Corriere della Sera, 24 settembre 2025
Intervista a Zucchero
«Se proprio mi capita di non trovare una serata in cui suonare va bene anche festeggiare il compleanno…». Ride Zucchero. Anche questa volta che sono 70, li compie il 25 settembre, il concerto lo ha trovato.
Neanche la cifra tonda... Proprio il 25 ha uno dei suoi 12 concerti all’Arena di Verona e se non bastasse ha colto l’occasione per annunciare le date negli stadi del prossimo anno (Udine 4 luglio, Bologna 6, Pescara 8, Perugia 11 a Umbria Jazz, Messina 14).
«Magari ci sarà una torta a sorpresa sul palco... dopo il concerto festeggeremo con Francesca, i miei tre figli, mio fratello, mio cugino e i nipoti... ma alla fine i compleanni sono un giorno come un altro... Da ragazzo suonavo anche a Capodanno e a Natale. Serviva per fare legna, avevo bisogno di soldi… ma lo facevo perché sto meglio sul palco».
L’altra sera durante il concerto ha detto: «biologicamente me la cavo».
«Bevo, mangio, faccio pipì e piango… Una frase, un po’ ripulita, di Léo Ferré. Fisicamente e di testa mi sento come se avessi 35-40 anni anche se inizio a vedere la fettuccia della vita che si accorcia…»
Andiamo all’inizio. Nato a Roncocesi, Reggio Emilia.
«L’infanzia la ricordo come un periodo sereno. I tre amici del cuore: Marco, Riccardo e il Toro della Barisella, soprannominato così per il carattere. Li vedo ancora: uno mi porta pesci d’acqua dolce da mettere nel mio laghetto: amo l’anguilla e il persico. C’è competizione con la mia compagna che preferisce il pesce di mare perché al mare è nata... Nonna Diamante: non vedevo l’ora che mi chiamasse la sera “‘Delmo, vieni a casa!”. Era un piccolo mondo alla Guareschi. Abitavo di fronte alla chiesa dove suonavo l’organo. E c’era la cooperativa del Pci dove andavo a vedere i grandi giocare a carte. Non mi ha mai convinto nessuno dei due: mi definirei anarchico».
A 11 anni la famiglia si sposta a Forte dei Marmi...
«Papà ci caricò sul camioncino coi mobili e le valigie, come dei pellegrini. Fu uno sradicamento. Non mi piacevano il lusso di quegli anni d’oro del turismo e la tristezza assoluta dell’inverno. Ricordo papà triste per la sconfitta: qualcuno aveva ostacolato i suoi progetti e si era dovuto accontentare di aprire un negozietto di alimentari. E poi i primi tempi, magrolino, educato e con l’accento diverso, ero stato preso di mira dai coetanei. Dicevano che ero gay e mi facevano scherzi che mi hanno fatto soffrire. Finì tutto quando al capobanda recapitai una lettera, con firma falsificata di mio padre, in cui si minacciavano denunce ai Carabinieri».
La musica?
«La prima band, I Duca, a Roncocesi: voce e pianola. Poi appena arrivato a Forte ne feci un’altra e la chiami ancora I Duca. Poi ne ho formate altre. Gli Sugar & Candies si erano fatti un nome nel nord Italia: suonavamo tutti i sabati nelle balere: dalle 21 alle 4 con una sola consumazione offerta. Fred Bongusto, conosciuto alla Bussola, mi voleva bene e incise una mia canzone. Mi ero sposato, avevo i soldi per il mutuo grazie al lavoro come autore e alle serate, ma le case discografiche di Milano non mi consideravano».
Arriva Sanremo...
«Ravera mi convinse a fare Castrocaro, lo vinsi e arrivarono il primo contratto e il Festival. Dopo due Sanremo andati male, 1982 e 1983, i discografici iniziarono a mettere in dubbio la mia faccia. Il Sanremo 1985 con “Donne” era l’ultima chance. Arriva il momento della classifica: penultimo. Vidi il fuggi fuggi dei miei discografici. “Donne” divenne una hit grazie alle radio».
Durante questi show all’Arena è tornato a cantarla dopo anni. Ci ha fatto pace?
«Non la facevo dagli anni 90… quel dududu proprio non mi andava… e poi avevo cambiato stile di canto... Questa nuova versione organo e voce è più raffinata e me la sento addosso bene. Ho anche riscoperto il testo di Alberto Salerno: un quadro poetico sulle fragilità femminili».
A fine anni 80 esplode con «Blues» e «Oro incenso e birra». Arrivano i duetti con le star internazionali... Il primo con Miles Davis.
«Aveva sentito “Dune Mosse” alla radio durante un tour in Italia e voleva che andassi a New York in studio con lui per registrarne una nuova versione. Ero in vacanza per provare a salvare il matrimonio e partii».
Eric Clapton?
«Stava con Lory Del Santo che era mia fan e lo aveva portato a un mio concerto ad Agrigento. Venne in camerino e disse: “il mondo deve vedere questo concerto”. E mi offrì di aprire i concerti del suo tour. Dopo quelle date i miei dischi iniziarono a essere distribuiti anche all’estero».
Sting?
«Era in vacanza in Italia e il suo fotografo mi invitò a conoscerlo. Lui e la mia compagna Francesca passarono la giornata a fare sci d’acqua. Io preferisco i fiumi... Alla sera mi chiese di restare anche il giorno dopo per fare il padrino al battesimo della figlia Coco. Anni dopo gli ho chiesto il perché. “Mi eri sembrato uno su cui si può contare”».
Pavarotti, Bono, Brian May...
«Sono persone speciali. Negli ultimi tempi sto scoprendo Russell Crowe: ci scambiamo videosaluti assieme ai nostri cani».
Erano anni in cui Zucchero funzionava, Adelmo Fornaciari un po’ meno...
«Mi ero separato, non per scelta mia, ed ero caduto in depressione. Avevo attacchi di panico: in quei momenti hai la sensazione di morire. Piangevo, stavo come un cane, un inferno. Ne sono uscito dopo 5-6 anni leggendo un libro sul mal di vivere consigliato da un professore universitario, qualche compressa di Prozac e la ristrutturazione di un vecchio mulino in una vallata di Pontremoli dove vivo da allora».
Niente psicologo?
«Vengo da un mondo contadino in cui si diceva “è un po’ di esaurimento nervoso”».
Bilancio?
«A volte mi chiedo dove ho trovato la forza e il mio amico Roberto Baggio, che è buddista, dice che certe sofferenze se non le puoi superare non ti arrivano. Sono felice, ho avuto la fortuna di trovare Francesca, ho tre figli...»
Che padre è?
«Ci ho messo amore. Con Irene e Alice ho cercato di essere presente ogni giorno anche con una telefonata anche se ero separato. Blu sa che con me può parlare di tutto».
In questi concerti sui megaschermi mostra la bandiera palestinese e la scritta «Chi non ha un blues per Gaza ha un buco nell’anima»...
«Non puoi fare un concerto in questo momento e fare finta di nulla. Io soffro. Ho chiesto a un importante manager americano perché non si fa un concerto tipo Live Aid per Gaza. Mi fatto capire che tanti consigliano agli artisti che è meglio starne fuori».