La Lettura, 28 settembre 2025
Nuova energia dal Sole sulla Terra
Dal 3 al 19 ottobre si terrà la XXIII edizione del festival BergamoScienza, dedicato alla divulgazione. Nell’anno internazionale della Scienza e della tecnologia quantistica, il festival esplorerà il tema «In-formazione. Dai quanti alla vita». Oltre 180 eventi, gratuiti e aperti a tutti, per raccontare l’informazione come codice universale: il Dna e le leggi della fisica, i linguaggi della cultura e i sistemi di intelligenza artificiale. Oltre agli incontri (info: bergamoscienza.it), sono in programma numerosi laboratori sviluppati per il festival da realtà d’eccellenza della divulgazione italiana. Tra le novità di questa edizione, in particolare, il laboratorio interattivo «Cervello in gioco», realizzato da BergamoScienza grazie al finanziamento di Regione Lombardia per le «Olimpiadi della Cultura», il programma ideato per accompagnare Milano-Cortina 2026 (il laboratorio inizierà a Bergamo e avrà ulteriori tappe a Milano e Sondrio). BergamoScienza è organizzato da Fondazione BergamoScienza, che da quest’anno prende il posto della precedente associazione attraverso una governance rinnovata. La Fondazione è ora presieduta da Andrea Moltrasio, con Nicola Quadri nel nuovo ruolo di direttore e Telmo Pievani presidente del comitato scientifico.
Il fabbisogno crescente di energia, il riscaldamento climatico e, per l’Europa, le difficoltà di approvvigionamento nate dai conflitti, spingono gli scienziati a cercare nuove fonti certe e «pulite» di energia. Anche per proteggersi dall’imponderabile: dal 2021, la Germania, il più grande produttore europeo di energia eolica, ha patito periodi di prolungato calo del vento, e ha dovuto supplire alle carenze con l’acquisto di maggiori quote di carburanti fossili. Serve quindi una fonte affidabile, capace di integrare le fonti in uso. L’Unione europea (dati 2023 del Consiglio europeo), produce 2.572 terawatt/ora di energia elettrica, in modo misto: il 45,3 per cento da fonti rinnovabili (eolica, idroelettrica, solare, biomassa), il 31,7 per cento da combustibili fossili (gas, carbone, petrolio) e il 23 per cento dall’energia nucleare da fissione, che produce molta energia ma anche scorie estremamente inquinanti.
C’è però una speranza che viene dalla fusione nucleare, in cui due nuclei atomici si fondono tra loro come avviene nel cuore delle stelle, un orizzonte non troppo lontano, anche se c’è ancora molto da studiare, spiega la fisica Rachael McDermott, direttrice del Max Planck Institute for Plasma Physics (Ipp) di Garching, Germania, che studia la fisica dei plasmi con cui realizzare la fusione. Ne parlerà anche a BergamoScienza; a «la Lettura» anticipa i progressi di questa sfida.
Che cos’è il plasma, e che cos’è la fisica del plasma?
«In parole semplici, possiamo definire il plasma come un quarto stato della materia, anche se la definizione non è scientificamente corretta. Se noi riscaldiamo un solido si trasforma in liquido, se riscaldiamo il liquido otteniamo un gas (quel che succede con ghiaccio, acqua e vapore, ad esempio). Se scaldiamo un gas, è possibile dare agli elettroni abbastanza energia perché si separino dal nucleo carico positivamente: otteniamo un gas composto da particelle cariche elettricamente, negative e positive, il plasma, che risponde ai campi magnetici, è un conduttore elettrico, insomma si comporta in modo assai diverso rispetto a un gas neutro. La fisica del plasma è l’intero campo di studi sul comportamento del plasma: il plasma all’interno del Sole, quello delle nebulose nello spazio cosmico, ma anche i fulmini, la ionosfera terrestre... E poi abbiamo una fisica del plasma che tenta di creare la fusione qui sulla Terra, come sorgente di energia».
Quanto siamo vicini a creare un «Sole sulla Terra»? In quali studi è impegnato il Max Planck Ipp?
