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 2025  settembre 27 Sabato calendario

Torna la corrida e la polemica finisce nell’arena

Sulla corrida da anni la Spagna è divisa: ormai abolita in Catalogna e alle Canarie, continua a riscuotere favori a Madrid, Valencia, Bilbao e in altre città. È una tradizione antica quella di cui parliamo: risalente all’XI secolo, già praticata da greci e romani, ma codificata con le regole che conosciamo oggi in Spagna dopo il 1725. A riaccendere ora il dibattito è Pomeriggi di solitudine, documentario appena uscito anche in Italia e firmato da Albert Serra. Si concentra su Andrés Roca Rey, 28 anni, peruviano, nuovo idolo della Plaza de Toros, apprezzato per il suo stile e la temerarietà e capace, dice El Paìs, di riportare i giovani sugli spalti. Alla prima del doc, che ha vinto il Festival di San Sebastian, gli animalisti avevano protestato, forti anche delle posizioni espresse dal ministro della Cultura Ernest Urtasun, che aveva abolito il Premio nazionale per la tauromachia. Ma poi il riconoscimento è tornato in vita, sotto forma privata, con il patrocinio della Fundacion Toro de Lidia: a vincerlo, a marzo, è stato proprio il regista Albert Serra. In quella occasione era presente anche Roca Rey, che rivolgendosi direttamente ad Urtasun ha sostenuto che la corrida non ha bisogno dell’approvazione ministeriale per esistere. «Ho voluto dirlo perché è un patrimonio vivo di tutti», ci dice il torero al telefono da Siviglia. «La corrida non è solo il torero: allevatori, proprietari di arene e molti altri vivono grazie ad essa. Ha una legittimità storica, sociale e culturale che non può essere sospesa secondo gli orientamenti politici del momento».
Un attacco, per niente velato, al governo del socialista Pedro Sánchez, che la tauromachia non l’hai mai amata.
La corrida è da sempre considerata portatrice di valori di destra: lo crede anche lei?
«La corrida vive al di sopra delle ideologie. La politica spesso l’ha usata per distrarre l’attenzione da questioni più serie, ma la corrida non ha bisogno di essere attaccata né difesa, perché la sua forza risiede in quanto accade nell’arena, dove non c’è retorica, solo verità».
Lei ha subìto sette incornate gravi. Dove trova la voglia di ritornare a sfidare il toro?
«La corrida mi ha insegnato ad affrontare la paura di essere incornato, di fallire, di non essere all’altezza. Ma ho imparato anche dalla mia storia familiare (il nonno era proprietario di un’arena a Lima, fratello e zio toreador, ndr.): anche se all’inizio non voleva diventassi un torero, mi ha insegnato a rispettare ciò che amo e a difenderlo».
A giudicare da quanto si vede nel documentario conta anche la fede…
«Non ostento la mia religiosità, ma credo nella forza che mi accompagna quando scendo nell’arena. Ci sono momenti in cui sento che qualcosa più grande di me mi protegge».
Il doc si intitola Pomeriggi di solitudine. Lei nell’arena si sente solo?
«Nonostante ci siano il pubblico e la tua cuadrilla (banderilleros e picadores, ndr) provo la solitudine profonda di chi sa che l’esito della corrida dipende solo da se stesso: è impegnativo, ma è uno spazio di assoluta libertà in cui mi misuro senza maschere. La solitudine del toro è diversa, ma anch’essa è reale: dopo una vita in campagna arriva in un luogo sconosciuto dove si scontra con un uomo. Lì si intersecano due solitudini: quella dell’animale e quella del torero».
Che ne pensa di chi a San Sebastian ha protestato contro il film?
«Capisco chi guarda la corrida dall’esterno e la giudica in superficie, ma ridurre tutto all’idea di “sofferenza inflitta per intrattenimento” significa ignorarne la profondità culturale, storica e simbolica: non è uno spettacolo ma un rituale praticato da generazioni. E il toro da corrida non è un animale qualsiasi, ma viene allevato per anni con maggiore cura e libertà di molti animali domestici. Nell’arena si instaura un dialogo tra il suo coraggio e la dedizione del torero: non considero il toro un nemico ma un compagno del mio destino».
Ma non crede, alla fine, che ciò che lei infligge al toro sia crudele?
«Per me crudeltà è agire senza rispetto, coscienza e senza una ragione che dia senso alle proprie azioni. La corrida nasce dall’ammirazione per un animale unico e dalla volontà di affrontarlo, senza nasconderne i rischi o le conseguenze. Nell’arena non ci sono barriere protettive, il toro usa forza e istinto, il torero fragilità e tecnica, ed ogni errore è punito con la morte. La totale esposizione al pericolo, la dedizione incondizionata è l’opposto della crudeltà, e se il toro muore mantiene intatta la propria dignità».
In Spagna dicono che lei ha riportato i giovani nelle arene, ma c’è stata anche una polemica perché per riempire gli spalti sono stati offerti biglietti gratuiti a chi ha meno di otto anni. Crede che sia giusto che i bambini assistano a uno spettacolo che termina comunque con la morte o comunque è violento?
«Piaccio ai giovani per la mia autenticità e sono entusiasta di vederli affollare gli spalti. Io ho visto una corrida per la prima volta da bambino e penso spetti ai genitori decidere a che età si è pronti. Ma in una società in cui con un clic si vede ogni tipo di contenuto online e i bambini passano ore con videogame molto violenti, non credo che la corrida dovrebbe essere qualcosa da cui proteggerli, ma un’opportunità per mostrare loro un mondo reale».