ilfattoquotidiano.it, 27 settembre 2025
Già tre anni di governo Meloni: tutto qui? Un bilancio di promesse e fallimenti
“Tutto qui? È quello che sai fare?”. Così Muhammad Ali provocava George Foreman nello storico ring di Kinhasa del 1974. Tutto qui, Giorgia Meloni? si può dire dopo i primi tre anni di governo della destra, quando di risultati politici se ne vedono pochi.
Meloni vanta il fatto di essere il terzo governo più longevo della storia repubblicana, ma a che serve avere un governo duraturo se non si aumentano i salari o si migliora la sanità e magari ci si impegna per la pace?
Pagare i conti.
L’orgoglio è lo stesso di un Draghi qualsiasi: “Teniamo i conti in ordine”. Tanto che le agenzie di rating hanno promosso l’Italia e il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, può annunciare felice che forse già quest’anno si scenderà sotto la fatidica soglia del 3 per cento nel rapporto deficit/Pil. Merito di una riduzione delle spese superflue? No, merito di lavoratori e lavoratrici. Come hanno spiegato su La Voce Marco Leonardi e Leonzio Rizzo, per effetto di un’inflazione cumulata del 17% dal 2022 al 2024 lavoratori e pensionati hanno versato all’erario 25 miliardi in più di imposte. Effetto perverso del fiscal drag, la tassa occulta che determina prelievi fiscali maggiori per via di aliquote più alte. Il governo avanza a piccoli passi nella riforma fiscale che avvantaggia solo il proprio elettorato, mentre la promessa di tassare patrimoni come quelli delle banche è ormai decaduta.
Basta la salute.
Dopo l’annuncio sulla spesa sanitaria “più alta nella storia repubblicana”, in realtà la spesa sanitaria dal 2022 al 2024 è passata dal 6,6% al 6,3% (dati Osservatorio Cpi di Carlo Cottarelli) mentre di circa 1 miliardo è aumentata la spesa privata delle famiglie. Il problema delle liste d’attesa è stato posto nel 2024 e rispondendo al Question time del 25 settembre il ministro Orazio Schillaci ha detto che “in 6 mesi sono aumentate le prestazioni del 20%”. Ma osservando la piattaforma nazionale che monitora i dati sulle liste di attese (realizzata da questo governo) si nota che nel 2025 solo il 34,7% delle visite e il 40.4% degli esami offerte dai Centri unici di prenotazione è stato accettato come prima offerta dai cittadini. Il resto è stato inserito nelle pre-liste oppure si è arrangiato o ha rinunciato alle cure. Secondo l’indagine Inapp di giugno 2025 oltre due milioni di italiani hanno rinunciato alle cure non potendo permettersele.
Tutto occupato.
Il fiore all’occhiello del governo è ovviamente l’occupazione. Gli occupati sono cresciuti di circa un milione dall’ottobre 2022 con il tasso di occupazione più alto della storia d’Italia (grazie al calo demografico). In realtà dopo la pandemia Covid l’occupazione è cresciuta in tutta Europa. Nell’ultimo anno, poi, come spiega l’Ocse, “il tasso di occupazione in Italia rimane significativamente inferiore alla media Ocse”. Da non sottovalutare le motivazioni di questa crescita. Francesco Seghezzi di Adapt, centro di ricerca sul lavoro fondato da Michele Tiraboschi ritiene si tratti di “un processo duplice: da un lato l’invecchiamento demografico della popolazione italiana, dall’altro l’innalzamento dei requisiti pensionistici introdotti dalla riforma Fornero, che ha spostato in avanti l’età di uscita dal lavoro”.
Fornero we love you.
