Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 27 Sabato calendario

Dagli stranieri 39 miliardi di tasse. L’Italia riceve più di quanto spende

Con una mano ricevono, ma con l’altra restituiscono tanto, anzi di più. Lo Stato italiano spende, in servizi e prestazioni sociali, 34,5 miliardi di euro per i cittadini stranieri che vivono in Italia, ma questi versano nelle casse pubbliche, in tasse e contributi, 39,1 miliardi: la bilancia dunque pende decisamente a favore dell’erario per un contributo netto di ben 4,6 miliardi di euro. E se non ci fosse il lavoro nero, il quasdro potrebbe essere ancora più positivo. Il dato è riferito al 2023 e risulta dall’analisi realizzata da tre docenti di Economia dell’Università statale di Milano (Carlo Fiorio e Tommaso Frattini) e dell’Università dell’Insubria (Andrea Riganti) per il Dossier Statistico Immigrazione 2025, che Idos presenterà il 4 novembre a Roma. Cifre che smentiscono tanti luoghi comuni e pregiudizi. Basandosi sul dataset Eu-Silc di Eurostat, gli autori hanno preso dapprima in esame la spesa pubblica complessiva nazionale per previdenza, protezione sociale e servizi: 658,8 miliardi di euro, in cui pensioni e sanità pesano per quasi due terzi, ma incidono non poco anche i costi dell’istruzione, della giustizia e sicurezza, delle prestazioni assistenziali. Da questo quadro dei costi emergono informazioni interessanti. Ad esempio, dei 138,3 miliardi di euro spesi per la sanità (il 6,5% del Pil), si stima che agli italiani ne siano andati 132,3 e agli stranieri 6, ovvero il 4,3% del totale, pur essendo del 9% la loro incidenza sulla popolazione del Paese. Una differenza attribuibile in gran parte all’età media più bassa degli immigrati.
Per il resto, se nelle spese di giustizia e sicurezza e nelle prestazioni di welfare locale la quota attribuibile agli stranieri risulta più coerente con la loro incidenza sulla popolazione nazionale, il rapporto si inverte per le prestazioni assistenziali, dove essi totalizzano il 22% della spesa (1,3 miliardi su 5,9), a causa delle più critiche condizioni socioeconomiche delle famiglie immigrate, che hanno spesso redditi più bassi e nuclei più numerosi. Complessivamente, di quei 658,8 miliardi di spesa totale, agli stranieri va il 5,2%, appunto 34,5 miliardi: una cifra che, in termini pro capite, equivale a 6.600 euro contro gli 11.600 degli italiani. Tirando le somme, il contributo all’erario da parte dei cittadini stranieri è di 39,1 miliardi e comporta un esborso medio di 7.400 euro a testa all’anno, contro i 10.200 dei contribuenti italiani. «Questo saldo tra costi e introiti riferibili agli immigrati, già abbondantemente positivo per le casse dello Stato, potrebbe essere ancora più redditizio per l’erario pubblico e per l’intero sistema Paese – osserva Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos – se, superando ritrosie ideologiche, riformassimo le norme che regolano l’ingresso e l’inserimento occupazionale dei lavoratori non comunitari dall’estero; e, contestualmente, cessassimo di adottare, nei loro confronti, un modello di segregazione occupazionale».
La percentuale di lavoratori non comunitari che arrivano a ottenere un permesso per lavoro resta esigua: nel 2023 i permessi richiesti sono stati pari al 13% delle quote assegnate (e quelli effettivamente rilasciati al 7,5%), mentre nel 2024 lo stesso dato si ferma al 7,8%. Tutto questo con la complicità di intermediari e datori che lucrano sulle chiamate nominative e disertano le stipule dei contratti. La maggior parte degli altri scivola suo malgrado in uno stato di irregolarità che li espone al lavoro nero: condizione che rende evasori (fiscali e contributivi) sia il datore sia il lavoratore, sottraendo così denaro proprio all’erario pubblico.
Per altro verso, lo strutturale sottoimpiego dei lavoratori stranieri regolari, testimoniato dalle loro quote costantemente più alte, rispetto ai lavoratori italiani, di part-time involontari (14,1% contro 7,8%) e di professioni non qualificate o operaie (61,1% a fronte di 29,0%), sfrutta al minimo il loro potenziale, contribuendo a contrarre ulteriormente il loro gettito nelle casse delle Stato, a tutto svantaggio del sistema Italia.