Avvenire, 25 settembre 2025
«Addio» Monte Ararat. E l’Armenia si spacca
In un mondo dove i nazionalismi sembrano aver preso il sopravvento sulla ragione, si litiga anche per una montagna disegnata, anche se non è decisamente una qualunque. Il Monte Ararat è un luogo simbolo della tradizione cristiana e in particolare di quella armena. Ma c’è un piccolo particolare: dal 1921 si trova sul territorio della Turchia, che lo assorbì con il trattato di Kars. Come noto, la Mezzaluna con gli armeni ha qualche problema irrisolto legato al genocidio del 1915, mai riconosciuto e costato la vita a un milione di persone. Ankara, che quanto a nazionalismo non ha nulla da imparare dal resto del mondo, ha sempre criticato il fatto che Erevan utilizzasse l’immagine dell’Ararat, stilizzata o di profilo che fosse, come simbolo identitario. Alla montagna “degli armeni” sono pure dedicate una marca di sigarette e un liquore famoso in tutto il mondo. La si trovava sulle magliette dei calciatori della nazionale, sui timbri dei passaporti. Poi è arrivata la guerra in Nagorno-Karabakh fra Armenia e Azerbaigian, quest’ultimo grande alleato della Turchia per motivi storici, religiosi e culturali (fra i quali è da inserire il sentimento antiarmeno). Baku, supportata da Ankara in modo determinante, è riuscita a cacciare le comunità armene che vivevano nella enclave da secoli, creando una pesante situazione di instabilità nel Caucaso del sud, con Erevan che, stretta fra i due nemici storici e la sua volontà di smarcarsi dalla Russia, era sicuramente quella nella posizione più debole.
Qui entrano in gioco gli Stati Uniti di Trump, che avviano un processo di normalizzazione dei rapporti, non senza conseguenze per Erevan, che però aveva bisogno di un accordo per evitare l’isolamento geografico e politico e aprire la sua economia all’estero e non più solo a Mosca. E qui arriva anche il balzello da pagare. La sagoma dell’Ararat sparirà dai timbri sui passaporti dal prossimo novembre. E nel Paese la cosa non è piaciuta. Il premier, Nikol Pashiyan, sapeva a che cosa sarebbe andato incontro e, nell’annunciare la decisione alla nazione, ha sottolineato: «Il nostro compito è prendere decisioni che possano garantire la sicurezza nazionale e i nostri confini non solo oggi, ma per un secolo».
Mettere le mani avanti, però, non è servito a niente.
L’opposizione, che già in occasione della guerra in Nagorno-Karabakh aveva accusato il primo ministro di essere troppo debole, ha protestato, portandosi dietro una buona fetta di opinione pubblica per la quale, evidentemente, l’Ararat non è solo una montagna. Ci sono state azioni formali e l’immancabile ondata di sdegno sui social, soprattutto da parte degli abitanti della capitale, che vedono la sagoma della montagna “patriottica” dalle loro finestre.