il Fatto Quotidiano, 24 settembre 2025
Intervista a Giancarlo Parretti
Con Giancarlo Parretti è quasi impossibile separare realtà e leggenda. Il “leone di Orvieto” è uno di quei personaggi paranormali, assurdi, nascosti tra le pieghe della storia d’Italia. Ha levigato il racconto della sua vita come un romanzo, ora ha superato gli 80 anni e la sua memoria s’ingracilisce: l’impresa è fissare i punti cardinali del suo viaggio da pirata nelle acque del potere. Fu abbandonato dai genitori e adottato a cinque anni. Ha iniziato da cameriere ed è arrivato, con una scalata mirabolante e sospetta, ai vertici del capitalismo italiano. Ha costruito palazzi, fondato giornali (El Mundo) e sfidato il cielo col fugace acquisto dell’americana Metro-Goldwyn-Mayer, un pilastro della storia del cinema.
Oggi saluta con una solida stretta di mano all’ingresso dell’Hotel Villa Agrippina di Roma, che si arrampica sul Gianicolo. “L’ho costruito io”, dice, mentre guida tra i sentieri del giardino. Lo chiama “Gran Melià”, col vecchio nome della catena alberghiera di cui fu padrone. “Poi l’ho venduto, ma vengo sempre gratis”. Dalla piscina alla hall, tutti sorridono e salutano “il dottor Parretti”.
Com’era da bambino?
Sono nato il 23 ottobre 1941, mia madre mi abbandonò di fronte al Duomo di Orvieto. Ma non sono figlio di nessuno: ai miei genitori adottivi devo tutto. Ho scelto due donne nella mia vita: mia moglie e mia madre. Quando venne in orfanotrofio voleva adottare una femmina, mi gettai tra le sue braccia e non la mollai più.
Da piccolo voleva già diventare “qualcuno”?
Non ho ricordi d’infanzia, devo averli cancellati. Scoprii di essere adottato quando un bambino mi chiamò “bastardo”. La mia memoria inizia con la Cresima a undici anni. Nella vita ho lavorato sempre. Ho fatto anche il camionista per quattro mesi, mio padre mi incoraggiava, ma io già sapevo che la notte volevo dormire assieme a una donna, mica su un tir. I primi soldi li ho fatti da cameriere.
E come?
Al ristorante di Orvieto dove lavavo i piatti venne il direttore generale della Lauro. Gli dissi che mi volevo imbarcare, finii su un piroscafo che arrivò fino in Australia. Misi da parte una fortuna.
Qui il racconto di Parretti si increspa, inizia il realismo magico. Nella sua biografia dichiara di essere tornato in Italia, dopo otto mesi di navigazione, con 36mila dollari. D’incanto il Parretti lavapiatti si trasforma nel Parretti immobiliarista. “Nel 1968 – dice – ho costruito il primo albergo a Pesaro, poi un secondo a Marotta, vicino Senigallia”. Negli anni 70 fa fortuna in Sicilia, a fianco del ras democristiano Graziano Verzotto e del finanziere Florio Fiorini.
Le sue imprese le deve pure alle amicizie con Craxi e De Michelis.
Bettino mi doveva dare del “tu”, presi la tessera del Psi due mesi prima di lui. Dei De Michelis ho conosciuto prima Cesare, grande professore, ma ero legato a tutta la famiglia. Però mi sono costruito da solo, la politica non m’ha aiutato, mi creda.
Non è facile. In Sicilia ha posseduto anche una squadra di calcio, il Siracusa.
Gli feci vincere una Coppa Italia di Serie C, ma dal calcio è meglio stare lontani.
È vero che ha “avuto” anche il Milan?
Ero a Cannes, in vacanza. Un mio amico mi dice: “Ti faccio comprare il Milan”. Gli risposi “e che ci faccio?”. Giussy Farina, il proprietario, stava scappando a Barcellona per un mandato di cattura. Passò lì e mi mollò una valigia piena di documenti, con la procura per la cessione.
E poi?
