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 2025  settembre 24 Mercoledì calendario

La vera storia di Tutankhamon che sta per cambiare casa

Finalmente è ufficiale: a novembre aprirà interamente al pubblico il Gem, il Grande Museo Egizio, a Giza, oggi ormai inglobata come quartiere periferico del Cairo, di fronte alle Piramidi e alla Sfinge. L’annuncio è stato dato dal primo ministro egiziano Mostafa Madbouly, dopo ripetuti rinvii: le autorità egiziane avevano infatti ritenuto che una festa culturale di tale portata mondiale risultasse – e non senza ragione – troppo dissonante rispetto ai drammatici conflitti tutt’ora in corso in Medio Oriente.
Il museo è stato costruito su progetto dello studio internazionale HPARC Heneghan Peng Architects, con sedi a Berlino e Dublino. Il Gem, destinato a diventare il più grandioso e spettacolare complesso museale a livello planetario, ospiterà oltre 100mila oggetti distribuiti su una superficie di 50 ettari. La sua realizzazione è stata resa possibile da un finanziamento internazionale al quale il Giappone ha partecipato in maniera determinante. L’edificio è stato concepito secondo criteri architettonici specifici, con ampi laboratori di restauro e con l’obiettivo di costituire una sorta di immensa finestra sulla Grande Piramide di Cheope (Khufu), l’unica delle sette meraviglie del mondo antico – il cui canone risale agli inizi dell’età ellenistica – giunta fino a noi pressoché intatta.
Insieme a numerosi altri straordinari reperti della civiltà faraonica, selezionati da tutti i musei egiziani, il Gem permetterà per la prima volta di ammirare nella loro totalità gli oggetti rinvenuti nella tomba di Tutankhamon (1321-1312 avanti Cristo), il faraone morto forse a soli diciotto anni, ultimo esponente nelle cui vene scorreva il sangue della gloriosa XVIII dinastia. Il giovane sovrano fu sepolto nella Tomba KV62 della Valle dei Re di Tebe, accompagnato da un favoloso corredo funerario.
La scoperta della tomba si deve all’instancabile, competente e combattivo archeologo britannico Howard Carter, che fin dal 1917, sostenuto dal ricchissimo collezionista George Herbert, quinto conte di Carnarvon, cercava con tenacia il sepolcro di quel faraone fino ad allora quasi sconosciuto. Poiché le ricerche non davano frutti, Carnarvon aveva deciso di interrompere i finanziamenti; tuttavia, nel 1922 cambiò idea quando Carter, pronto a proseguire anche autofinanziandosi per almenoun ultimo anno, lo convinse a concedergli ancora fiducia.
Scettico ma curioso, Carnarvon rimase in Inghilterra finché, il 4 novembre dello stesso anno, ricevette un telegramma in cui Carter annunciava una “meravigliosa scoperta” e lo invitava a raggiungerlo. Il conte si precipitò dunque al Cairo, dovegiunse il 22, e tre giorni dopo raggiunse Tebe. Il 26 novembre, insieme a Carter, arrivò davanti all’ingresso della tomba. Alle 16, dopo che l’archeologo era riuscito ad aprire una piccola fessura nella muratura alla fine del corridoio d’entrata, avvenne il leggendario dialogo: alla domanda di Carnarvon, «Vedete qualcosa?», Carter rispose sottovoce: «Cose meravigliose». Ci vollero quasi dieci anni per trasferire i tesori della tomba – in gran parte per via fluviale – da Tebe al Cairo, nei depositi del vecchio Museo Egizio di Piazza Tahrir, dove una parte del corredo è stata poi esposta per anni al pubblico in un’areadedicata.
Dal 20 ottobre prossimo, quella che è la sala più visitata sarà chiusa per consentire lo spettacolare trasferimento delle migliaia di manufatti appartenenti al sovrano egizio più noto della storia nella nuova sede.
