il Fatto Quotidiano, 28 settembre 2025
Intervista a Sergio Martino
Linee di confine. “Ho girato ogni genere di film. Anche i western”. Tranne? “I musicarelli e quelli sugli antichi romani”.
Commedia, commedia sexy, poliziottesco, giallo, horror. Film cult. Film scopiazzati. Alcuni ancora festeggiati, altri riscoperti da quel Quentin Tarantino in grado di assegnare dignità internazionale a un genere considerato in Italia di serie B (“a me la ‘B’ sta bene, mica mi offendo”).
Sergio Martino ha 87 anni. Si è divertito (“molto”) e la scia di quel divertimento è tutta nei suoi occhi quando racconta e ricorda gli anni sul set; set continui, “in giro per il mondo”, quando il cinema era “artigianato”, invenzione, fantasia giocosa e Hollywood non aveva ancora consacrato il dominio assoluto grazie agli effetti speciali. Allora, lui era uno dei numero uno “fuori dalla cerchia dei Fellini o dei Visconti, altra generazione”. Ma Cornetti alla crema, L’allenatore nel pallone o Giovannona Coscialunga disonorata con onore sono diventati lessico nazionale; un lessico nato grazie a un nonno, Gennaro Righelli, tra i primi registi in Italia, dietro la macchina da presa nel primo film sonoro italiano, La canzone dell’amore.
Nonno…
(Si gira e indica un documento incorniciato) Quella è una raccomandazione trovata tra le sue carte: è di un politico che lo pregava di prendere la sua amichetta.
Presa?
Non lo so, ma già allora era così.
Andava sul set di suo nonno?
Ero troppo piccolo, al massimo mi portava in sala doppiaggio: lì ho visto Anna Magnani incazzata perché non riusciva a pronunciare una battuta come doveva.
Cioè?
A quel tempo i rumori e la voce non viaggiavano sulla stessa “pista” ma erano due percorsi separati; (pausa) per essere chiari: la Magnani doveva pronunciare le sue battute mentre un altro produceva il rumore delle finestre quando si chiudono. Rumore e voce dovevano coordinarsi. Lei sbagliava e s’incazzava con se stessa, sempre di più. Tutti zitti, era la Magnani. Io affascinato.
Esordi cinematografici altissimi…
(Ride) Però vengo definito “regista trash emerito”.
Da sempre.
Per tutta la carriera, poi alcuni anni fa sono invitato a Venezia, entro nella hall dell’albergo, da lontano mi riconosce Tarantino e s’inginocchia davanti a me; lui considera I corpi presentano tracce di violenza carnale come uno dei gialli più belli della storia.
Non solo per lui.
Sì, negli stati Uniti ne sono convinti; poi l’ho girato in gran parte a Perugia e quando c’è stato il delitto di Meredith, alcuni hanno sostenuto che gli assassini sono stati ispirati dal mio film.
Insomma, Tarantino?
Mentre lui s’inginocchiava ho riconosciuto l’occhio di traverso dei critici presenti: da sempre mi guardano male; (torna a Tarantino) conosce i miei film meglio di me, ma non solo i miei, anche di altri registi di quel tempo, altri considerati dalla critica come delle merde.
Milena Vukotic la difende, sostiene che recitare per lei è stato bello.
Persona straordinaria, in Cornetti alla crema è stata bravissima; in quel film compaio pure io, mi sono inserito in una scena con Edwige Fenech, lei non sapeva del mio coinvolgimento, anche perché l’ho deciso all’istante; eppure è stata una grande a non fermarsi.
Cornetti alla crema è tra i cult.
È uno di quelli di cui non mi vergogno.
Di quali si vergogna?
(Ride, tanto) Alcuni li ho girati pensando ad altro.
Esempio?
Specialmente alcune produzioni televisive come la seconda stagione di Carabinieri: la prima l’ho seguita, mentre l’anno dopo non leggevo tutte le sceneggiature: il percorso era sempre lo stesso.
Anche Fenech parla benissimo di lei.
Ricambio, anche perché è stata per anni mia cognata (compagna del produttore Luciano Martino); alla fine l’ho vista nuda in tutti i modi, ma non ho mai provato alcuna pulsione sessuale.
Proprio mai?
No, eppure la prima volta l’ho conosciuta io: ero in una società di produzione cinematografica e arriva lei, giovanissima, vestita con dei pantaloni di pelle molto aderenti. Guardo mio fratello, la indico: “La vedi? Che sedere…”. Dopo qualche tempo mi chiamano per salvare un film, I peccati di Madame Bovary…
Come, salvare?
Film invedibile e a quel tempo mi occupavo di produzione; insomma, mi chiedono di intervenire, allora mi ricordo di Edwige e la coinvolgo: da lì nasce il nostro rapporto.
Qual è il segreto della Fenech?
È solare. Sempre bellissima. E fissata con il sole: non lo ha mai preso.
Lei ha girato con tutti i miti sexy degli anni 70.
Pure con Nadia Cassini: con la telecamera ho santificato il suo culo; (sorride) nella lista delle scoperte va aggiunta Nicole Kidman: il primo film lo ha girato con me. Alla fine delle riprese ho telefonato a mio fratello: “Questa è un’attrice straordinaria…”
E lui?
“Ma chi è ’sta secca?”; quando sono stato a Venezia, c’era pure lei; la chiamano, le dicono che ci sono, ma non è scesa: il sole era troppo alto e anche lei lo evita, sempre.
Lato uomini: ha girato due film con Tomas Milian.
