Corriere della Sera, 24 settembre 2025
Piano casa, come trovare i soldi
Peccato. L’inchiesta milanese sulle politiche immobiliari della giunta Sala sta facendo parlare di tutto ma non della vera questione da affrontare: come soddisfare il bisogno di case a prezzi sostenibili. Prima di tutto per i poveri (passati da 4,8 milioni nel 2012 a 5,7 nel 2024). E poi per quella fascia di popolazione che fa funzionare le città – infermieri, insegnanti, conducenti dei bus, impiegati dell’anagrafe, eccetera – che non ha stipendi all’altezza delle richieste del mercato immobiliare.
Questi sono i nodi. Non solo a Milano ma in tutta Europa, per la verità. Non a caso von der Leyen ha inserito il dossier casa nel suo discorso sullo stato dell’Unione. In 15 anni in media in Europa c’è stato un aumento degli affitti del 18% e del 48% dei prezzi di acquisto. Quindici sindaci europei (tra cui i primi cittadini di Milano e Roma) stimano la necessità di 300 miliardi per un piano straordinario di housing sostenibile nelle loro città.
Mentre il bisogno aumenta, le esperienze degli ultimi 20 anni hanno reso evidenti le falle del sistema anche a chi tecnico non è.
La prima: da quando nel 1990 è stato cancellato il fondo GESCAL (acronimo per GEstione CAse Lavoratori) il patrimonio di Erp – edilizia residenziale pubblica, le case popolari – è in condizioni di crescente degrado, oltre a essere stato progressivamente eroso. In pratica, si è venduta parte degli alloggi per ristrutturare quelli che restavano, costruiti prima degli anni Ottanta, e fare quadrare i conti. Così le case popolari sono diminuite proprio mentre i poveri aumentavano.
La seconda: l’idea degli ultimi vent’anni di risolvere il problema della casa per le famiglie che guadagnano 1.000-1.500 euro al mese con l’edilizia residenziale sociale (alloggi a prezzo calmierato) costruiti con forme di collaborazione pubblico-privato ha dato risposte del tutto insufficienti. A Milano ci hanno provato tutti: amministrazioni di destra e di sinistra. L’idea è la seguente: il pubblico mette aree a costo zero, i privati costruiscono garantendo alla fine affitti da circa 600 euro al mese per 100 metri quadrati. Qualcosa si è fatto ma non abbastanza, inoltre nel frattempo la domanda di alloggi a prezzi calmierati è esplosa.
Queste esperienze dovrebbero avere insegnato qualcosa. Qualche spunto.
L’edilizia pubblica deve tornare al centro dell’agenda politica. Servono soluzioni nuove e radicali per non espellere intere fasce di popolazione
Il primo, a monte di tutto: il problema non sono i quartieri nuovi e belli che distinguono una città, il problema è che insieme a quelli non si è accelerato abbastanza sull’offerta per i meno abbienti, massacrati dall’inflazione e dalla mancata crescita delle retribuzioni. Le due cose possono andare insieme.
Il secondo: il modello pubblico-privato per la costruzione di alloggi a prezzo calmierato si è dimostrato insufficiente. Si è ormai capito chiaramente che non basta che il pubblico metta aree a costo zero e oneri di urbanizzazione ridotti per contenere i prezzi, serve anche che chi costruisce riduca drasticamente i margini, talvolta azzerandoli. Tutto ciò difficilmente può essere preteso dai privati. Ma cooperative e non profit potrebbero essere in campo. Il ruolo del terzo settore in questa partita va accresciuto.
Il terzo: servono capitali pazienti disposti ad accettare remunerazioni non superiori al 2-3 per cento. In realtà esperienze di finanza al servizio di questi progetti ci sono già. Cdp ha creato tre fondi (Fnas, Fia, Fna) gestiti da Cdp real estate asset sgr. E la Banca europea degli investimenti è pronta a mobilitare nuovi fondi: bisogna creare le condizioni per riuscire ad accedervi. Si parla di un piano del governo per la casa, 650 milioni i fondi per ora mobilitati. Secondo l’Osservatorio dei conti pubblici dell’università Cattolica, guidato da Carlo Cottarelli, per un piano casa di base, per costruire 50 mila alloggi, servono circa 12 miliardi di euro, poco meno del ponte sullo Stretto. Va valutato se le contenute risorse pubbliche ora a disposizione non avrebbero un impatto maggiore sotto forma di fondo di garanzia sui prestiti per costruire, o come fondo di rotazione. Le esperienze spesso prese a modello di città come Vienna mostrano poi come una parte di fondo perduto sia in ogni caso spesso necessaria.
Il problema è imponente, serve un’alleanza-Paese e sarebbero molte le energie da mettere a sistema. Significativo che anche Confindustria già lo scorso anno abbia chiesto un piano casa per trattenere i lavoratori.
Di certo è una questione cruciale: non ci risolleveremo mai dalla crisi demografica senza una base di alloggi a buon mercato per chi vuole mettere su famiglia.