Corriere della Sera, 25 settembre 2025
Il fotografo morto e i segni sul collo: «Compatibili con lo strangolamento»
La telefonata: «Mio padre si è sentito male, venite». I tentativi di rianimarlo. La morte all’arrivo in ospedale. E la scoperta dei medici di quei segni sul collo. «Lesione circonferenziale del collo», oltre alle «multiple escoriazioni». È passata una settimana dalla morte di Maurizio Rebuzzini, 74enne giornalista e critico fotografico. E i primi risultati dell’autopsia, effettuata martedì, sembrano rafforzare l’ipotesi degli investigatori: omicidio. Per il medico legale, sono segni compatibili con una morte per asfissia. Ma per una risposta definitiva servirà aspettare gli esiti degli esami istologici in laboratorio.
A scoprire, il 17 settembre, il corpo di Rebuzzini era stato il figlio Filippo, 44 anni. L’aveva cercato pochi minuti prima. Di fronte al telefono stranamente muto, s’era avviato verso lo studio che faceva da «casa» a quella rivista, FOTOgraphia, a cui il padre (in passato anche docente a contratto per l’università Cattolica di Brescia) aveva dedicato anni, fino a farne un punto di riferimento del settore. Il figlio – che collaborava con il padre, mentre il fratello si dedica ai video – aveva chiamato i soccorsi alle 18.42, dopo aver scoperto il corpo a terra. Otto minuti prima, alle 18.34, aveva provato a contattare il padre. Nessuna risposta. E allora, poche centinaia di metri a piedi; l’ingresso al civico 2/A di via Zuretti, alle spalle della stazione Centrale di Milano; la vista del padre agonizzante a terra, sul ballatoio macchiato di sangue; la chiamata al 118; i tentativi di rianimarlo; la corsa disperata, invano, verso l’ospedale.
«Sono andato perché non mi rispondeva. La porta era aperta, ma non mancava niente. Il suo cellulare era nella scrivania. Lui l’ho trovato a terra. Ho provato a fargli un massaggio cardiaco, poi mi ha aiutato un vicino», aveva raccontato Filippo. Che ha da subito escluso l’idea che qualcuno avesse potuto uccidere il padre. «Mio padre era una persona buona, gli volevano tutti bene, non era uno che litigava».
Nel grande laboratorio al piano terra, tra le migliaia di libri, riviste, macchine e attrezzature fotografiche, gli specialisti della Scientifica si sono intrattenuti a lungo a cercare indizi utili alle indagini. Il luminol ha evidenziato qualche traccia, su cui sono in corso approfondimenti. Mentre non sono state repertate corde o lacci che potessero giustificare in altro modo i segni sul collo del 74enne. Un’ipotesi impensabile per il figlio: «Non si sarebbe mai suicidato».
Resta la pista dell’aggressione: qualcuno che è entrato nell’androne del palazzo, ha raggiunto Rebuzzini – che spesso s’intratteneva a fumare i suoi sigari in quell’angolo di ballatoio subito di fronte all’ingresso dello studio – e l’ha strangolato.
Gli investigatori della squadra mobile, guidati da Alfonso Iadevaia e coordinati dalla pm Maria Cristina Ria, hanno sentito l’ex moglie per ricostruire i rapporti della vittima con familiari, amici, conoscenti, colleghi, e per scoprire eventuali segnali di preoccupazione del 74enne. Nel frattempo, gli inquirenti proseguono l’analisi dei tabulati telefonici e sul cellulare della vittima, per individuare le ultime chiamate fatte o ricevute dall’uomo. E poi c’è il lavoro sulle immagini dei sistemi di videosorveglianza della zona (e quelle interne al palazzo di via Zuretti) acquisite per verificare se qualche obiettivo ha intercettato chi possa essere entrato nel condominio in orario compatibile con la morte di Rebuzzini.