«Quest’espressione, “il Sole sulla Terra”, è un modo molto eloquente per spiegare quel che facciamo. La fusione nucleare è il processo che alimenta le stelle: quando due nuclei atomici leggeri vengono avvicinati molto, possono fondersi in un nuovo nucleo più pesante, rilasciando energia. Nella ricerca sull’energia da fusione, miriamo alla fusione di isotopi dell’idrogeno (deuterio e trizio) per formare un nucleo di elio e un neutrone aggiuntivo: ogni reazione rilascia 17,6 megaelettronvolt. La nostra missione è sviluppare la fisica necessaria per progettare e costruire dei reattori a confinamento magnetico per la fusione nucleare, e comprendere la fisica che consente di confinare il burning plasma, il plasma bollente, in campi magnetici così ben definiti da raggiungere le condizioni per produrre energia netta. Dall’energia netta deriva poi l’elettricità, che può essere messa in rete e usata dai consumatori, ed è lo scopo finale».
Quali sono i progetti più avanzati in corso, quelli di cui parlerà anche a BergamoScienza?
«Ci affidiamo a due sviluppi, a due “concetti” diversi, uno a Garching, vicino a Monaco, e l’altro a Greifswald. A Garching seguiamo il Tokamak e a Greifswald lo Stellarator. Di principio sono progetti simili, ma hanno due design differenti per creare il contenitore magnetico, la bottiglia magnetica, che serve a confinare le particelle cariche».
Quali ostacoli restano da superare?
«Occorrono tre cose per ottenere la fusione: la giusta densità, la giusta temperatura e il fatto di mantenerla abbastanza a lungo. La temperatura non è un problema, è abbastanza facile raggiungere temperature dell’ordine di un centinaio di milioni di gradi. Abbiamo anche raggiunto la corretta densità. Occorre aumentare il tempo di confinamento del plasma bollente. Per capirci, una tazza di caffè caldo si raffredda rapidamente, ma se metti il caffè in un thermos, resterà caldo molto più a lungo: ecco, ci serve un thermos migliore. Gli strumenti che stiamo disegnando vanno in questa direzione: Iter, nel Sud della Francia, ha un tempo di confinamento di 5 secondi (finora si restava nell’ordine di poche centinaia di millisecondi). Ma c’è ancora tanto da fare. Abbiamo bisogno di un tempo sufficiente affinché questo fuoco si autoalimenti e mantenga il plasma caldo (se dobbiamo usare energia per scaldarlo, allora tanto vale...)».
L’energia da fusione potrà sostituire le altre fonti? E quando?
«Questi programmi cominceranno a produrre risultati in circa 10 anni, 20 per l’implementazione. È un tempo più lento di quanto molte compagnie private vorrebbero (i privati forse correrebbero qualche rischio, noi come istituzione pubblica non possiamo). Quanto all’uso: abbiamo bisogno di una fonte che “stabilizzi” la rete energetica e che sia sempre disponibile: nel caso del vento o dell’energia solare non abbiamo un controllo sull’operatività, o su eventuali cali. La stabilizzazione si può ottenere anche dai combustibili fossili, ma non è ambientalmente sostenibile, o dalla fissione nucleare, come in Francia (la Germania ha scelto di dismettere le centrali). Alcuni Paesi hanno capacità di accumulo, come la Norvegia, con riserve di energia. La fusione offrirebbe questo carico di base dove non c’è possibilità di accumulo».
Quanto costerà?
«Le stime per il primo prototipo (non l’abbiamo ancora costruito) sono di 20 miliardi di euro; per l’implementazione, 10-30 miliardi. Quanto al prezzo per chilowatt, dipende dal mix energetico: sarà più costoso della fissione ma non in modo significativo. Certo, non è la soluzione con la s maiuscola, è una tra le soluzioni. Per motivi ambientali dobbiamo allontanarci dai combustibili fossili, ma la domanda di energia crescerà e dobbiamo soddisfarla con una fonte affidabile, e la fusione lo è».
Quanta energia potrebbe produrre?
«L’Eu Demo program, grande progetto di EuroFusion, mira a produrre 2 gigawatt di plasma, con 500 megawatt di elettricità. Ma al momento non c’è accordo su chi dovrebbe finanziarlo (per la Commissione europea dovrebbero essere i Paesi membri, che però non hanno i fondi). Molti privati mirano a progetti più piccoli, di un centinaio di megawatt. Io sarei felice di vedere anche un solo megawatt, ma si deve essere più ambiziosi».
Ma quanti megawatt servono per illuminare una città?
«In termini di energia totale, a seconda della grandezza della città, da qualche centinaio di megawatt a 1-2 gigawatt. Ma noi speriamo di contribuire per il 20 per cento del totale, con la fusione nucleare».