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 2025  settembre 24 Mercoledì calendario

Banche, l’Abi risponde a Giorgetti sulla richiesta di contributi: «Le banche non hanno rendite di posizione»

Il confronto fra governo e sistema bancario si arroventa sulle casse dello Stato. Dopo l’appello del ministro Giancarlo Giorgetti per un «contributo» da parte delle banche per finanziare una «rottamazione ragionevole» delle cartelle fiscali, l’Abi – tramite il suo presidente Antonio Patuelli – ha reagito con fermezza: «Le banche non hanno rendite di posizione», ha affermato in una lectio all’Università Link di Roma.
Tutto è nato quado il titolare del Tesoro, parlando in collegamento con un evento della Lega a Pesaro, ha insistito sulla necessità di coinvolgere il settore bancario, protagonista negli ultimi anni di «utili stratosferici», per alleggerire il peso fiscale su famiglie e imprese. «Assolutamente doveroso», ha detto, pur precisando che non si tratta di «bullizzare nessuno», ma di sedersi attorno a un tavolo e trovare la formula giusta. Dalla capitale, il presidente dell’Abi, ha rivendicato invece la storia recente del sistema bancario, ricordando come gli istituti abbiano dovuto fronteggiare crisi di imprese, debito sovrano, recessioni, epidemie, catastrofi naturali e guerre, reagendo con aumenti di capitale, accantonamenti e ristrutturazioni concordate con i sindacati. Insomma, le banche hanno già dato visto che, ribadisce Patuelli, in molti casi si sono fatte carico persino del salvataggio di concorrenti in difficoltà, fatta eccezione per una sola banca poi nazionalizzata.
Dietro questo scambio c’è la partita più ampia della legge di bilancio, che poggerà su una crescita debole: le previsioni parlano di un Pil in aumento dello 0,5% nel 2025 e dello 0,7% nel 2026, dati su cui costruire margini di spesa molto limitati. È in questo contesto che Giorgetti punta a una «rottamazione ragionevole» delle cartelle esattoriali e a un pacchetto di misure per famiglie e ceto medio, con la convinzione che il settore bancario debba dare un segnale di responsabilità. Ma la stessa maggioranza si presenta divisa: se la Lega spinge per chiedere un contributo aggiuntivo, Forza Italia si dice contraria a ogni nuova tassa, ricordando che l’intesa raggiunta lo scorso anno porterà già nelle casse dello Stato oltre quattro miliardi di euro tra il 2025 e il 2026.
Il tema, però, non riguarda solo l’Italia. Negli ultimi due anni diversi Paesi europei hanno scelto di chiedere un contributo straordinario agli istituti di credito. In Spagna, il governo Sánchez ha introdotto una tassa temporanea sugli extraprofitti bancari, pari al 4,8% dei ricavi netti da interessi e commissioni, destinata a finanziare misure contro il caro-vita. Una misura che ha sollevato tensioni con il settore ma che, alla fine, è rimasta in piedi con qualche correttivo. In Ungheria, Viktor Orbán ha imposto un prelievo speciale sulle banche per sostenere i costi energetici, mentre in Repubblica Ceca e in Lituania sono stati varati schemi analoghi, giustificati come strumenti emergenziali. Anche la Germania, pur senza un’imposta mirata, ha più volte ipotizzato un coinvolgimento diretto del settore finanziario per sostenere i fondi di garanzia.
Questi esempi raccontano quanto la questione sia sensibile e tutt’altro che isolata. Ogni governo, stretto tra vincoli di bilancio e pressioni sociali, tende a guardare alle banche come a un bacino di risorse immediato. Ma ovunque, dall’Italia alla Spagna, la reazione degli istituti è stata simile: difesa dell’immagine, avvertimento sui rischi per la capacità di erogare credito e richiesta di non trasformare una misura temporanea in un prelievo strutturale. Per Patuelli la lezione è chiara: il sistema bancario italiano non può essere trattato come un semplice strumento fiscale. Il settore, sostiene, ha già mostrato di saper reggere urti sistemici e di contribuire alla stabilità del Paese, e non può ora vedersi additato come fonte di ricavi facili. In gioco non c’è soltanto la ripartizione di un nuovo onere, ma la credibilità del rapporto tra lo Stato e i suoi intermediari finanziari. Sarà il dialogo tra Tesoro e Abi a dire se, come in altri Paesi, prevarrà la logica dell’imposizione unilaterale o quella della mediazione.