La sepoltura di Tutankhamon era composta da un’anticamera, dalla camera funeraria, da un tesoro e da un annesso, tutti ambienti ricolmi di un corredo senza paragoni, stimato in oltre 5.500 reperti, nei quali fu impiegata una quantità enorme di oro lavorato con maestria. Si calcola che nella tomba vi fossero più di 110 chili d’oro, dei quali oltre 10 solo nella celeberrima maschera funeraria.
Non sorprende dunque che oggi Tutankhamon sia divenuto il faraone più famoso dell’antico Egitto. Ma chi fu davvero, nella realtà storica? È certo che fosse figlio di Amenhotep IV/Akhenaton, il faraone “eretico” che aveva rinnegato la religione politeistica dei suoi antenati proclamando il culto esclusivo del dio solare Aton. Sul finire del suo regno, Akhenaton invocava Aton con la formula inequivocabile: «Non c’è altro dio che Aton», espressione che risuona familiare a ebrei e cristiani. Gli studiosi hanno a lungo dibattuto se si trattasse di autentico monoteismo o di enoteismo, ossia il culto privilegiato di una divinità senza negare l’esistenza delle altre. L’interpretazione prevalente oggi è che il “monoteismo naturale” di Akhenaton rappresenti un singolare precedente del “monoteismo etico” dei profeti d’Israele.
Forse Tutankhamon fu figlio della celebre regina Nefertiti, il cui nome significa in geroglifico “la bella è venuta”, prima moglie di Akhenaton; o forse, meno probabilmente, di una moglie secondaria chiamata Kiya. È comunque certo che il suo nome di nascita fosse Tutankhaton, “immagine vivente di Aton”, e che, se trascorse l’infanzia nella capitale fondata dal padre, Akhetaton (“l’orizzonte di Aton”, l’attuale Amarna), fu poi il protagonista del ritorno della corte a Tebe e della restaurazione del culto degli dèi tradizionali. A indurlo furono probabilmente due figure influenti, il dignitario Ay e il generale Horemheb, che non a caso gli successero sul trono benché non appartenessero alla linea reale. È plausibile che il potente clero tebano, riconoscente per il ritorno al culto tradizionale, lo abbia ricompensato con un corredo funerario straordinario, in grado di garantirgli la migliore vita ultraterrena.
A rendere verosimile questa spiegazione della ricchezza del corredo, difficilmente giustificabile con i meriti di un sovrano morto in giovane età, vi è l’evidente anomalia di diversi oggetti. Alcuni reperti non furono infatti realizzati per lui, ma per altri membri della famiglia reale. Una delle maschere funerarie, ad esempio, mostra un volto squadrato, molto diverso da quello della celebre maschera aurea di Tutankhamon, e potrebbe essere stata destinata al suo effimero predecessore Smenkhara.
Una statuetta aurea dell’annesso raffigura un faraone con la corona dell’Alto Egitto, ma presenta seni pronunciati: quasi certamente rappresentava Nefertiti, che regnò brevemente dopo Akhenaton. Lo stesso trono d’oro dell’anticamera mostra Tutankhaton in trono accanto alla giovane sposa, sotto i raggi benevoli di Aton. Tutti questi elementi fanno pensare che il faraone fu sepolto in gran fretta, con un corredo composto in parte da oggetti già pronti e appartenuti ai suoi predecessori o parenti.
Vorrei concludere con un ricordo personale. Nel marzo del 2000 mi recai al Cairo per partecipare al VI Congresso Internazionale di Egittologia. In quell’occasione, un autorevole professore dell’università del Cairo, mi disse testualmente: «Ripeto sempre ai miei studenti, per lo più egiziani, che la scoperta italiana degli Archivi Reali di Ebla in Siria dimostra come scoperte archeologiche epocali possano avvenire anche fuori dall’Egitto. Qui, però, noi egittologi e i nostri studenti siamo da sempre convinti che le vere scoperte sensazionali si possano fare soltanto in Egitto».
C’è da scommettere che la totale riapertura del Gem rinverdirà questa convinzione.