“Aboliremo la legge Fornero” ha garantito Matteo Salvini affermando che al solo sentire il nome della ministra del Lavoro del governo Monti, “mi prudono le mani”. Elsa Fornero resiste tranquilla, la sua riforma non viene toccata, e la legislazione si basa su una giungla di regole in continuo movimento che impedisce di programmare la propria vita. L’ultima pensata, del sottosegretario leghista Claudio Durigon, è quella di consentire l’uscita dal lavoro anticipata a 64 anni utilizzando a fini pensionistici il Tfr accantonato (ma solo quello versato all’Inps) dagli stessi lavoratori. Come aumentare lo stipendio con i risparmi accantonati.
Non c’è un euro.
E poi ci sono i salari. Sempre secondo l’Ocse a inizio 2025 hanno avuto un primo effetto positivo grazie al rinnovo di gran parte dei contratti nazionali. Si tratta di un aumento generalizzato del 2,5% dopo tre anni di inflazione cumulata al 17%. E infatti, sottolinea, all’inizio del 2025 i salari reali erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021 e complessivamente “la crescita dei salari reali dovrebbe rimanere modesta nei prossimi due anni”. Insomma, non c’è un euro, il lavoro si fa povero e la povertà aumenta: 5,7 milioni di individui, pari al 9,7% della popolazione. Ma il governo Meloni ha pensato fosse giusto abolire il Reddito di cittadinanza.
Cara industria.
Non va molto meglio nemmeno agli industriali che hanno visto la produzione industriale, da metà 2022 al 2024, scendere del -8,5%. Ma i due fattori negativi maggiormente evidenziati da Confindustria riguardano i nuovi dazi imposti dagli Stati Uniti e “l’ennesimo rincaro dell’energia, che non tocca i picchi del 2022, ma minaccia la competitività delle imprese italiane”.
Pnrr da spendere.
Il Pnrr è probabilmente il terreno che ha dato fiato al governo, permettendo di distribuire fondi ereditati tenendo buone le imprese. Meloni e i suoi ministri si sono distinti per le continue revisioni, l’ultima di ieri, per redistribuire i fondi in modo sempre più mirato e affidabile (la prima beneficiaria è Rfi, la Rete ferroviaria italiana, ma sono ben posizionate Open Fiber e Tim). Il problema, come nota Openpolis, è che a un anno dalla scadenza è stato speso solo il 30% dei fondi, soprattutto nelle Infrastrutture (46%) e Imprese e lavoro (47%) mentre sono ai minimi termini la spesa in Salute (14,8%) e nella Transizione ecologica (l’8,4%).
A testa alta.
L’Italia può “girare a testa alta nel mondo” dice la premier. Ovviamente non c’è nessuna apprezzabile variazione nel modo in cui il nostro paese è percepito nel mondo. La sua azione internazionale, in genere molto elogiata, anche perché perseguita con molta applicazione, va vista nei risultati: l’Italia è totalmente interna alla strategia Nato in Ucraina, ha subito i dazi di Trump, è complice di Israele, ha accettato senza colpo ferire l’aumento delle spese militari al 5%, non dialoga con l’Est del mondo e in Africa promuove un “piano Mattei” più vago che inutile.
Riforme ferme.
Accantonata di fatto l’Autonomia differenziata, sterilizzata la riforma del premierato (in nome dell’ennesima legge elettorale a uso privato) resta la riforma della Giustizia su cui si andrà a referendum nel 2026. Un attacco generalizzato alla magistratura – separazione delle carriere, riforma dell’elezione del Csm, etc – che conferma la piena eredità del berlusconismo.
La “faccia feroce”.
A ricordare che questo è un governo di destra restano le misure di “sicurezza”. Si era iniziato con il divieto dei rave party e si è proseguito con il disegno di legge Sicurezza che reprime la protesta sociale, prende di mira “le rivolte” interne agli istituti di pena e, ovviamente, rende la vita più difficile ai migranti. Per i quali l’unica nuova politica è consistita nel fallimentare progetto in Albania, demolito a colpi di diritto internazionale. Ironicamente il flusso degli sbarchi nel 2025 è di nuovo aumentato rispetto al 2024 (49.106 contro 48.100 sbarchi al 25 settembre).
Tutto qui?