Corriere della Sera, 27 settembre 2025
L’ex capo Fbi indagato a Trump: «La paura strumento dei tiranni»
Dopo pressioni molto pubbliche del presidente Trump sul dipartimento della Giustizia, l’ex capo dell’Fbi James Comey è stato incriminato con le accuse di aver mentito al Congresso e di ostruzione della giustizia. I due capi di imputazione si riferiscono alle sue testimonianze davanti alla Commissione Giustizia del Senato nel settembre 2020, sulla gestione dell’Fbi di due indagini esplosive: una sulle presunte interferenze pro Trump della Russia nelle elezioni del 2016, l’altra sull’uso di un server privato da parte di Hillary Clinton. Se condannato, rischia fino a 5 anni di carcere.
È il primo di una serie casi di alto profilo di rivali politici che Trump ha detto chiaramente di voler vedere perseguiti e puniti. Lui dice che non è vendetta ma «giustizia», anche se le sue stesse parole e azioni mettono in dubbio tale affermazione. È stata la procuratrice federale del distretto orientale della Virginia, Lindsey Halligan, ex avvocata personale di Trump (come lo era la ministra della Giustizia Pam Bondi) a presentare l’incriminazione dopo che il suo predecessore, che non l’aveva fatto, è stato silurato dal presidente. Halligan è in carica dal 23 settembre. Il 20 settembre Trump ha fatto pressione su Bondi, scrivendo sul suo social Truth, che bisognava incriminare velocemente Comey (i termini di prescrizione scadevano il 30 settembre) e altri suoi critici del partito democratico come il senatore Adam Schiff e la procuratrice di New York Letitia James: «Non possiamo aspettare, sta distruggendo la nostra reputazione e credibilità. Mi hanno messo due volte sotto impeachment e incriminato (cinque volte) per NULLA. GIUSTIZIA DEVE ESSERE FATTA, ADESSO».
I sostenitori di Trump giustificano la rivalsa dicendo che il partito democratico per primo ha usato il dipartimento di Giustizia come un’arma politica, benché i casi contro Trump furono portati avanti da procuratori speciali, nominati quando può esserci un conflitto d’interessi per il dipartimento di Giustizia (la destra ha accusato anche il procuratore speciale Jack Smith: «È di parte»). «L’hanno fatto a me per quattro anni», ha detto Trump ieri ai giornalisti.
Dopo Comey – «dirty cop, poliziotto corrotto» – ha aggiunto che «ci saranno altri» casi, anche se ha negato che esista una «lista». Il dipartimento di Giustizia si sta preparando a indagare pure la fondazione di George Soros, donatore del partito democratico che Trump dice di voler vedere dietro le sbarre.
Comey ha risposto con un video su Instagram: «Ho il cuore spezzato per il dipartimento di Giustizia, ma ho grande fiducia nel sistema giudiziario. Sono innocente, andiamo a processo». Ha citato sua figlia Marlene, licenziata a luglio dal posto di assistente procuratrice nel distretto sud di New York (si era occupata anche del caso Epstein): «Una persona a me cara ha detto che la paura è lo strumento dei tiranni. La mia famiglia e io sappiamo da anni che ci sono costi per chi resiste a Donald Trump... Non vivremo in ginocchio e non dovreste farlo neanche voi».
Trump ha detto che Comey «è peggio di un democratico». Infatti l’ex direttore dell’Fbi è un ex repubblicano, già viceministro della Giustizia sotto George W. Bush. Trump elogiò Comey nel 2016 quando indagò— 11 giorni prima delle elezioni – su Hillary Clinton che, da segretario di Stato, aveva tenuto l’email su un server privato mettendone a rischio la sicurezza. Clinton ha detto di credere che l’indagine le costò le elezioni. Ma poi Trump licenziò Comey nel maggio 2017, mentre conduceva un’indagine su presunte interferenze russe. È convinto che il capo dell’Fbi abbia sabotato il suo primo mandato, diffondendo informazioni dannose. La destra ha preso di mira anche i familiari di Comey: l’attivista estremista Laura Loomer, che ha spinto Trump a «purghe» nella burocrazia, li accusa di avere «infiltrato» il dipartimento di Giustizia. Dopo il licenziamento della figlia Maurene ha attaccato suo marito che lavora nella stessa procura e un genero di Comey che si è licenziato dopo la sua incriminazione.