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 2025  settembre 27 Sabato calendario

Creò a china l’eroe perfetto Flash Gordon e divenne "il Michelangelo del fumetto"

Articolo pubblicato su Tuttolibri nel 2014
Mentre precipita in un pozzo s’aggrappa con un braccio a un tubo di ferro, con l’altro afferra la principessa Aura, poi con un impeto di forza straordinario si issa in piedi sulla barra, balza verso un passaggio ed elude le fauci di draghi famelici. Tutto è inverosimile, incredibile, straordinario. Flash Gordon se la cavava sempre perché le sue risorse, come quelle del popolo americano, erano infinite. Pilotava provetto razzi mai visti prima, uccideva bestiacce immonde, sconfiggeva eserciti di nemici, faceva innamorare fanciulle a prima vista. Con le sue avventure e con il perfetto tratto a china che valse all’autore, Alex Raymond, la nomea di Michelangelo del fumetto, innovò la fantascienza, passando dalla carta al cinema alla radio (ovviamente anche ai giocattoli), ad attestati d’amore celebri dai Queen (gruppo rock inglese) a Umberto Eco a Lucas (Guerre stellari).
A ottant’anni esatti dalla prima apparizione, l’editoriale Cosmo ristampa in versione integrale e restaurata da Peter Maresca «tutte le strisce domenicali» in tre volumi. I testi mantengono il lessico ruggente e stentoreo dell’Avventuroso, l’albo che portò il fumetto americano in Italia durante il fascismo, e lo rese popolare anche da noi, sebbene Flash fosse un combattente della libertà contro tutte le dittature totalitarie (qualche anno dopo il Minculpop se ne avvide e corse ai ripari). E nello stesso tempo vengono filologicamente corrette. Flash torna, per esempio, ad essere il brillante laureato di Yale, nonché giocatore di polo perché allora, forse per insipienza del traduttore o forse per una confusione generata dai pantaloni a sbuffo indossati nelle primissime tavole, era un ufficiale. E tornano ad essere seminudi anche i sensuali corpi femminili che la censura fascista (come Daniele da Volterra fece in Cappella Sistina, per restare in paralleli michelangioleschi) ricoprì di braghettoni.
Flash nacque da Alex Raymond, ex agente di borsa travolto dal crack del ‘29. Mentre i colleghi si lanciavano dalle finestre di Wall Street, lui decise di volare con la fantasia dei fumetti. Si iscrisse a una scuola d’arti newyorkese e allenò le falangi con Cino e Franco, Tillie The Toiler, e Blondie, una giovane, spigliata, esuberante fanciulla che cercava di sistemarsi sposando il ricco rampollo Dagoberto. Poi entrò nel King Features Syndicate e disegnò con rutilante stacanovismo tre serie settimanali popolarissime sui quotidiani del new deal, come Jungle Jim (l’investigatore nella foresta) e l’Agente segreto X-9 che all’inizio veniva sceneggiato da Dashiell Hammett.
La prima striscia di Flash Gordon è del 7 gennaio 1934. Biondo, muscoloso, laureato, diventa supereroe per caso (e senza superpoteri) in una Terra nel panico minacciata dall’impatto con un pianeta misterioso. Mentre viaggia serafico su un aereo, e un meteorite colpisce l’ala, prende la situazione in mano, come l’America di Roosevelt: si lancia col paracadute con la bella passeggera Dale che per il solo fatto d’essere rimasta avvinghiata a lui nel vuoto, e senza neppure un bacio, si innamora per sempre; atterra – ancora casualmente – vicino al dr. Zarkov, un folle scienziato che ha deciso di spararsi su un razzo contro l’astro killer per scongiurare la fine del mondo, e viene trascinato sul pianeta Mongo; qui, combatte il crudele imperatore Ming che sottomette i popoli con la violenza, tortura i prigionieri politici, organizza giochi gladiatori e orge goderecce e, non a caso, ha quell’odiata pelle gialla che inquieta l’Occidente da Napoleone, a Lenin al perfido dottor Fu Manchu dei thriller di Sax Rohmer, anche se la Cina, allora, sonnecchiava ancora.
Flash, al contrario, sfoggia tutti gli attributi tradizionali dell’America wasp, bello, bianco, biondo, ma anche coraggioso, leale, generoso, monogamo. Non ha tempo per pensieri, rovelli, malinconia – talvolta perde addirittura memoria e coscienza di sé per opera di un filtro magico – sa solo che deve lottare contro il tiranno e tutti i suoi simili per il trionfo di un bene semplice, puro, omogeneizzato, verso il quale è attratto da un istinto quasi animalesco (o ingenuamente americano. Per questo (oltre che per il corpo palestrato) piace subito alle donne e agli stessi nemici che, dopo la sconfitta, scelgono di diventargli amici.
Ogni avventura durava al massimo dodici tavole. E ognuna era zeppa di particolari – Raymond è stato il primo fumettista a curare i dettagli, considerati fino ad allora una perdita di tempo – come le miniature dei Minnesänger, o le visioni di Bosch. Perché il fascino narrativo di Flash veniva da un gioioso, improbabile, frullato di generi letterari. La fantascienza e il fantasy, mondi esotici e astronavi, regine crudeli e uomini con ali, code, peli da scimmie, i draghi e i dinosauri, le armi fotoniche e la spada, i cannoni laser e i cavalli, i razzi e i pepli dei barbari. E tanto stuzzichevole eros, che vibra negli harem del pianeta Mongo, nelle regine vogliose, nelle fanciulle «rieducate all’obbedienza» da frustate sulla schiena nuda con gusto maliziosamente sadomaso. Il tutto accompagnato da incalzanti didascalie in uno stile a metà tra Salgari e Edgar Rice Burroughs.
L’ultima vignetta domenicale si concludeva con una situazione di pericolo aperta, e la scritta «continua alla prossima settimana», con un assaggio di quanto sarebbe accaduto. Sfruttava il meccanismo della narrazione a puntate inventato dal feuiletton dei giornali ottocenteschi. Piacere interruptus per fidelizzare il lettore. Perché dietro le avventure di Flash, oltre al talento di Raymond, s’annidava il genio di Hearst, quello del Quarto potere di Welles, l’editore che aveva conquistato soldi e potere con la carta stampata. Tra le sue invenzioni per aumentare le tirature, c’era un supplemento domenicale zeppo di fumetti disegnato dai migliori autori sul mercato (ebbe anche il giovane Walt Disney agli inizi di carriera). Li arruolava nel King Features, il potente «sindacato» che rivendeva le strisce ad una rete di altri duemila quotidiani nel resto del mondo. Perché sapeva che i contenuti valgono, e devono essere pagati. Diverso dalla «rete» web di oggi. Che rischia di uccidere contenuti (e giornali) regalandoli.