repubblica.it, 29 settembre 2025
Strage di Paderno Dugnano: “Lucido e determinato, li uccise per il progetto di diventare immortale”
Con più di cento coltellate massacrò la sua famiglia: il fratello Lorenzo, la mamma Daniela, il padre Fabio. Era il primo settembre 2024 e per quel massacro avvenuto a Paderno Dugnano Riccardo Chiarioni, allora 17 enne (nel frattempo ha raggiunto la maggiore età), a giugno è stato condannato a vent’anni, il massimo in abbreviato. Era “guidato da un pensiero stravagante” e “bizzarro”, raggiungere “l’immortalità attraverso l’eliminazione della propria famiglia”, scrivono i giudici nelle motivazioni. Il legale del giovane, Amedeo Rizza, pensa all’appello: “Il giudice ha riconosciuto che aveva dei disturbi, che però per il tribunale non avrebbero inciso nella causa dell’omicidio. Valuteremo come muoverci”.
Secondo il tribunale dei minorenni ci sono gli elementi per la premeditazione. Così come è stata accertata la minorata difesa, visto che i familiari “sono stati sorpresi nel sonno più profondo” e uccisi. Voleva ammazzarli per attuare il suo progetto di “diventare immortale”, sottolinea la giudice Paola Ghezzi.
Sulla capacità di intendere e di volere, il collegio ricostruisce: il ragazzo viveva in una famiglia da tutti definita “normale”, frequentava il liceo, giocava a pallavolo, frequentava amici. Dal suo cellulare è emerso anche un “interesse per l’ideologia fascista e l’omofobia”, e dai suoi dispositivi erano emerse anche immagini come la foto del Mein
Kampf. Sulla scorta di tre diversi elaborati (la consulenza della difesa, dei pm e la perizia disposta dal tribunale), il tribunale conclude che Riccardo “fosse pienamente capace d’intendere e di volere” al momento dei fatti.
Riccardo “è persona adusa a mentire, a mentire per manipolare”. Capace d’intendere pur se in presenza di una “fantasia potente”, cioè il progetto di uccidere. Che non aveva le caratteristiche del delirio, dell’ossessione, ma era un pensiero coerente “a cui pensava spesso quale strumento per liberarsi dagli affetti che ostacolavano il suo obiettivo di raggiungere l’immortalità”. Un “manipolatore”, che ha progettato gli omicidi “nei minimi dettagli”, ha manifestato “scaltrezza” nel “tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale”, dopo aver già colpito il fratellino. E che ha agito in modo “sconcertante”, colpendo tutti e tre in “modo cruento”, infliggendo loro “numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi ed anche colpendo alle spalle il padre, dopo aver dato l’impressione di volersi fermare successivamente all’aggressione al fratello ed alla madre”.
L’imputato era guidato da “un pensiero stravagante” – l’immortalità –, un pensiero “bizzarro ma ancora sotto il controllo di Riccardo ed egli ha scelto di alimentarlo e ha agito coerentemente con quell’idea”. Un peso sicuramente lo hanno avuto “una grossa dose di rabbia e odio narcisistici”, ma “ha sempre adeguatamente distinto la realtà dall’immaginazione, ha sempre avuto alternative comportamentali, ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima durante e dopo il fatto”.
“Non condivido questa motivazione. Il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c’è tra la patologia di Riccardo ed il reato commesso”, dice l’avvocato Amedeo Rizza. Proprio una perizia del tribunale aveva accertato un vizio parziale di mente, non riconosciuto però nel verdetto. “Il giudice, spiega il difensore, “pur riconoscendo un disturbo psichiatrico, un’idea dominante nel raggiungere il progetto dell’immortalità” e “la necessità di cure” per lui, “ha ritenuto che, visto il comportamento avuto dal minore prima, durante e dopo l’omicidio, tale disturbo riconosciuto non ha inciso nella capacità del volere”.
Dopo il ricorso ci sarà un processo d’appello.