la Repubblica, 29 settembre 2025
Da amichettismo a skillato e riciclone: ecco come parliamo
I quadricotteri sono arrivati da noi: se non proprio, o non ancora, i droni minacciosi, almeno il loro nome, e non sul territotio ma nel vocabolario. «Quadricottero» è infatti tra i lemmi che lo Zingarelli 2026 ammette di bel nuovo. Da tempo il vocabolario esce millesimato, cioè, e lo spiega lui stesso, è un «prodotto editoriale che viene rinnovato ogni anno». E così ogni anno ci si può aggirare in un giardino di primizie per salutare quelle già note o fare conoscenza delle ignote. In quanto al «quadricottero» la definizione è neutra, sintetica e insomma essenziale come deve essere: «Drone a quattro pale, utilizzato soprattutto per filmare o fotografare dall’alto».
Anche l’indicazione etimologica è proprio quella che ci si aspetta: «composto di quadri- e (eli)cottero». Questa è seguita da un’indicazione di data: 2011. Se il quadricottero è atterrato nel vocabolario nell’edizione 2026, lo si era però avvistato nei cieli del discorso pubblico già dal 2011. Non tutti i neologismi infatti entrano nei lemmari nel momento in cui vengono proferiti e scritti: una prudente quarantena è la profilassi che i lessicografi (gli autori del vocabolario: nome attestato dal 1676) applicano per essere ben certi che una parola sia rimasta effettivamente nell’uso dopo esserci entrata. Così è dal 1999 che pratichiamo il «retrogaming», cioè ci dilettiamo coi bei videogiochi di una volta; esempio di una «retromania» che è attestata dal 1990, come «atteggiamento di nostalgia e di appassionato interesse per il passato». Ci si potrebbe allora chiedere come mai il «gabinettista», funzionario di coordinamento ministeriale, pervenga agli onori dizionariali soltanto adesso, se è una parola nota già dal 1904; così il «disarmista», che predica dal 1931, e persino il «producer», presente sul territorio già nel 1911.
Fa un buffo effetto accorgersi che i neologismi a volte sono parole nient’affatto neonate, ma in età matura o decisamente anziana. Hanno vissuto ai margini, in angoli in penombra del discorso sociale, fino a che qualche riflettore inopinato non li ha illuminati – come adulteri a un concerto. Una gabinettista assurge alle cronache politiche per qualche pasticcio; le richieste di investimenti bellici risvegliano gli oppositori e il loro nome categoriale di disarmisti. E in quanto al «producer», nel 1911 sarà stato un tecnicismo di occasionale importazione mentre un secolo dopo si usa comunemente per una figura professionale. Perciò quest’ultimo è il battistrada di una sia pur non maggioritaria legione di neologismi in arrivo dalle lande dell’inglese: il «gaslighting» e il «gatekeeping», il «content creator» e il «cyberstalking», il «dogfight» e l’«early bird», l’«addiction» e l’«all-in», il «mansplaining» e il «sitting volley». Chissà se il purista soffre più per queste inserzioni o per quelle che non si limitano ad affrancare le parole importate a quelle native ma le truccano da parole italiane.
Quest’anno abbiamo «breccare», con la pittoresca variante di «brekkare», «flexare», «ghostare», «skillato», «tokenizzare» e «whatsappare»: parole che viene magari da pronunciare con disinvoltura ma a scriverle e soprattutto leggerle sembrano manifestare in piena evidenza la loro natura di mostriciattoli artificiali, invenzioni un po’ ridicole di una fantalinguistica dozzinale. Eppure, eccole lì. Non che possano apparire molto meno goffe certe costruzioni che però si avvalgono di materiali del tutto italiane: «culturalizzare» («inserire o interpretare un dato, un fenomeno... all’interno di uno specifico contesto culturale»; da cui: «culturalizzazione»); «eventificio» («località o istituzione che propone continuamente eventi al fine di attirare pubblico»); «rinazionalizzare» (col suo ottosillabico deverbale «rinazionalizzazione»); «tagliandare» («sottoporre a revisione periodica»); «turistificare» («modificare il tessuto urbano e sociale o l’assetto ambientale di una località al fine di attirare turisti»: e conseguente «turistificazione»).
