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 2025  settembre 26 Venerdì calendario

Flacks, il fondo Usa che offre un euro per tutta l’Ilva (ma tende la mano ai lavoratori)

Riprende la corsa a ostacoli per la vendita dell’ex Ilva di Taranto. Entro la mezzanotte di oggi si conosceranno i nomi dei potenziali acquirenti del complesso siderurgico. I commissari di Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria aspettano soprattutto le offerte, adeguate ai requisiti inseriti nel bando pubblicato nell’agosto scorso, degli indiani di Jindal Steel international e del fondo statunitense Bedrock Industries.
Le due società, che avevano partecipato alla gara bandita un anno fa, hanno fatto sapere che faranno pervenire le loro proposte. Dopo l’uscita di scena degli azeri di Baku Steel, che hanno rinunciato alla trattativa riservata avviata dal governo dopo il no del Comune di Taranto alla nave rigassificatrice per rifornire la fabbrica del gas liquido necessario per alimentare quattro impianti di preridotto di ferro, oltre a tre forni elettrici, il ministero delle Imprese e del made in Italy attende le mosse del player indiano e del fondo Usa.
Le altre offerte
Ai commissari, però, arriveranno anche altre offerte. Qualcuna, stando alle indiscrezioni, è stata già depositata. Si tratterebbe di un altro fondo statunitense, Flacks Group, un family office globale e holding di investimento fondato nel 1983 da Michael Flacks, specializzato nell’acquisizione, risanamento e rilancio di aziende in crisi. L’offerta sarebbe simbolica: un euro per tutti gli impianti, con ampie garanzie di salvaguardia dell’occupazione. Altre proposte potrebbero riguardare singoli asset.
Nella precedente gara, per esempio, era pervenuta un’offerta dal gruppo Marcegaglia, ma soltanto per alcuni siti del Nord, come Novi Ligure e Cornigliano. Adesso potrebbe essere ripresentata. Lo stesso discorso vale per Amenduni e per Sideralba. Quest’ultima società si era fatta avanti per gli impianti più piccoli, ossia Racconigi e Salerno. Una manifestazione di interesse potrebbe arrivare anche dal centro servizi Eusider di Lecco.
Nessuno spezzatino
Il governo darà la precedenza a chi vorrà acquisire l’intero complesso siderurgico. Per questo le attese sono riposte soprattutto in Jindal Steel International. Il gruppo indiano vanta un fatturato di circa 12 miliardi di dollari ed è specializzato nell’uso di gas per la produzione del Dri, il preridotto di ferro necessario per alimentare i forni elettrici. Dallo stabilimento in Oman di proprietà della società potrebbe arrivare il preridotto per Taranto.
Non è escluso che Jindal, come del resto altri potenziali acquirenti, possa siglare intese con altri player interessati a singoli asset (nei mesi scorsi si è parlato proprio del gruppo Marcegaglia). Lo stesso discorso vale per Bedrock Industries. Il fondo creato da Alan Kestenbaum è attivo nel settore dei minerali industriali, delle risorse naturali e dei metalli. In passato si era parlato di una possibile partenership con Arvedi, ma al momento non ci sono elementi che possano confermarlo.
L’acquirente dovrà garantire il processo di decarbonizzazione in un arco massimo di cinque anni. I commissari avranno un paio di mesi per valutare le offerte. Il nome dell’acquirente si dovrebbe conoscere a fine novembre. La procedura, che contemplerà anche il passaggio dall’Antitrust europeo, si dovrebbe concludere entro la fine della primavera. Rispetto a un anno fa, il governo sa che la cessione avverrà a una cifra vicino allo zero. La situazione degli impianti non autorizza a pensare a offerte al rialzo. Con un solo altoforno in funzione a Taranto, la produzione al minimo e perdite che sfiorano i due milioni al giorno, non potrebbe essere diversamente.
Sono tante, comunque, le incognite che gravano sul percorso di vendita. Non va dimenticata, infatti, la questione occupazionale. Il tavolo per discutere dell’aumento della cig fino a 4.450 addetti, richiesto dall’azienda, è stato convocato per lunedì 29 settembre al ministero del Lavoro. Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm ne hanno chiesto il rinvio. Chiedono che la vertenza approdi a Palazzo Chigi: pretendono garanzie sulla salvaguardia dei livelli occupazionali. Per come stanno le cose, infatti, il rischio di dover gestire migliaia di esuberi, soprattutto a Taranto, è tutt’altro che remoto.