantico"

«Imitare quello che ho fatto io è impossibile. Mi sono “ammazzato” di allenamento e sana alimentazione per tutta la vita». Lamberto Boranga è schietto quando gli si chiede il segreto della sua eterna giovinezza, dopo averlo rivisto per l’ultima volta in campo. A 82 anni è tornato a indossare i guantoni per difendere la porta della Trevana, squadra di Prima categoria umbra, dove aveva iniziato da giovane negli Anni ’50. Da lì l’ascesa: l’esordio in Serie A con il Perugia, il trasferimento alla Fiorentina, gli anni al Cesena e una carriera sportiva mai terminata veramente con le medaglie conquistate nell’atletica senior. Senza dimenticare la laurea in medicina. Ieri contro la Vis Foligno il ritorno non è stato dei più fortunati, almeno per il risultato. Con la sconfitta per 10-0, la Trevana si è confermata ultima in classifica. Ma Boranga, nonostante le cinque reti subite nel primo tempo prima di uscire, è comunque felice di aver «riassaporato il campo».
Boranga, a 82 anni sul rettangolo verde. Ma come ha fatto?
«Questione di carattere, ma ho scelto con coscienza. Faccio le cose che posso non benissimo come una volta, ma ci provo ancora. Prima di oggi la squadra ha fatto tre partite, zero punti e dieci gol, volevo fare meglio».
Non è andata benissimo, ha preso cinque reti in un tempo, per non parlare del secondo.
«Non ho fatto grandi errori. Due volte ero vicino a prendere il pallone, ma non ce l’ho fatta. Il Boranga di qualche anno fa le avrebbe prese».
Insomma, poteva fare di più anche lei, non solo la difesa.
«Loro davanti erano in forma: avevano tre attaccanti che non riuscivamo a tenere a bada, soprattutto in contropiede».
Non è stato rischioso per una persona di 82 anni giocare in porta? Si è dovuto anche tuffare.
«Se devo dirla tutta, mi sono già fatto male prima della partita. Ho una costola un po’ scollata, a causa di un tuffo su un pallone. Ma è un problema risolvibile anche per una persona della mia età».
Ha sempre giocato tra i pali?
«Da ragazzo ero un attaccante nella Trevana, ma segnavo troppo (ride, ndr). Di conseguenza a metà campionato mi hanno messo in porta».
Non è che ora punta alla Nazionale?
«Vedendo come sta andando negli ultimi anni ci potrei fare un pensierino. Magari ho qualche chance. In passato mi stavano per convocare».
Ovvero?
«Nel 1977 Fulvio Bernardini, all’epoca commissario tecnico azzurro, venne a trovarmi a Cesena e mi confessò: “Volevo chiamarti come terzo portiere dopo Dino Zoff ed Enrico Albertosi, ma alla fine ho scelto un atleta più giovane: Ivano Bordon"».
Anche all’epoca era «vecchio» rispetto agli altri compagni.
«Macché, gli chiesi di non essere convocato perché dovevo studiare per gli esami all’università. Anche lui era laureato, capì l’importanza dell’impegno accademico e non mi convocò mai».
Torniamo al campo. Questa è la quarta sconfitta consecutiva e la Trevana è fanalino di coda del Girone C. Ha dato qualche consiglio all’allenatore?
«No, sono una persona corretta che rispetta le gerarchie. Non mi cambia nulla se gioco o meno».
Sempre rispettoso dei ruoli.
«L’ho sempre fatto con tutti. Gli allenatori che mi hanno segnato di più sono stati Guido Mazzetti e Giuseppe Marchioro. Cesare Maldini mi diede tanto».
Racconti.
«L’ho avuto a Parma alla fine degli Anni ’70. Mi ha influenzato molto sul modo di pensare e di interpretare il calcio».
E ora la Trevana. Come mai?
«Ho iniziato lì e voglio chiudere lì, chiudo un cerchio».
Quindi annuncia ufficialmente che appende i guanti al chiodo?
«La vita è bella perché è varia. Qualcosa d’altro mi inventerò. È stato bello riassaporare il campo. Mi sono divertito e sono tornato a casa, nella porta che difendevo quando ero un ragazzo. Volevo dare “l’addio” una volta per tutte. Ora basta con il calcio».
Lei ha esordito in Serie A nel 1961, com’è cambiato il calcio da allora?
«È un altro sport. Ho vissuto quasi tutte le evoluzioni. Una volta il calcio era più cattivo e più romantico: c’erano meno espulsioni. Ricordo quando una volta a Catanzaro i tifosi erano talmente vicini alla porta che dovettero disegnare una riga sul prato».
Perché?
«Era il confine che non potevano oltrepassare. Rischiavamo seriamente che invadessero l’area di rigore».
Negli ultimi anni non c’è stato solo il calcio nella sua vita. È stato campione del mondo di salto in alto, categoria Over 70. E pochi mesi fa ha vinto un bronzo master nel triplo: non si ferma mai?
«Sì, è la mia altra passione. Durante la preparazione andavo al campo di atletica a fare salto in alto e in lungo. Non sono mai stato bravo a rimanere fermo e magari andrò avanti ancora qualche tempo con altri sport».
Le ultime parole d’addio al calcio?
«Molto semplici: vado a fare la doccia, che è arrivata l’ora di lasciare spazio ai giovani».