lastampa.it, 24 settembre 2025
Wef, il 72% degli economisti vede la crescita in calo e nuovi rischi sul debito globale
Il futuro dell’economia mondiale si oscura. Secondo il nuovo Chief Economists’ Outlook del World economic forum (Wef), il 72% dei capo economisti globali prevede un indebolimento della crescita già nel 2026. Le tensioni commerciali, la transizione tecnologica, la fragilità fiscale e la crisi delle istituzioni globali segnalano la nascita di un nuovo ordine economico, caratterizzato da frammentazione e incertezza. E, soprattutto, la crescita del debito nelle economie avanzate viene indicata come un rischio centrale per la stabilità dei prossimi anni.
Gli esperti sentiti dal Wef parlano di un cambiamento strutturale. Non si tratta di oscillazioni cicliche, bensì di trasformazioni destinate a durare. Le economie avanzate e quelle emergenti viaggiano ormai su binari divergenti. Stati Uniti ed Europa arrancano sotto il peso di deficit in aumento e inflazione instabile, mentre Medio Oriente, Sud Asia e alcune economie asiatiche mantengono prospettive più solide. “Il mondo non sta più fronteggiando shock isolati, ma un riallineamento sistemico che ridisegna catene del valore, flussi di capitale e istituzioni globali”, osservano. A pochi mesi dall’insediamento del secondo mandato di Donald Trump alla Casa Bianca, gli equilibri sono in divenire.
Il commercio è il campo di battaglia principale. Gli Stati Uniti hanno introdotto dazi estesi a un numero crescente di partner, riportando le tariffe ai livelli degli anni Trenta. Questa strategia ha spinto le imprese a ridisegnare catene di approvvigionamento e investimenti. La svalutazione del dollaro, la più marcata dal 1973, ha ampliato la flessibilità monetaria delle economie emergenti, ma negli Usa ha aumentato il costo delle importazioni. “La politica commerciale americana sta modificando le traiettorie globali”, affermano gli esperti, ricordando che il commercio internazionale è cresciuto di 300 miliardi di dollari nella prima metà del 2025 per effetto del frontloading delle spedizioni. La riorganizzazione delle catene globali appare destinata a consolidarsi, con nuovi equilibri di lungo periodo.
La tecnologia è l’altro fronte di discontinuità. Oltre due terzi degli economisti ritiene che l’intelligenza artificiale sarà dirompente dal punto di vista commerciale entro un anno. Non si tratta soltanto di innovazione, ma di una trasformazione che riguarda energia, lavoro e sicurezza. Negli ultimi due anni sono nati oltre cento nuovi unicorni, portando il totale globale vicino a quota 500. La spinta dell’AI sta alimentando una corsa mondiale al talento, mentre i costi energetici legati ai data center crescono e si moltiplicano le tensioni per il controllo delle filiere tecnologiche. “L’intelligenza artificiale è ormai un fattore geopolitico oltre che economico, in grado di influenzare sicurezza, industria e risorse”, sottolineano gli esperti.
Sul fronte delle risorse e dell’ambiente, la vulnerabilità resta elevata. Il 78% degli intervistati prevede interruzioni di lungo periodo nell’accesso a materie prime e energia. La concentrazione della produzione di minerali rari, essenziali per la transizione energetica, espone a rischi di strozzatura. Le catastrofi climatiche recenti – dalle alluvioni in Pakistan agli incendi nell’Europa meridionale – hanno mostrato l’impatto diretto sul Pil globale. Secondo dati Ocse, gli eventi estremi hanno sottratto in media lo 0,3% della crescita mondiale negli ultimi quindici anni, con la prospettiva di un incremento futuro.
