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 2025  settembre 25 Giovedì calendario

Bce: “Inflazione nell’area euro al 2% ma il cibo costa un terzo in più di prima del Covid”

Il carrello della spesa incide anche sulle decisioni di politica monetaria. L’inflazione nell’area euro è tornata al 2%, ma la spesa alimentare resta più alta di un terzo rispetto a prima della pandemia. È il dato che apre il nuovo post del blog della Banca centrale europea, firmato da Elena Bobeica, Gerrit Koester e Christiane Nickel, che mette in guardia: «Per molti nuclei familiari non sembra di essere in una condizione migliore. Quando si entra in un supermercato, parecchi si sentono più poveri di prima della fiammata inflazionistica seguita alla pandemia». Secondo l’istituto di Francoforte, un europeo su tre è preoccupato di non potersi permettere il cibo che vorrebbe comprare.
Il ritorno dell’inflazione generale al target del 2% fissato dalla Bce, dal picco del 10,6% registrato nell’ottobre 2022, non ha dunque cancellato la questione dei prezzi alimentari. I salari hanno recuperato parte del potere d’acquisto eroso negli ultimi anni, ma questo non basta a ridurre la pressione sui bilanci familiari. La Bce sottolinea che «i prezzi dei beni alimentari restano ostinatamente alti – un terzo in più rispetto al periodo pre-pandemico». Per molte famiglie la percezione di impoverimento resta viva, alimentata non solo dalle cifre della spesa ma anche da un senso di ingiustizia: aumenti salariali sono visti come “guadagnati”, rincari di beni essenziali come una perdita subita.
Nel paniere dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo, il cibo pesa per il 20%, più del doppio dell’energia. Per questo la dinamica dei prezzi alimentari non è marginale. Nel 2023-24, mentre l’inflazione generale calava, il carrello della spesa ha continuato a correre, arrivando a superare il 15% e normalizzandosi solo lentamente. Ad agosto 2025 segnava ancora il 3,2%, il livello più alto tra le quattro grandi voci dell’indice: energia, servizi, beni di consumo e alimentari. È un divario eccezionale rispetto al passato, osservano gli economisti della Bce, e soprattutto persistente.
Le differenze tra prodotti e Paesi sono ampie. La carne, dal manzo al pollo, costa oltre il 30% in più rispetto al 2019. Il latte ha fatto segnare un +40%, il burro +50%. Le impennate di caffè, cacao, cioccolato e soprattutto dell’olio d’oliva hanno inciso ancora di più. Tra gli Stati, si va da un incremento del 20% a Cipro fino al 57% in Estonia. Le ragioni immediate sono note: l’aumento dei prezzi dell’energia e dei fertilizzanti dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la crescita dei costi del lavoro e la risalita delle quotazioni globali delle materie prime alimentari.

Ma dietro questi fattori congiunturali ci sono forze più profonde, e strutturali. La Bce segnala che «il cambiamento climatico è destinato a pesare sempre di più». Eventi estremi – siccità, inondazioni, ondate di calore – sono ormai ricorrenti e destabilizzano le catene di approvvigionamento. Gli esempi non mancano: la siccità prolungata che ha colpito la Spagna nel 2022 e 2023, facendo schizzare i prezzi dell’olio d’oliva; le difficoltà produttive in Ghana e Costa d’Avorio che hanno fatto salire i prezzi del cacao e del caffè. Studi citati nel blog stimano che entro il 2035 il riscaldamento globale potrebbe aumentare l’inflazione alimentare mondiale di 0,9-3,2 punti percentuali l’anno.
Questa realtà ha conseguenze dirette sulla politica monetaria. I prezzi dei beni alimentari, ricorda la Bce, hanno un impatto sproporzionato sulle aspettative inflazionistiche perché sono osservati su base quotidiana. A differenza di un affitto bloccato da un contratto o di un elettrodomestico acquistato una tantum, il costo del pane o del latte viene registrato ogni giorno dal consumatore. «Le famiglie prestano particolare attenzione ai prezzi dei beni alimentari, perché li acquistano quotidianamente e notano anche variazioni minime», scrive la Bce. È un fattore che può spostare la percezione dell’inflazione più dei dati ufficiali.
Il peso del carrello è anche un tema di disuguaglianza. Le famiglie a basso reddito spendono una quota molto più alta del proprio bilancio per alimentari, energia e abitazione. Per loro ogni aumento dei prezzi di beni essenziali si traduce in un’inflazione effettiva più alta. Durante il biennio 2021-22, nota la Bce, «il tasso di inflazione effettivo per il quintile di reddito più basso è stato sensibilmente più elevato rispetto a quello per il quintile più alto, principalmente a causa dei forti aumenti dei prezzi di cibo ed energia».
In Italia il fenomeno è ben visibile. Secondo i dati Istat, l’olio d’oliva è cresciuto del 60% in quattro anni, la pasta del 35%, il latte del 25%. Nel dibattito politico, il carovita è tornato al centro, con misure di calmieramento dei prezzi di alcuni prodotti di largo consumo. Ma gli effetti sui consumatori restano limitati, e il blog della Bce suggerisce che le spinte strutturali rendono difficile sperare in un ritorno ai livelli di prezzo pre-pandemia.
Per la banca centrale, questo pone un problema strategico: distinguere tra shock temporanei e tendenze durature diventa sempre più complicato. Il rischio è che fattori ciclici e strutturali si intreccino, rendendo meno chiaro quando una fiammata dei prezzi richiede una risposta monetaria e quando invece occorre prendere atto di un cambiamento permanente. È uno dei temi discussi nella revisione della strategia Bce del 2025.
Dietro le statistiche ci sono le percezioni. La memoria dell’ondata inflazionistica recente ha lasciato un segno: molte famiglie, anche quando i salari reali tornano a salire, continuano a sentirsi più povere. «La fiammata inflazionistica ha segnato le convinzioni delle persone, portando i nuclei familiari a percepire che il loro reddito reale sia più basso di quanto non sia in realtà», osservano gli autori. Un divario tra realtà e percezione che condiziona consumi, risparmio e fiducia.
Il post non anticipa decisioni di politica monetaria. Ma chiarisce che i prezzi di pane, latte e olio d’oliva hanno un peso che va oltre le tasche dei consumatori. Riguardano la stabilità del sistema economico e le disuguaglianze sociali, incidono sulle aspettative e sulle scelte politiche. Se l’inflazione complessiva appare domata, quella del carrello della spesa ricorda che la stabilità dei prezzi resta un obiettivo fragile. E vulnerabile agli shock esogeni.