Arrivò una chiamata dalle batterie del Viminale, era Craxi: “Devi dare subito il Milan a Berlusconi”. Gli dissi: “Che hai Bettino stamattina, sei incazzato?”. Pensava che fosse un’operazione per rafforzare De Michelis. Ma a me del Milan non fregava niente, incontrai Berlusconi a Parigi e glielo regalai. In cambio mi diede solo un orologio.
Con il Cavaliere ha condiviso la passione per l’universo femminile?
Quando andavo ad Arcore ero accompagnato dalla mia consorte, non ho visto cose strane. Invece il nostro amico Carlo Bernasconi, che si occupava degli affari cinematografici di Silvio, una mattina mi chiamò perché era stato cacciato di casa dalla moglie: “Vai a vivere in quel porcile del tuo padrone”.
Lei ha conosciuto tutti. I Beatles.
Venivano in un locale di Londra, il primo topless bar d’Europa. Quello che fu ammazzato a New York (John Lennon, ndr) era antipaticissimo, mentre Paul McCartney era l’unico che pagava i conti.
Winston Churchill.
Quando facevo il cameriere al Savoy era un cliente abituale. Parlavo male inglese, ma lui chiese al direttore che fossi io a servirlo, mi aveva preso in simpatia. Tanti anni dopo ho scoperto che Churchill era venuto a scrivere le sue memorie in Italia. Sa dove? Al Villa Politi di Siracusa, un mio albergo.
Uno dei momenti cult della sua storia è la scommessa con Agnelli e Kissinger.
Ero a New York, pranzavano al tavolo accanto. Era appena stata messa in vendita la Metro-Goldwyn-Mayer. Io già avevo la Pathé (la casa francese, ndr) e la Cannon. Agnelli disse a Kissinger: “Guarda che questo, se vuole, si compra la MGM”. Kissinger si fece una risata. E nacque la scommessa.
Vinta. Più o meno.
Ci vollero 1 miliardo e 300 milioni di dollari, all’epoca erano 4.500 miliardi di lire.
Era il 1990. Glieli prestò quasi tutti – sciaguratamente – il Credit Lyonnais. Come fece a farseli dare?
Non è vero, la metà li misi io.
Non risulta. Comunque poi non pagò, dopo due anni si ripresero tutto.
Sbagliammo cinque film. Uno con Michelle Pfeiffer, uno con l’attore di James Bond, quello lì… Sean Connery.
Resta agli atti quella foto incredibile, nello studio…
Col leone.
Il leone della MGM. In carne e ossa, sulla scrivania.
Forse era stato sedato, però metteva un certo spavento.
Lei è stato in carcere cinque volte, in Italia e fuori.
A chi fa l’imprenditore può capitare, a chi non fa nulla di certo non succede.
Che rapporto aveva con la mafia?
Fu il motivo per cui me ne andai dalla Sicilia. A volte mi chiedevano un favore, come assumere una persona. Per me era importante che non fossi io a chiederne: quello voleva dire compromettersi. Alla fine misero una bombetta in un mio hotel… un messaggio. Dissi a mia moglie: fai le valigie, andiamo a Parigi.
E la massoneria?
Mio nonno era massone. Io sono cattolico: mai frequentata.
Il suo ultimo progetto visionario si chiamava Roma Vetus: una riproduzione fedele della Roma antica monumentale, da ricostruire in Maremma laziale. Aveva mobilitato architetti, finanziatori arabi…
Perché ne parla al passato? L’idea è sempre attuale.
Che vita, Parretti.
Mi è venuto tutto naturale. Io non ci tengo a possedere, mi fa stare bene altro: la conquista.
La politica le piace?
Per me non esiste più. Chi sarebbero i politici, oggi?
Giorgia Meloni?
A me pare si faccia solo gli affari suoi. Fanno la guerra a poche migliaia di immigrati e poi i giovani italiani emigrano in massa. Non hanno prospettive. Lo sa quanto guadagna un cameriere a Dubai? 4.500 dollari al mese.
Qui invece si può comprare la Metro-Goldwyn-Mayer.
Caro mio, erano altri tempi.