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 2025  settembre 18 Giovedì calendario

Sulle elezioni regionali nelle Marche

La forbice dei sondaggi tra Francesco Acquaroli (governatore uscente del centrodestra) e Matteo Ricci (sfidante del centrosinistra) resta sul serio stretta, il fratello d’Italia è avanti, però di pochi punti: insomma c’è partita, c’è sofferenza politica e ora vi si informa su tutto, ma intanto cominciate a non dare retta al solito stucchevole mantra, è una balla che le Marche sono il nostro Ohio, perché chi vince qui non vince poi le elezioni nazionali (senza considerare che, nelle convention dell’Ohio, il colesterolo se lo alzano ingurgitando piattoni di Cincinnati Chili, un intruglio di fagioli, formaggio, senape e cipolle, servito su spaghetti scotti: mentre da queste parti stiamo invece con sublimi piadine allo squacquerone, il che imporrà di finire il nostro racconto sulla spiaggia, già prenotato un tavolino, per dopo).

Quando saremo ormai ufficialmente dentro la vera campagna elettorale marchigiana, cominciata alle sette del pomeriggio: con comizi in contemporanea e due palchi diversi e distanti. Quello per Acquaroli ad Ancona (Meloni, Tajani, Salvini, Lupi e De Poli, leader dell’Udc, segnalati dalle agenzie come sempre felici e a braccetto, la loro specialità quando il gioco si fa duro) e quello del centrosinistra qui a Pesaro, con Matteo Ricci che cerca l’impresa. E che, adesso, prende la parola accanto a Elly Schlein e Stefano Bonaccini («Elly, ma Conte dov’è?»: e niente, i compagni pesaresi vogliono proprio guastare la festa).

Scenari. Cominciando da quello del centrodestra, vagamente scontato. Con questo Acquaroli - 50 anni, consulente finanziario, azienda agricola di famiglia, interista - che è tra i pochi veri cocchi della Meloni. Si conoscono dai tempi di Azione Giovani. Uno di quei rapporti classici, a destra: militanza, valori condivisi, amicizia solida. Nonostante tutto. Perché lei lo fa diventare deputato. E lui la fa infuriare. Succede il 28 ottobre del 2019, la sera che Acquaroli finisce a una cena in un ristorante di Acquasanta Terme, provincia di Ascoli Piceno. Menù con fascio littorio e dedica: «Il 28 ottobre 1922… giorno memorabile e indelebile». Camerati! A noi! Cin cin! È una tavola di fascisti che celebrano l’anniversario della Marcia su Roma di Mussolini. Con Acquaroli c’è il sindaco di Ascoli, Marco Fioravanti, pure lui fratello d’Italia, più altri capetti locali del partito. Che, nei giorni seguenti, sono costretti a cincischiare: «Eravamo lì… di passaggio». «La Marcia su Roma? Cioè? Dove?». La Meloni gli fa uno sciampo memorabile. 

Acquaroli è comunque bravo a farsi subito perdonare conquistando, a sorpresa, la guida della regione. È chiaro che però, a questo punto, Giorgia lo conosce meglio: gli vuole bene, ma sa che va un po’ controllato. Anche per certe difficoltà mediatiche (il Resto del Carlino, qualche settimana fa, in un commento, gli consigliò esplicitamente di non partecipare a dibattiti televisivi). Arianna, la sorella della premier e comandante in capo dei Fratelli, con feroce pragmatismo, gli ha perciò spedito come angelo custode Italo Bocchino, il principe nero dei talk tv, dove sfoggia grande esperienza e stupenda perfidia. «Aiuto Acquaroli a comunicare tutti i suoi grandi successi». Geniale. Ma Bocchino fa di più: come un medium annuncia, in largo anticipo, il colpo di scena giudiziario. L’avviso di garanzia che la Procura di Pesaro invia a Ricci, attualmente europarlamentare, per fatti avvenuti quando era sindaco (amato) della città: «Affidopoli».

Ricci va dai giudici, spiega, si dichiara innocente. Acquaroli, stranamente, evita però di azzannarlo. Perché? Guardate: sembra che per uno strano meccanismo psicologico, la vicenda in cui è incappato, a Ricci stesse facendo addirittura aumentare i consensi. Boh, vabbé. Resta che Ricci, per vincere, deve compiere un capolavoro. Le campagne elettorali per diventare governatore celano sempre notevoli complessità. Ricci e Acquaroli guidano ciascuno sette liste. Il problema è che Ricci ha raschiato il fondo: Pd, 5 Stelle, Avs, poi ci sono una lista con dentro Renzi, +Europa e i socialisti, una civica moderata, una per Ricci governatore e una pure con Potere al Popolo. Calenda s’è tirato fuori (as usual). A occhio, la scena è questa: il centrosinistra è forte al nord della regione, dove ancora resiste una certa memoria rossastra, c’è la vicinanza con l’Emilia, ci sono circoli del Pd molto attivi. Il Sud, il piceno, è di Acquaroli. In mezzo, il ghiotto bacino delle cosiddette Marche bianche, assai popolose, ma senza un candidato centrista, che rischiano perciò d’essere l’ago della bilancia. Per capirci: poiché si stima che a votare andrà poco più del 50% degli aventi diritto, circa un milione e 300 mila abitanti, è chiaro che 1 punto di percentuale equivale a circa 6 mila voti. Cioè, a niente: un soffio, e vinci. Due soffi, e straperdi.

Ricci batte molto sui disastri della sanità marchigiana. Ricorda che le strade sono piene di cantieri. E che i treni viaggiano a velocità ottocentesche. Ricorda il doping politico con cui il governo starebbe aiutando il suo candidato, «tra stanziamenti del Cipes e Zes unica». Spiega che i dazi imposti da Trump, «grande amico della Meloni», danneggiano molte piccole aziende locali.

Questi discorsi spostano opinioni? Sotto il palco di Ricci in piazza della Libertà, scarno, essenziale, niente a che vedere con quello poderoso di Ancona (seguiamo la diretta sulla pagina Facebook di Acquaroli), però qui per sfondo la Sfera Grande di Pomodoro, un mare colore del cielo, Mirko Casadei che va via dopo aver appena cantato, c’è il deputato del Pd Claudio Mancini (archistar della campagna elettorale insieme a Goffredo Bettini), che riflette con realismo: «È un voto politico. Difficile. Meloni contro Ricci. Quindi penso, e spero, che alla fine Ricci vinca, sia pure di corto muso. Perché questa è comunque la sua terra, ed è più popolare della premier».

Però la Meloni è venuta a metterci la faccia. Non siamo, ovvio, ai livelli di Berlusconi (che, se solo avesse voluto, sarebbe stato in grado far eleggere un cavallo). Ma quando Giorgia sale su un palco, resta il peggior avversario possibile per chiunque. Anche perché qui vuole proprio vincere: per poter così lasciare a Salvini il candidato per il Veneto e a Tajani quello della Campania.

Non sembra, per ora, ci sia altro.

A parte la voce che, forse, a fine comizio, si balla un po’ di liscio.