La Stampa, 24 settembre 2025
Fisiognomica di Trump, un leader che ha “sempre ragione”
Il volto specchio dell’anima. Idea antichissima, ma sempre valida (certo, con varie precisazioni e nessuna irrazionale morfopsicologia). Guardare, per credere, Donald Trump nel suo torrenziale discorso all’80ª Assemblea generale dell’Onu. Uno sguardo, quello posato in maniera analitica sul suo viso e sulle sue movenze, che corrisponde precisamente a un trattato di fisiognomica politica. E che rivaluta improvvisamente l’attendibilità del lombrosismo, del quale si potrebbe riconoscere a posteriori che se risultava imbevuto di troppi pregiudizi nei confronti dei comportamenti devianti dei poveri e del sottoproletariato, diventa una summa credibile e verosimile se applicata alla prossemica e all’estetica di gran parte delle élite trumpiste – il cui look, saltando di palo in frasca fantascientifica, si rivela uguale sputato a quello dei «Nuovi Padri Fondatori» del ciclo cinematografico distopico di The Purge – La notte del giudizio.
Dopo quell’impressionante mix tra un funerale di Stato e uno da stadio e una cerimonia evangelica sudista che, a Glendale, ha celebrato Charlie Kirk, il paesaggio pubblico statunitense appare impregnato oltremisura di un’atmosfera escatologica. Ecco perché bisogna portare attenzione ai segni dei tempi, e alle espressioni facciali dei protagonisti di un establishment che ha deciso di propagandare a ogni piè sospinto una visione manichea e integralista, imbracciandola metaforicamente come una di quelle armi da fuoco automatiche che si possono liberamente comprare nel Paese (e che, concretamente e tragicamente, hanno tolto la vita anche al giovane leader di Turning Point).
Segni dei tempi come la scala mobile nel Palazzo di vetro che si è bloccata mentre salivano il presidente e la first lady, al pari dell’arresto temporaneo del “gobbo” elettronico, una sorta di rivolta della tecnica contro il padrino-padrone politico di Big Tech, verrebbe da dire. E se il primo dei due incidenti ha fornito lo spunto per la sola nota ironica del suo discorso-fiume durato oltre un’ora (anziché i 25 minuti regolamentari), il secondo imprevisto è diventato immediatamente oggetto della sua ira e di una minaccia plateale all’operatore («Chiunque stia azionando questo teleprompter si trova in guai seri»). Del resto, “il buongiorno si vede dal mattino”, e stiamo letteralmente assistendo all’alba della Nuova America made in Maga, che si specchia nelle espressioni accigliate, nei gesti imperiosi e assertivi, nel viso tirato e incupito dell’uomo più potente del mondo, intenzionato a sovvertire l’ordinamento liberale internazionale (di cui gli Stati Uniti sono stati artefici e custodi fino al suo avvento) e a scatenare la “caccia alle streghe” all’interno del Paese. Come aveva promesso alle esequie di Kirk, dichiarando esplicitamente di «odiare i suoi avversari» davanti alla folla che gremiva lo State Farm Stadium, e richiamando bruscamente la sua ministra della Giustizia Pam Bondi al «dovere di perseguire rapidamente i suoi nemici».
Se i politici della modernità hanno per lungo tempo indossato una “maschera”, e fatto ricorso al contegno (od ostentato forme di autocontrollo), per non mostrare le emozioni al pubblico e agli avversari, mantenendo in tal modo lo status di guide dei loro elettori, il populismo ha stravolto i codici comunicativi, disintermediando ed estremizzando la leadership anche nella mimica facciale e nella prossemica per lanciare il messaggio dell’autenticità e della condivisione dello stesso patrimonio di gestualità del “proprio popolo”. Così, il capo della Casa Bianca è entrato “a muso duro” nel santuario dei passi felpati e degli instabili e complicatissimi equilibri diplomatici, esattamente come il proverbiale elefante nel negozio di cristalleria. Un Trump torvo e corrucciato al punto da sembrare a tratti somaticamente quasi trasfigurato, ha pronunciato un’autocelebrazione («Io sono bravo a fare previsioni, ho avuto ragione su tutto»), e una vera e propria requisitoria contro le Nazioni Unite, le politiche ecologiche e la tematica dell’emergenza climatica («La maggiore truffa mai messa in atto a livello globale»), spesso brandendo come una pistola il dito indice accusatorio.
Il viso del tycoon-presidente – il quale padroneggia profondamente, come noto, le regole della politica-spettacolo – rappresenta un incrocio tra un “libro aperto” e la messa in scena (mirata e propagandistica) dei suoi stati d’animo: un connubio così marcato che avrebbe fatto “felice” Johann Kaspar Lavater, il padre della fisiognomica pre-positivista. E se l’applicazione delle categorie del lombrosismo politico risuona alla stregua di un divertissement – o di un horror (come si potrebbe sostenere più appropriatamente a proposito dell’«America oggi») –, l’indiscutibile scientificità dei neuroni specchio potrebbe agevolmente sottolineare l’assoluta mancanza di empatia del Trump “marziano all’Onu”. Voluta e deliberata, per l’appunto, mentre sugli Usa soffia la tempesta fondamentalista di un millenarismo e di un misticismo politici che proclamano il Tempo della battaglia finale contro l’Anticristo. Con il presidente ovviamente campione delle forze del bene, e che, nonostante la missione piuttosto impegnativa, trova il tempo (un’altra tipologia temporale…) di speculare con le criptovalute, far licenziare o silenziare comici televisivi e insabbiare il dossier Epstein...