Grande attore, persona controversa, piena di problematicità, anche di complessi. Ma con un’infanzia terribile come la sua, con un padre suicida… in 40 gradi all’ombra del lenzuolo l’avevo reso mostruoso e in una scena c’era Edwige che passeggiava sotto i portici, lui si arrapava solo a vederla, e doveva sbattere la testa contro il tavolo. “Tomas, tranquillo, non si vede il momento dell’urto, quindi non andare fino in fondo. E comunque mettiamo un panno a protezione”. E lui: “No, vengo dall’Actor’s Studio, tutto deve essere reale, quindi togli la protezione”. Alla fine era tumefatto dalle testate…
Actor’s fino in fondo…
Pretendeva sempre dei primi piani e aveva il complesso della perdita dei capelli. Negli anni del Monnezza usciva con una borgatara romana, terribile, che gli insegnava tutte le parolacce; (ci pensa) non solo Tomas era problematico, quasi tutti gli artisti lo sono.
Esempio.
Un attore americano mi scocciò fino alla fine per girare una scena. Stremato lo accontentai. Poi decisi di non montarla.
Era Glenn Ford in Casablanca Express?
No, persona deliziosa; poverino non si ricordava le battute, era troppo anziano: siamo stati costretti a riempire il set di bigliettini nascosti, così lo aiutavamo con la memoria. (Si alza, dalla sua scrivania prende un foglio con la filmografia completa. La legge. Riflette. E indica la prima voce “Mille peccati… nessuna virtù”).
Il suo esordio da regista, 1969.
Un documentario girato nell’America ai tempi del Vietnam, una delle esperienze più belle: lì ho incontrato i reduci della guerra, sono andato ai raduni dei ragazzi; ho visto i concerti nella Death Valley.
Non male.
Raggiunsi la Valley in elicottero, vestito in giacca e cravatta. Scesi e mi venne incontro un ragazzo in stile John Lennon, con in mano uno spinello. Senza neanche pronunciare una parola mi allungò la canna e fumai. Lì è immediatamente partito un boato incredibile di centinaia di hippies, tutti fatti, nudi, che scopavano.
Il suo primo successo?
Lo strano vizio della signora Wardh ha girato il mondo, ancora mi chiamano a Los Angeles per conferenze e incontri; in Italia non incassò tantissimo perché poco dopo di noi uscì Ultimo tango a Parigi.
Quindi gira il mondo con i suoi film?
(Ride di un piacere raro) Sono passato dallo stato di “merda” a quello di maestro.
L’hanno mai invitata ai David?
(Stupito) No! Ci sono andato qualche volta, come ospite, non con un film: il cinema che conta non mi ha mai considerato.
Ha un amico nel cinema che conta?
(Ci pensa a lungo, poi sincero trova una soluzione) Nel palazzo dove vivo veniva spesso Fellini, perché qui abitava la sorella della Masina.
E basta.
Però nella mia vita ho fatto esperienze incredibili.
A quale pensa?
Ai sopralluoghi in Sri Lanka per girare La montagna del dio cannibale: atterriamo con l’aereo in uno spiazzo minuscolo. Una volta giù, terminata la ricognizione, il pilota ci dice: “Non potete salire, non ho lo spazio per poter decollare a pieno carico”. A quel punto insieme ad altre due persone ci siamo mossi in canoa, in mezzo ai coccodrilli, con i nativi, quelli veri, sulle sponde…
Quelli veri?
Non le farse cinematografiche, ho visto le donne sgobbare e loro seduti a fumare.
In quel film c’è la Andress protagonista.
Piangeva sempre perché innamorata di Fabio Testi; (sorride) con qualche attrice sono uscito, con lei no: si buttava sulla spalla e via con le lacrime.
È stato corteggiato?
Il fascino del regista esiste; (sorride) mentre oggi sono corteggiato perché ho una buona pensione.
L’attrice più bella.
Fenech, e lo è ancora.
Barbara Bouchet.
Lei è più sulle sue, tiratina. Quando le ho messe insieme (La moglie in vacanza… l’amante in città) non è stato semplicissimo: per questo nella sceneggiatura ho cercato in tutti i modi di non farle incontrare.
Sono 41 anni dall’ Allenatore nel pallone e voi del cast, di recente, vi siete ritrovati per festeggiare.
Non è un grande film.
Tranchant.
Oggi c’è una rivalutazione generale che non mi sarei aspettato.
L’allenatore è osannato.
In parte girato in Brasile e lì ci siamo divertiti tantissimo.
Con malizia?
Io no, ho portato mia figlia Federica, tanto che mi cantavano “con Federica alle calcagna il pistolino non si bagna”. Gli altri non si sono tenuti molto…
Non solo Andrea Roncato, quindi.
Andrea aveva un successo pazzesco con le donne: lo aspettavano ovunque; (ritorna al film) la storia dell’ Allenatore nel pallone 2 è migliore del primo, solo che Banfi era diventato troppo nonno Libero, si commuoveva sempre; nel “2” i calciatori hanno accettato subito di partecipare, con Del Piero il più intelligente, bravo pure a recitare.
Che qualità si riconosce?
Di essermi divertito e aver fatto divertire.
Ha calcolato quanto hanno incassato i suoi film?
Mai, ma sono andati tutti in positivo, l’unico dove ci hanno rimesso è Un orso chiamato Arturo con Carol Alt.
Anche lei non proprio brutta…
Mi ha raccontato tutto della sua gioventù, di quando era grassa, cresciuta nella salumeria dei genitori. Molto lontana dall’immagine costruita da adulta.
Lei chi è
Uno che non fa una vita di stenti economici ma di stent coronarici: ne ho nove.