Di fronte a esse risulta persino elegante il franco, e peraltro impareggiabile, «perculare»: impareggiabile perché privo di alternative di qualche efficacia, specie da quando il classico «schernire» viene usato quasi esclusivamente nel significato, poveri noi, di «schermire». Eh già, perché tra le fonti da cui sgorgano i flussi lessicali c’è l’inglese, importato («mansplaining») o adattato («ghostare»); c’è la vocazione burocratica («tagliandare»); ma c’è anche il gergo orale, settoriale o comune, ormai trascritto non soltanto nei fumetti come una volta ma sui social e pure nell’editoria su carta, per connotare appunto disinvoltura espressiva e aggiornamento alle mode parolaie.
Oltre a «perculare» (e a molti esempi precedenti) vanno iscritti a questa categoria il canzonettaro «friccicarello»; il giornalistico «riciclone» (per i centri abitati in testa alle classifiche della raccolta differenziata dei rifiuti), il calcistico «scavetto», che lo Zingarelli definisce come sinonimo di «cucchiaio, nel significato 5» (e quindi: «pallonetto eseguito con un colpo secco da sotto», e se non conosci neppure «pallonetto» lascia perdere, non fa per te, si vive bene senza). Qui troviamo anche il «pezzotto», che da Napoli (dal 2018) è ora dilagato in tutta Italia come decoder illegale per vedere gratis la pay tv: chissà cosa ne pensano in Valtellina, dove dal 1917 il sostantivo è presente con l’onestissimo significato di «tappeto rustico eseguito con ritagli di svariati tessuti a motivi geometrici, rigati e fiammati».
I neologismi si sovrappongono alle parole esistenti con effetti a volte stranianti. Vedi per esempio «agito», che finora non aveva una voce autonoma ma compariva soltanto come participio passato di «agire», mentre ora se ne svincola come aggettivo, nei significati di «che è utilizzato, usufruito» («spazio agito») e «realizzato, offerto» («servizi agiti da un ente»), ma anche come sostantivo della terminologia psicologica e psicoanalitica: «reazione incontrollata attraverso cui il soggetto manifesta un conflitto emozionale». Le scienze cercano così di nominare i fenomeni che si determinano o che costituiscono nuove categorie e per ottenere ciò o costruiscono parole con nuovi usi di radici antiche («aporofobia: paura, repulsione nei confronti dei poveri») oppure con prefissi e radici più correnti («bioinvasione: diffusione rapida e incontrollata in un luogo di specie animali o vegetali originarie di altre zone del mondo»). Questo anche a costo di dispendi sillabici un po’ faticosi, come per l’«evapotraspirazione» o la «fotocoagulazione» e la suggestiva «videotrappola: «piccola telecamera installata per controllare il passaggio di persone o animali».
Dell’«ecocompattatore» si vorrà notare come l’uso del prefisso «eco» è del tutto superfluo, se non per aggiungere una connotazione virtuosa che piacerà a tutti i ricicloni. Arrivando quindi alla frontiera del lessico purificatore, malcostumi e neomoralismi – spesso pelosi – contribuiscono con parole come «amichettismo» (categoria impiegata specialmente da chi di amichetti ne ha molti), «malagiustizia», «malainformazione»; mentre a nuove categorie o forse mentalità rispondono «ecoattivista» e «omosociale», che è «detto di relazione fra persone dello stesso sesso priva di implicazioni amorose o sessuali»: «amicizia» non bastava più; anzi, volendo si può anche ricorrere a un’altra nuova entrata anglofona: «bromance: rapporto di profonda amicizia o di forte intesa tra uomini, privo di implicazioni sentimentali o sessuali».
Come diceva Paolo Poli questo, annunciato come secolo del sesso, si è piuttosto rivelato come il secolo dei cuochi che quest’anno forniscono novità come la formula commerciale del «giropizza», gli utili «insaporitori», il tecnico «retrolfatto» e specialità come la siciliana «busiata», il veneto «cicchetto» da prendere in «cicchetteria», il triestino «presnitz» e il francese «clafoutis». Ma questo davvero lo scopriamo solo oggi?