corriere.it, 25 settembre 2025
Apple attacca frontalmente le regole europee: «Il Dma non funziona e va abrogato»
Apple rompe gli indugi e si scaglia in maniera frontale contro l’Europa e le sue regole per il digitale. Nel mirino c’è il Dma (Digital Markets Act), il regolamento europeo che ha generato negli ultimi anni diverse, aspre, controversie tra la Commissione europea e molte Big Tech, tra cui Apple. La posizione dell’azienda americana è netta: il Dma non funziona e dovrebbe essere abrogato, ha detto un portavoce di Cupertino nel corso di un incontro con la stampa, posizione ribadita in un documento ufficiale inviato alla Commissione. E, prosegue Apple spiegando la sua tesi, se il Dma non verrà ritirato nella sua interezza, allora dovrebbe per lo meno essere inserito in una legislazione che tenga conto prima di tutti di quelli che Apple definisce «gli interessi degli utenti».
Perché Apple ha deciso di assumere una posizione così netta proprio ora? Perché la Commissione europea ha appena avviato una prima revisione formale del Digital Markets Act. L’azienda guidata da Tim Cook ritiene che il Dma, varato 3 anni fa e implementato 18 mesi orsono, non solo abbia avuto un profondo impatto sui prodotti della Mela ma che stia fallendo nel suo obiettivo. Dice ancora Apple: i legislatori sostenevano che il Dma avrebbe creato nuove opportunità per le aziende europee e dato ai consumatori europei più scelte ma questo non è successo. Dal punto di vista dell’azienda californiana, anzi, gli effetti sono opposti: il Dma sta portando a un’esperienza peggiore per gli utenti Apple nell’Ue, li espone a nuovi rischi per la privacy e la sicurezza, interrompe il modo semplice e senza soluzione di continuità in cui i prodotti Apple lavorano insieme.
La copertura politica di Washington
Ovviamente, nella tempistica dell’attacco, non può non avere un peso l’ampia copertura politica che Donald Trump ha garantito alle Big Tech su questi temi, tanto da inserire le multe alla Silicon Valley, il Dma e il Dsa (Digital Services Act) nella partita dei dazi. Proprio ieri, Google, riammettendo su YouTube gli ultimi e più estremi complottisti che furono bannati durante l’era Biden, si è scagliata contro «leggi come il Digital Services Act e il Digital Markets Act che rischiano di soffocare l’innovazione e limitare l’accesso all’informazione». Meta, a sua volta, ha assunto posizioni molto battagliere contro Bruxelles.
Cosa prescrive il Dma e cosa c’entra con Apple
Il Dma, è bene ricordarlo in breve, è il regolamento dell’Ue pensato per rendere più contendibili i mercati digitali presidiati dai cosiddetti “gatekeeper” ovvero grandi società con un peso rilevantissimo in specifici mercati. Tra i cardini ci sono l’interoperabilità «efficace» con funzioni hardware e software, la possibilità per sviluppatori e servizi di indirizzare gli utenti verso offerte e pagamenti esterni, e l’apertura a canali di distribuzione alternativi alle piattaforme proprietarie.
Tornando a Apple, sullo sfondo c’è un contenzioso ormai strutturale tra Bruxelles e Cupertino, alimentato da procedimenti e linee guida che precisano, di volta in volta, come debbano essere implementate le nuove obbligazioni e quali condotte siano considerate inadempienti. Richieste che hanno già portato Apple ad ammettere cose finora sempre rifiutate, come la possibilità di installare negozi di applicazioni «alternativi» sull’iPhone e nuove regole su link e commissioni per l’App Store.
Ma, al di là di questi adeguamenti, nel mirino c’è l’intero «walled garden», il giardino protetto di Apple, quello su cui ha costruito la sua forza, con funzioni esclusive garantite ai suoi dispositivi. Nel merito, la società creata da Jobs e Wozniak sostiene che l’interpretazione e l’applicazione del Dma da parte della Commissione abbiano «diminuito» l’esperienza d’uso in Europa.
Tre esempi di funzioni che non arrivano in Europa
La società afferma che gli utenti si trovano esposti a nuovi rischi, che l’ecosistema risulta più frammentato e meno fluido, e che alcune novità vengono rinviate o non arrivino affatto. Tra gli esempi citati ci sono la traduzione in tempo reale con AirPods, presentata di recente ma non disponibile per chi si trova in Europa con account europeo; secondo Apple, non esiste ancora un modo per aprire a «migliaia di sviluppatori» microfoni e segnali audio su più dispositivi garantendo gli stessi standard di integrità, sicurezza e privacy.
