Corriere della Sera, 27 settembre 2025
«In ospedale torno bambino e le sofferenze passano con un budino al cioccolato»
Un sorriso sincero, una flebo, qualche parola: «È un momento bellissimo quando alla fine di una infusione (la mia ventitreesima!!) ti portano il budino al cioccolato». È il compositore Giovanni Allevi in un post su Instagram. Ogni volta – da tre anni, da quando gli hanno diagnosticato un mieloma —, stupisce la sua forza.
Era molto felice quando le hanno portato il budino al cioccolato?
«È una vera festa».
Ventitré infusioni sono tante. Come ci si arriva?
«Partiamo da dove mi trovo: sono a casa sul letto, sotto il piumone che guardo dalla finestra l’autunno che arriva, col sorriso stampato sotto l’effetto di quella infusione. È un farmaco potente ed efficace per la cura delle ossa».
Chemioterapia?
«No, è un’altra cosa. Mi fa stare male per 10 giorni, sbarellato direi, come se avessi la febbre. Anche il dolore alle ossa aumenta. Ma l’effetto è quello di rinforzare il tessuto osseo».
Come si fa a sorridere?
«Quando entri dentro questa bolla di esistenza nuova, determinata dalla malattia, hai due possibilità: cedere alla disperazione o resettare tutto e guardare alla vita col sorriso, nonostante il dolore e la paura. Io ho scelto questa seconda strada».
Dove si trova la forza?
«È una forza che ricevo anche dagli altri pazienti in quello che per me è un luogo sacro: la sala d’accettazione all’Istituto dei tumori. Una stanza grandissima con tanti guerrieri. Ci aiutiamo, ci abbracciamo».
Quando entra in ospedale non ha mai la repulsione?
«No,è la mia seconda casa. Faccio il pieno di umanità, adesso che vivo come non ci fosse un domani».
Quando s’incontra la malattia si rivedono le priorità.
«Sì. Quando sono diventato famoso avevo bisogno del riscontro esterno. La malattia ha spazzato via questo meccanismo. Ora ho lo stesso entusiasmo di un bambino».
Com’è il futuro?
«Secondo le statistiche io ho davanti due anni ancora, ma prometto che festeggerò i 95 anni, perché non credo alle statistiche».
Vive intensamente il presente?
«In questi 3 anni mi sono chiesto cosa significhi vivere pienamente. Significa vedere e vivere tutto con uno sguardo diverso, focalizzare l’attenzione sul presente senza che sia inquinato da aspettative future e da ricordi del passato».
Il futuro
Secondo le statistiche ho davanti ancora 2 anni ma non ci credo: prometto che festeggerò i 95
Riesce?
«Spessissimo».
Il momento più duro di questi tre 3 anni?
«Il momento della diagnosi è devastante, crollano tutte le certezze e si sperimenta una solitudine profonda, abissale. Non c’è parola che ti possa confortare, ma la dottoressa che mi ha comunicato la diagnosi ha aggiunto una frase che è stata un’àncora alla quale mi sono attaccato: “La diagnosi è il primo passo verso la guarigione”».
A ottobre verrà presentato alla Festa del Cinema di Roma, «Allevi – Back to Life» (al cinema dal 17 novembre, con l’uscita anche della colonna sonora), il docufilm del suo «ritorno alla vita».
«Da tempo c’era l’idea di realizzare un documentario sulla mia esperienza artistica, ma non ero convinto perché negli ultimi anni mi sento come fossi un gatto sotto la credenza. Poi la malattia mi ha catapultato in un’altra dimensione e ho capito che questo film possiede una forte valenza sociale. Allora vale la pena uscire da sotto la credenza».
Per dare coraggio?
«Sì. Il mio sogno è che lo spettatore esca dalla sala con il cuore traboccante di gioia di vivere».
La scorsa estate è tornato in pubblico a dirigere «Concerto per violoncello e orchestra MM22», un’opera composta da lei in ospedale. Questo film è un viaggio tra musica, arte, ospedale.
«Dal primo giorno di ricovero ho cominciato a comporre un’opera che avrei diretto se fossi sopravvissuto. Ho voluto ripercorrere in musica tutte le emozioni che ho provato in quella stanza di ospedale: angoscia, speranza, gioia sfrenata, tensione verso l’infinito. Ho deciso poi di portare le telecamere in sala prove, in ospedale, ai concerti. Questa è l’ossatura del docufilm».
Andrà a vedersi al cinema?
«Sì. E poi tornerò sotto la credenza».