la Repubblica, 28 settembre 2025
“Moldova tradita dalla Ue”. Tra i nostalgici di Lenin la Gagauzia guida i filo-russi
«Il mio voto? Sekret!». A Comrat, un centinaio di chilometri a sud della capitale Chisinau, sono in pochi a sbottonarsi sulle decisive elezioni parlamentari che si terranno oggi in Moldova. «Abbiamo tutti paura», ammette una 45enne che si decide a parlare dietro anonimato soltanto perché in passato ha lavorato in Italia e vuole esercitarsi un po’ nella nostra lingua. «È come se il giogo dell’Urss non fosse mai passato». In Gagauzia, un artiglio di terra russofona e russofila stretto lungo il confine meridionale con l’Ucraina, molti continuano a guardare al passato sovietico piuttosto che a un possibile futuro europeo. Dopo il crollo dell’Urss, i suoi abitanti di etnia turca, ma russofoni e cristiano ortodossi, chiesero l’indipendenza. Ma, a differenza della vicina Transnistria separatista, nel 1994 si accontentarono dell’autonomia. Da allora Mosca ha fatto leva sulle storiche rivendicazioni della minoranza gagauza per sfidare il governo centrale di questa ex Repubblica sovietica candidata all’ingresso nella Ue. Ha gioco facile. I gagauzi guardano le tv russe. Nel capoluogo Comrat le strade sono intitolate a politici e generali dell’era sovietica e le edicole vendono un solo giornale, l’edizione locale del tabloid russo Komsomolskaja Pravda. E al referendum indetto un anno fa il 95% degli elettori votò contro l’adesione alla Ue sostenuta, seppur di misura, dalla maggioranza del resto della popolazione moldava.
«Temo che alle urne ci sarà molta tensione. Non so dire perché. Non m’intendo di politica». Il 22enne Georgi, barba lunga, prova a trincerarsi dietro a risposte telegrafiche mentre fagocita a grandi morsi un bastoncino di zucchero filato davanti a un parco gonfiabile che stride con la vicina statua di Lenin, piededestro avanti e appunti sottobraccio. Alle sue spalle c’è la sede dell’Assemblea popolare, 35 deputati per 135mila abitanti, davanti a cui sventolano il tricolore moldavo e il vessillo gagauzo blu bianco e rosso. «Quello che conta è che ci sia la pace, non mi importa chi ci sarà al comando, chi tirerà le fila», taglia corto Georgi. Salvo poi sbilanciarsi involontariamente quando si parla del conflitto nella vicina Ucraina. «Col governo attuale una guerra è inevitabile anche qui».
E l’Europa? «Non ha portato nulla di buono», sbotta la pensionata Ekaterina che vende uva al mercato centrale in via della Vittoria. Poco importa che, come ricordano cartelloni sparsi a ogni angolo, diverse opere qui siano state realizzate grazie ai fondi di Bruxelles. «Costruire un asilo è meno efficace di un video su Tik Tok», osserva amaro Mihail Sirkeli del media locale indipendente Nokta che prova a contrastare la disinformazione russa. Anche le autorità centrali stanno facendo di tutto per scongiurare i tentativi di Mosca di manipolare il voto. Accanto al minimarket Gagauz Coop c’è la sede serrata del movimento Inima Moldovei, Cuore della Moldova, dell’ex bashkan, governatrice gagauza, Irina Vlah: venerdì è stato escluso dal voto per le complicità con Ilan Shor – l’oligarca fuggito in Russia dopo una condanna in contumacia a 15 anni – che sta usando i soldi sottratti alle banche moldave per interferire nel voto. L’attuale bashkan Evgenia Gutul è stata condannata a sette anni di carcere perché finanziava il blocco politico Victorie-Pobeda, Vittoria, di Shor benché fosse stato messo al bando. E i gagauzi che fino a poco tempo fa ricevevano le bustarelle di Shor sotto forma di “sussidi” in cambio della fedeltà politica sono stati multati.
Le mosse delle autorità per arginare le ingerenze del magnate hanno però rinfocolato la narrazione moscovita contro il partito filoeuropeo al potere d’Azione e solidarietà, Pas, che oggi spera di confermare la maggioranza in Parlamento. «Ho votato due volte per la presidente Maia Sandu. E un anno fa ho votato “sì” all’Europa al referendum. Ma Sandu sta creando una dittatura. Ha cominciato a sbattere dentro la gente e a multare gli anziani. Se voteremo per il suo partito, dopodomani manderà in galera ancora più gente. Torneremo ai tempi di Stalin. Altro che democrazia all’europea. Non amo neppure quelli all’opposizione, ma spero le diano una lezione», protesta Semjon, 51 anni, mentre riempie dei bidoncini d’acqua alla fontana del Parcul Central dove svettano le cupole dorate della Cattedrale di San Giovanni Battista.
«La Russia e il patriarca Kirill sono l’unico baluardo contro la deriva Lgbt», assicura la pensionata Ekaterina, fazzoletto in testa, dopo aver partecipato alla messa. Ha scordato che, sotto il comunismo, la chiesa era stata trasformata nel Museo Lenin. O che i gagauzi non furono risparmiati dalle deportazioni nei gulag né dalla carestia provocata dalla pianificazione centralizzata, come commemora una stele vicina. Alla periferia della città, ai margini di un fatiscente distributore di benzina, c’è uno dei tanti busti di Lenin sparsi in Gagauzia. Sembra abbandonato, con le erbacce che spuntano tra piastrelle sconnesse. «Molti rimpiangono l’Urss – commenta il sindaco filo-Ue Sergej Anastasov – ma l’hanno dimenticata, nel bene e nel male».