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 2025  settembre 25 Giovedì calendario

Intervista a Josefa Idem

Dal 1984 al 2012 sono trascorse otto Olimpiadi. Josefa Idem ha partecipato a tutte. Un record. Canoista di successo (quattro medaglie), mamma, politica per una breve e tormentata parentesi, tedesca di nascita e italiana di matrimonio.
Martedì è stato il suo 61° compleanno: che cosa le hanno regalato?
«È passato qui a Santerno di Ravenna mio nipote che è diventato papà: la visita è stato un bel dono».
Andiamo all’inizio della sua storia: perché una bambina tedesca di 11 anni si dedica alla canoa?
«Tra me e mia sorella ci sono solo 15 mesi di differenza, quindi tendevamo a fare le stesse cose. Una volta nella sua scuola c’è stata una promozione con i volantini, quelle cose di una volta, “venite a divertirvi con la canoa"».
E voi ci siete andate.
«Certo».
Lei era imprendibile?
«Macché, ero la più imbranata».

Possibile?
«Di sicuro non si intravedeva alcun talento. Mi rovesciavo di continuo, tornavo a riva, svuotavo la canoa e ripartivo. Ero cocciuta, questo sì. A 15 anni sono cresciuta finalmente anch’io. Se economizzi i processi, quando arrivano le risorse fai un salto di qualità».
E così arriviamo ai Giochi olimpici di Los Angeles nel 1984, quelli del boicottaggio dei Paesi dell’Est.
«È stata una fortuna. A vent’anni ho vinto la mia prima medaglia di bronzo nel K2, in coppia con Barbara Schüttpelz. Invece quattro anni dopo, a Seul, è stato un fallimento. Zero medaglie e tante critiche gratuite. Dicevano che la Idem era troppo vecchia per vincere. Capisce? Avevo 24 anni».
Quando incontra Guglielmo Guerrini, suo futuro marito?
«Nel novembre del 1988 a una cena con altre persone vicino a Praga. Lui, che era lì per un corso di pallavolo, raccontò di avermi sedotta cucinando la pasta. In realtà mi era piaciuto malgrado la pasta, che era troppo piccante!».
Grazie a lui ha preso la cittadinanza italiana: un ottimo acquisto per noi.
«Ero giovane, non volevamo vivere un rapporto a distanza. Guglielmo si è messo a studiare canoa ed è diventato il mio allenatore. Eravamo una sorta di start up».

Arriva il Duemila, le Olimpiadi del millennio a Sydney.
«Magnifiche. Amavamo l’Australia, c’era una bella atmosfera. La mia gara, il K1 500, era in programma l’ultimo giorno, ma soffiava un vento fortissimo e l’inizio veniva rinviato di ora in ora. Caroline Brunet, la canadese mia storica rivale, raccoglieva firme perché la gara fosse rinviata al giorno dopo. Ma così non sarebbe stato un evento olimpico, perché a fiamma spenta. Con il passare del tempo mi veniva fame».
Non avevate barrette energetiche o altre robe da atleti?
«Erano finite. Ci siamo mossi tardi, non si trovava più niente nella zona. Allora mio marito è andato in albergo e si è fatto preparare un piatto di tortellini. Io ero perplessa, ma come si dice in italiano? O mangi questa minestra o salti dalla finestra. Beh, un’ora dopo avevo la mia prima medaglia d’oro al collo».
Grazie ai tortellini.
«Malgrado i tortellini!».

Ma arriva una delusione: nel 2008 a Pechino finisce a quattro millesimi dall’oro.
«La misurazione in millesimi è poi stata abolita. Con le regole di oggi sarebbe stata assegnata una vittoria ex aequo. Io sorridevo, non se l’aspettava nessuno perché di solito un secondo posto genera frustrazione».
Secondo Wikipedia, solo il battito d’ali di una mosca in natura è più rapido: tre millesimi.
«Per quello che non si riesce mai a schiacciarle!».
Ha mai sperato di essere portabandiera?
«No, è un pensiero che non mi ha mai sfiorato perché era fuori dal mio controllo. A ogni edizione ci sono atleti meritevoli».
Londra 2012, 48 anni all’anagrafe: che ricordo ha del suo addio allo sport agonistico?
«Mi è rimasta in mente soprattutto la conferenza stampa dopo la semifinale. Avevo fatto il miglior tempo, ma era scontato che dopo la finale avrei lasciato. Anche se ero competitiva, mi sentivo stanca. In questi casi un atleta professionista programma sei mesi di pausa in un quadro più ampio. Sa che tornerà a gareggiare, io invece ne avevo abbastanza di comportarmi in funzione del piano di allenamento. Se non arriverà una medaglia, quel che resta sarà comunque una bella storia da raccontare, dicevo. Ho chiuso al quinto posto, a un soffio dal podio. È andata bene così».
Dopo una carriera sportiva straordinaria e interminabile, arrivano la parentesi in politica come senatrice del Pd, la nomina a ministra dello Sport e delle Pari opportunità nel governo Letta, il caso dell’Ici non versata e le dimissioni. Che cosa le rimane di questa vicenda?
«Non sto qui a riscaldare un’altra storia. Una fa mille belle cose e le vengono a rinfacciare sempre quella brutta. Se apre su Google viene fuori sempre la stessa vicenda, mi hanno ferito. Basta! Io adesso sono un’altra persona. Ho dovuto lasciare l’incarico di ministro soprattutto per proteggere la famiglia. Non è stato un bel momento per i miei figli. Mi hanno detto che sono i cecchini della politica».
La vicenda è chiusa?
«Per me non è mai stata aperta».
Dopo la politica che cosa ha fatto?
«Durante la mia attività da senatrice mi sono iscritta all’università, laurea in Psicologia. Mentre preparavo la tesi mi sono messa in contatto con la Federcalcio e ho notato che nello sport giovanile c’è un approccio sbagliato. Dobbiamo fare in modo che ogni giovane calciatore o calciatrice abbia un giorno una storia sportiva da raccontare. È necessario creare dei contesti che rendano inevitabile l’emergere del talento. Oggi gli allenatori mortificano, puniscono, creano aspettative e allenano lo sport giovanile per diventare loro stessi allenatori di successo».
Qual è il personaggio che l’ha colpita in particolare durante la sua carriera?
«Mi sono sempre ispirata alla storia di Wilma Rudolph. È un’atleta americana rimasta incinta poco prima dei Giochi che si è rifiutata di abortire e ha vinto dopo la gravidanza».
Lo sport può aiutare a combattere il bullismo?
«Dipende. Io ero bullizzata dai compagni di squadra perché vincevo. Era normale a quei tempi, dovevo cavarmela da sola. Nel calcio adesso siamo dei battistrada per quanto riguarda la tutela dei minori. Bisogna stare attenti, perché certe ferite lasciano segni indelebili».
Che cosa risponde quando le chiedono se è tedesca o italiana?
«Sono il 50 per cento di ognuna. Ho portato all’Italia la mia esperienza in Germania. E viceversa».
Dove conserva le medaglie?
«In un luogo sicuro in casa. Ho già subito un furto due anni fa».
Pensa che in Germania forse non sarebbe successo?
«Temo che la situazione da questo punto di vista sia cambiata anche lì».