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 2025  settembre 27 Sabato calendario

"Stendhal dovrebbe essere donna e Shelley uomo Nei romanzi immortali è impossibile distinguere"

Intervista pubblicata su Tuttolibri nel 2015
Luce perfetta di Marcello Fois conclude idealmente la trilogia composta da Stirpe e Nel tempo di mezzo, la saga della “famiglia” Chironi, dall’800 a oggi una storia che ha il sapore di un’antica tragedia dove il desiderio e la vendetta, la colpa e il perdono, si fondono inestricabilmente nei disegni del fato. L’autore ne parla per Ttl con Michela Murgia, altra voce di spicco della Sardegna e della letteratura contemporanea.
Si può essere autori stranieri nella propria stessa letteratura? Marcello Fois a suo modo lo è, perché non sono molti i romanzi italiani che hanno fatto ricorso all’epica familiare per mettere in scena la Storia. A dispetto di una società patriarcale e familista, l’epopea generazionale sembra appartenere più ai modelli narrativi americani che alla letteratura italiana. Leggendo “Luce Perfetta” e i suoi precedenti verrebbe da dire che la letteratura sarda faccia eccezione.
«Credo di appartenere a quella categoria di scrittori che hanno capito che in letteratura, nella narrativa, quello che conta è il punto d’arrivo. Ognuno di questi che hai citato ha raggiunto, partendo dal suo specifico, il territorio della narrazione e ha incontrato autori apparentemente lontanissimi. Dove c’è un’idea di Nazione c’è un’epopea generazionale, solo che certi scrittori concepiscono Nazioni persino prima che esse esistano veramente. Il nostro romanzo nazionale fondativo è uscito vent’anni prima che fossimo uno Stato Unitario. È possibile che certi autori sardi, magari anche tu, intravedano una nazione possibile prima dei sardi stessi… Ma quello è solo il punto di partenza.»
Un diffuso pregiudizio pretende che gli scrittori facciano l’epica perché raccontano le imprese e la potenza pubblica dei fatti, mentre le scrittrici facciano l’etica, perché raccontano i sentimenti e la forza intima delle relazioni. Mai come in “Luce perfetta” questa distinzione mi sembra futile, perché nella vicenda dei Chironi le relazioni sono fatti non meno di quanto lo siano i grandi mutamenti storici dell’Italia del ’900. Dov’è il confine, se c’è?
«Sono pregiudizi che si impara a schivare con la lettura. A occhio Stendhal dovrebbe essere donna e Mary Shelley uomo. Questa forbice si allarga smisuratamente in chi non ha letto abbastanza. La letteratura non è mai questione di petto o coscia: scrivo bene o racconto bene? Affronto l’epica dei grandi eventi o l’etica delle grandi scelte? Nei romanzi immortali questi distinguo sono impossibili. Restano dispositivi mobili che si adattano ai tempi proprio perché non si lasciano alterare dai pregiudizi. E perché arrivano al sodo senza infingimenti, senza ammiccamenti».
Nùoro, epicentro di “Luce Perfetta” come dei suoi precedenti, è uno scenario letterario ideale tanto per le storie che per la Storia, splendida prova dell’infondatezza delle categorie di centro e periferia quando si parla di bella letteratura. Vedendo una città di provincia incarnare tanto bene la sintesi dei grandi cambiamenti, viene il dubbio di aver sinora cercato la storia nel posto sbagliato...
«Trovo immensamente più provinciale fingere di essere un’altra cosa per la paura di apparire provinciale. Ancora una volta i romanzi che ho amato mi hanno insegnato che una prerogativa dello scrittore autorevole, quindi autore, è di determinare un centro dove apparentemente non c’è o non dovrebbe esserci. È la conquista di questa autorevolezza che genera la prassi e permette di considerare qualunque luogo una possibile capitale letteraria. Bisogna lavorare, rispettare il lettore senza leccargli i piedi, scrivere al meglio, raccontare una storia».
La storia dei Chironi è costellata sì di madri, ma soprattutto di padri, divenuti tali nei modi più disparati, dall’adozione allo stupro, dall’amore al tradimento, con una continuità che passa ora per la volontà e ora per il caso. Nell’era della crisi della figura paterna scrivere storie “in stato di paternità” sembra una sfida culturale oltre che letteraria, la messa in scena di un ruolo senza più i contorni antichi, ma ancora privo dei nuovi.
«Hai ragione: la paternità è una vera scommessa, ma è anche un territorio attraverso il quale si può descrivere uno stato di crisi assai più antico di quanto sembri. In letteratura contano le eccezioni, attraverso quelle si può raccontare l’esatto opposto. Un padre affettuoso può narrare meglio di qualunque inchiesta le migliaia di padri anaffettivi, incompetenti, e spesso, violenti di cui sono pieni i nostri notiziari. Pensa che in un classico dei classici come Giulietta e Romeo l’eccezione vera è che i due ragazzi ritengano che innamorarsi e sposarsi siano fatti immediatamente conseguenti, ma non è così. Quella storia è immortale proprio perché narrata a un pubblico che non concepiva il matrimonio come conseguenza dell’innamoramento. Mi sono sempre chiesto che padre sarebbe diventato Romeo: uno di quelli che a sua volta avrebbe costretto il figlio a sposarsi senza amore o, al contrario, uno che avrebbe sancito l’eccezione di sposare solo chi si ama? Nemmeno Shakespeare si azzarda a infilarsi in quel ginepraio e, infatti, i piccioncini li fa fuori».
"Luce Perfetta” è ambientato negli Anni 80, una decade poco raccontata che con il culto dell’individualismo ha sfatato anche il mito della Sardegna arcaica resistente ai cambiamenti della storia. Tuttavia, mentre l’avidità e il malaffare sono identici a quelli di ogni altro centro di potere, nelle tue pagine le risposte culturali, affidate soprattutto alle donne, sembrano invece molto locali. Cosa resiste e cosa si è perso nel confronto tra memoria e modernità?
«Le donne della mia vita, e quindi quelle dei miei romanzi, sanno per certo, e mi hanno insegnato, che non esiste alcuna possibilità di essere moderni senza memoria. Né di essere nuovi senza coscienza della propria storia. Mi hanno insegnato che i cittadini smemorati sono assai più funzionali di quelli che ricordano: i “furbi” di sempre contro i “fessi” di sempre. Nessuna novità all’orizzonte».