La debolezza riguarda anche le istituzioni multilaterali. Il 63% degli economisti teme conseguenze sistemiche legate all’indebolimento delle organizzazioni internazionali. Le Nazioni Unite stanno vivendo la più profonda ristrutturazione della loro storia, mentre l’Organizzazione mondiale del commercio ha perso centralità sotto la pressione del protezionismo. “L’indebolimento delle istituzioni internazionali è un moltiplicatore di rischi economici”, notano gli economisti.
Le divergenze regionali sono sempre più evidenti. Negli Stati Uniti oltre la metà degli economisti prevede crescita debole o molto debole. L’inflazione resta elevata e la politica monetaria ha già imboccato la strada dei tagli dei tassi. Il Congresso ha approvato un piano di spesa che porterà il deficit federale oltre i 3mila miliardi di dollari nel prossimo decennio. In Europa il quadro appare fragile ma in miglioramento: l’occupazione è stabile, l’inflazione contenuta al 2,1%, mentre la Germania ha abbandonato la tradizionale disciplina fiscale e la Francia fatica a contenere il deficit. La Cina continua a crescere oltre il 5%, ma segnali di rallentamento e la crisi immobiliare aumentano il rischio deflazione. In America Latina la crescita resta modesta, attorno al 2,3%, con un’inflazione più stabile rispetto al passato. Nel Medio Oriente e Nord Africa, invece, le prospettive sono positive: l’Arabia Saudita prosegue con Vision 2030, Dubai rafforza la propria posizione di hub finanziario, e nuovi accordi con aziende tecnologiche americane testimoniano ambizioni crescenti.
Quello che è ancora irrisolta è la questione dell’indebitamento. L’evidenza è che il nodo del debito si sposta dalle economie emergenti a quelle avanzate. L’80% dei chief economists prevede un aumento delle vulnerabilità fiscali nei Paesi ricchi. Il debito globale ha superato i 100 trilioni di dollari e oltre un terzo dei Paesi – responsabili del 75% del Pil mondiale – registrerà un ulteriore aumento. Gli Stati Uniti viaggiano verso un disavanzo superiore al 7% del Pil, mentre la Germania ha rivisto la propria Costituzione per permettere nuove spese. “Il rischio fiscale non riguarda più soltanto i Paesi in via di sviluppo”, spiegano gli esperti. Un messaggio che si può leggere come rivolto anche alla Francia, alle prese con la legge di Bilancio del nuovo governo guidato da Sébastien Lecornu.
Alle tensioni economiche si aggiungono fattori politici e sociali. La riduzione degli aiuti allo sviluppo da parte degli Stati Uniti rischia di ampliare i divari, in alcune aree già molto estesi. Due terzi degli economisti stimano che il calo dei flussi finanziari verso il Sud globale aumenterà le minacce sanitarie, migratorie e climatiche. In parallelo cresce la pressione sui sistemi democratici: i casi di instabilità politica in Francia e di polarizzazione negli Stati Uniti mostrano quanto la politica interna possa influenzare mercati e fiducia.
Eppure, nonostante il quadro incerto, il rapporto individua potenzialità inespresse. L’Africa sub-sahariana, il Sud Asia e l’America Latina potrebbero diventare nuovi motori della crescita mondiale. La Banca Mondiale prevede per l’Africa una crescita media oltre il 4% nel biennio 2026-2027, a condizione che i conflitti restino contenuti e gli investimenti si concentrino su infrastrutture, capitale umano e resilienza climatica. “Queste regioni hanno un potenziale ancora poco valorizzato e possono offrire nuove traiettorie di sviluppo”, sostiene la platea interpellata dal Wef.
Il quadro che emerge è quello di un sistema in transizione. Non più crisi temporanee, ma l’affermarsi di una nuova normalità fatta di turbolenze persistenti, riallineamenti profondi e istituzioni sotto pressione. “I contorni del nuovo ambiente economico sono già visibili”, affermano gli esperti, “e chiedono una leadership capace di adattarsi con urgenza e cooperazione per trasformare le sfide in resilienza”. Una priorità per un mondo con sempre meno bussole.