Analogo ragionamento per il mirroring, cioè la duplicazione in tempo reale, dell’iPhone sui Mac: disponibile da tempo nel resto del mondo, in Europa la funzione non è attiva perché l’Ue richiederebbe che il tutto funzionasse anche su dispositivi (computer) non Apple: l’azienda dichiara che i propri ingegneri non hanno trovato una soluzione che non metta «a rischio» i dati presenti sull’iPhone. E infine, si legge nel comunicato dell’Azienda, «abbiamo anche dovuto ritardare funzionalità utili come “Luoghi visitati” e “Percorsi preferiti” su Maps, che memorizzano i dati sulla posizione sul dispositivo in modo che siano accessibili solo all’utente. Finora, i nostri team non hanno trovato un modo per condividere queste funzionalità con altri sviluppatori senza esporre le posizioni dei nostri utenti, cosa che non siamo disposti a fare».
Complessità eccessiva e meno protezione
Apple sostiene inoltre che l’applicazione del Dma stia trasformando l’App Store europeo in uno spazio più complesso e meno protetto, «aprendo la porta» a nuove superfici d’attacco per truffe e malware e a categorie di app che l’azienda non intende approvare, come quelle pornografiche.
Per questo, nel documento inviato a Bruxelles, Apple chiede:
«l’abrogazione della legge» che sarebbe il «modo più efficace per riparare i danni e prevenire ulteriori pregiudizi». Al minimo, Apple sollecita «l’abrogazione di specifiche disposizioni tra cui gli articoli 6(7), 6(4), 5(4) e 6(3)». Apple dice di non «formulare questa richiesta alla leggera» ma che «sfortunatamente, vede poche alternative data l’esperienza degli ultimi tre anni».
Il riferimento agli specifici articoli del regolamento chiama in causa diversi obblighi chiave che il Digital Markets Act impone ai grandi «gatekeeper»: tra questi, l’interoperabilità dei servizi di messaggistica, che dovranno dialogare con app di terze parti (art. 6.7); la richiesta di aprire funzioni e interfacce dei sistemi operativi, come chip NFC o fotocamera, a sviluppatori esterni, così da permettere servizi alternativi (art. 6.4); la possibilità di scegliere soluzioni diverse per i pagamenti in-app e non solo vincolate alla piattaforma; la possibilità di disinstallare le app preinstallate e modificare i servizi predefiniti, dal browser al motore di ricerca (art. 6.3).
Tra questi punti anche ci sono diverse cose che Apple ha già accettato di fare, evidentemente obtorto collo, per i suoi clienti europei.
Il quadro competitivo
Nel confronto con i giornalisti, un portavoce Apple ha respinto l’accusa di chiusura e «lock-in» ricordando che l’iPhone nacque con migliaia di API (le interfacce per far “parlare” software diversi tra loro) e che oggi quelle disponibili a terzi sono nell’ordine delle centinaia di migliaia. La differenza, rivendica Apple, starebbe nel «fare le aperture con maggiore cautela» per non esporre dati, abitudini e conversazioni a soggetti terzi senza controllo dell’utente. L’azienda afferma che «nel 90% dei casi» l’apertura non genera problemi, ma che quel «10%» residuo richiede tempo e soluzioni ingegneristiche non banali, soprattutto quando si parla di funzioni sensibili come la traduzione live di conversazioni private.
Apple collega anche il quadro competitivo europeo alla propria posizione: ricorda che iPhone si muove in un mercato dominato da Android e sostiene di essere destinataria di un numero di indagini sproporzionato rispetto ad altri operatori, mentre alcune realtà sarebbero «escluse» dal perimetro del Dma (il portavoce ha citato esplicitamente, tra gli altri, Samsung, che in molti Paesi europei ha percentuali di mercato superiori a Apple; oppure TikTok che finora non è stata sottoposta ad alcun procedimento legato al Dma).
Qual è la posizione dell’Europa
La Commissione difende l’impianto del Dma come strumento per ridurre le barriere, ampliare la scelta e garantire che funzioni chiave dell’accesso digitale non restino confinate in ecosistemi proprietari. Il punto di caduta si gioca ora sulle specifiche tecniche: trasformare i princìpi in interfacce software e processi verificabili senza sacrificare protezioni effettive dei dati. Bruxelles punterà a dimostrare che più apertura e più concorrenza possano coesistere con alti standard di sicurezza.
L’«accusa» ad Apple è che il giardino blindato della Mela non è una misura di sicurezza, ma una fortezza strategica progettata per tenere gli utenti in gabbia e per soffocare la concorrenza. Il Dma, nella logica della Commissione, non agisce «contro» un’azienda, ma a favore di un mercato equo e innovativo che le azioni di quella stessa azienda hanno sistematicamente compromesso.
Tra queste due visioni si giocherà la prossima stagione del rapporto tra Apple e l’Unione europea.
Anche se il caso di TikTok dimostra come le questioni tecniche e regolamentatrici, quando c’è Trump di mezzo, possano sempre finire assorbite da trattative di più alto livello, dove la diplomazia e la geopolitica vengono prima.