La Stampa, 26 settembre 2025
Amianto, la strage infinita E i nuovi malati sono sempre più giovani
Quella fitta alla schiena, quel colpo di tosse che non passa, quel respiro affannato. A Casale Monferrato, nell’Alessandrino, basta poco per avere il terrore. Per pensare al mesotelioma, di cui ogni 26 settembre ricorre la Giornata internazionale. A quasi quarant’anni dalla chiusura dell’Eternit, che lì aveva il più grande stabilimento d’Europa, si fa fatica a parlare di quel tumore raro al polmone causato dall’amianto, che colpisce la pleura e toglie il fiato. Dopo oltre tremila morti, in una città di poco più di 30 mila abitanti, non se ne vuole più sapere. La paura di incontrare il mesotelioma si è insinuata nel cuore e nella testa di ogni cittadino. Lì, dov’è tutt’altro che un tumore raro, quella parola risuona ancor prima di ricevere la diagnosi. E si spera di non sentirla mai, perché è una sentenza di morte: di mesotelioma non si guarisce.
In Italia ogni anno i casi sono 3 mila, 30 mila nel mondo. «Nel nostro Paese da qui al 2040 ne sono attesi altri 25 mila», avverte l’oncologa Federica Grosso, specializzata in tumori rari che all’ospedale di Santi Antonio e Biagio di Alessandria è responsabile della SSD mesotelioma e tumori rari. Da inizio anno ha incontrato 43 nuovi pazienti del territorio. Le statistiche annunciavano il picco nel 2020, poi quest’anno. «Si parla di un lento declino – conferma l’esperta –. I casi stanno diminuendo, ma emergono esposizioni prima impensabili. Una mia paziente si è ammalata perché lavorava in teatro: il sipario era di amianto».
Fino a poco tempo fa quello che si sapeva del mesotelioma era che colpiva gli ex lavoratori della fabbrica dopo quarant’anni dall’esposizione: più o meno ci si ammalava nell’età della pensione. Succede ancora, ma arrivano anche i più giovani, dai 40 anni in su, che all’Eternit non hanno mai messo piede, vivono lontani da Casale Monferrato e non sanno cosa sia il mesotelioma finché non lo incontrano.
Ad Alessandria, Grosso riceve persone da ogni parte d’Italia, 81 solo da gennaio a fine agosto. Come Fabiano Del Grande, 54 anni di Lucca, che si commuove quando parla della sua oncologa, sempre pronta a rispondere a un messaggio. E così il gruppo di supporto di Tutor, l’associazione dei pazienti con tumori toracici rari. Fabiano la malattia dell’amianto l’ha scoperta da poco, ma potrebbe averla incontrata negli Anni Ottanta quando lavorava nella ditta artigiana del padre. «L’officina era ricoperta di amianto – ripercorre –. Io facevo il metalmeccanico e l’idraulico: spaccavo cisterne, probabilmente l’ho respirato proprio lì». Oggi è un volontario di Tutor: racconta la sua esperienza e si impegna perché di mesotelioma si parli di più, non solo quando la malattia bussa alla porta. «Dobbiamo sensibilizzare perché si faccia prevenzione – spiega –. L’amianto è ancora molto diffuso».
Le contaminazioni sono inaspettate: ospedali, banche, ferrovie, navi, università. Quella del mesotelioma è un’emergenza a cui solo la ricerca può porre freno: per avere più cure e perché un giorno da quel tumore raro si possa guarire. Qualche passo importante è stato fatto: nel 2022 l’Aifa ha approvato l’immunoterapia dopo l’ok dagli Usa nel 2020. Un’arma in più per i casi più gravi su cui la chemioterapia non funziona, il 25% del totale. «L’aggressività del mesotelioma – chiarisce Grosso – dipende dall’istologia. Li classifichiamo in epitelioide, sarcomatoide e bifasico».
Oggi non si guarisce, ma si cura. «Fino a 40 anni fa era impensabile – dice l’oncologa –. Il mesotelioma veniva definito un “male incurabile”. Non è più così: i pazienti vivono più a lungo e meglio grazie alla cura dei sintomi». Come succede a Fabiano che per ora fa una vita normale, ma ha avuto la fortuna di prendere il tumore in tempo ed essere operato. È un’eccezione: l’intervento riguarda il 10% delle diagnosi. Ogni caso è a sé e i malati lo sanno bene. «Si convive tra speranza e condanna. Partecipare ai gruppi di Tutor aiuta a definire normale sentirsi così. Sapere che non si guarisce fa stare in un limbo». Sandra Cavone, ingegnera di 59 anni di Lecce, ha scoperto di avere il mesotelioma nel 2023. I medici hanno ipotizzato che si sia ammalata quando frequentava l’università: era vicino all’ex Fibronit. Oggi è una volontaria di Tutor e partecipa ai gruppi mensili con un’altra decina di persone. «Scambiarsi esperienze fa sentire meno soli», conferma Massimo Levi, di Roma, che dell’associazione è vicepresidente. Le ultime cure per lui hanno funzionato e la malattia è stabile: «Vedremo con i controlli di novembre. Il fiato corto non mi abbandona mai, ma non smetto di camminare otto chilometri al giorno con i miei cani. Ho sempre pensato che l’allegria faccia bene». «Lavorare insieme, medici e pazienti – precisa Grosso –, significa far fronte comune sulla ricerca e sulla disponibilità di nuovi farmaci». «L’obiettivo della Giornata internazionale – chiarisce Laura Abate Daga, presidente di Tutor – è parlare di mesotelioma perché si faccia qualcosa: le bonifiche per prevenire e la ricerca per curare e, speriamo, un giorno guarire. Per dare una speranza in più ai malati». —