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 2025  settembre 24 Mercoledì calendario

Intervista a Salvatore Palella

Ha casa nel Connecticut, appartamento a Manhattan, società quotate al Nasdaq. Ma è nato ad Acireale e, dopo dieci anni, torna con famiglia e consulenti per il battesimo del terzo figlio nato tre mesi fa a New York, lo stesso giorno in cui ha comprato a Catania La Sicilia, uno dei tre grandi giornali dell’isola.
«Comprato online dagli Usa, mia moglie ancora in clinica», dice Sal, come gli amici chiamano Salvatore Palella, 37 anni, prime esperienze nell’azienda paterna di ortofrutta, un impero costruito anche con i Bitcoin a Singapore, inventando i primi monopattini elettrici da noleggiare da un continente all’altro.
Adesso editore. Quale spinta? Affari e nostalgia della propria terra?
«Insito nella domanda il sospetto su una Sicilia piena di insidie, mafia compresa. Lo faccio perché spero che nessuno ponga più questa domanda fra cent’anni».
Beh, lei andò via dopo un periodo non felice.
«La Sicilia non è più quella degli anni Ottanta-Novanta, quando diverse forze oscure diventavano un ostacolo».
Oggi non trova più problemi?
«C’è un apparato statale che fa da barriera. E c’è un mondo politico che non dà problemi. A partire dal presidente della Regione, dai sindaci incontrati...».
Dicono che da queste parti si vedono pochi imprenditori e molti «prenditori» di denari pubblici...
«Non è certo il mio caso. All’estero ho saputo dimostrare di sapere investire».
Obiettivo?
«Spero di diventare un facilitatore dell’isola, anche per aiutare tanti imprenditori locali a scuotersi e per farne arrivare altri da fuori».
La Sicilia come terra di business?
«Perché no? Qui si può prendere un piccolo hotel e trasformarlo in un sogno, arrivare in un piccolo borgo e ripopolarlo. Ma ci sono delle barriere. La prima è la lingua. Pochi parlano inglese. L’altra è quella burocratica. Per il resto, opportunità grandissime».
Vuole fare il miracolo siciliano stando negli Usa?
«Io ci metto la faccia. Ci sono io in prima persona. Ovviamente con la massima libertà dei tecnici o dei giornalisti che devono potere lavorare senza condizionamenti».
Camiciola casual, il fisico di un atleta, berrettino da tennista griffato Palella, eccolo a Taormina sulla terrazza del San Domenico con genitori, sorelle, suocera, la bionda moglie Samantha Hoopes, il bebè in braccio, un portamento da modella, passione accantonata da quando Sal la vide a Como, a una sfilata.
«Una folgorazione. Adesso mamma a tempo pieno», spiega compiaciuto davanti agli ospiti raccolti per il battesimo del piccolo e per il compleanno del più grande, 7 anni. A cominciare da consulenti eccellenti per le matriosche di società come Helbiz o Everli. Da Massimo Ponzellini, il banchiere che fondò Nomisma con Prodi, poi presidente Impregilo, a Carlo Gagliardi, presidente senior partner di Deloitte Legal, società di revisione a livello mondiale. Entrambi padrini dei maschietti, come nonni premurosi. Con loro Emanuele Floridi, braccio destro di Lotito, responsabile comunicazione della Lazio. Tutti nel leggendario convento da tempo hotel Four Seasons e set della serie americana White Lotus. Adesso cuore di un inedito reality con un protagonista che, dopo avere acquisito a Catania il quotidiano della famiglia Ciancio, si è presentato a Palermo e Messina per sondare Giornale di Sicilia e Gazzetta del Sud.
Vuole diventare il Re di Sicilia? Un Re pigliatutto?
«Ho comprato un giornale, prima di un resort e di altre attività, per dare un segnale, per contribuire a dare informazione su che cosa è la Sicilia, oltre a far sapere che cosa succede».
Una domanda echeggia: chi c’è dietro?
«A volte sento cadere ingiustamente su di me il peccato originale di essere nato in Sicilia».
È il refrain dei «prenditori»...
«Sono venuto a fare la mia storia, non quella degli altri. Con la mia “Sicily Investiments Fund”».
Di chi è?
«Cento per cento “Palella Holdings LLC”. Come l’85 per cento di Everli, l’azienda per la consegna della spesa a casa, 100 milioni di fatturato e 1.800 shopper. Ho fatto un aumento di capitale di 21 milioni. Vola. Pronti per quotare al Nasdaq».
Giorgio Armani invocava «impegno, rispetto, attenzione per le persone»...
«Un mito. Avevo 19 anni quando entrai per curiosità nel negozio Armani, a Milano. E vidi lui, il gran capo, che faceva il commesso. Colsi la lezione: bisogna lavorare sapendo fare tutto».
La regola?
«Umiltà, sporcarsi le mani»
Lei se le sporca?
«Appena acquistata Everli, a Milano sono andato io a consegnare la prima spesa online, facendo lo shopper».
Ai funerali di Emilio Fede è stata ricordata una massima: la gratitudine è solo l’attesa di altri favori.
«Mi basta esser grato a chi mi ha dato credibilità anche nei momenti difficili. Emilio, mio carissimo amico. Ogni sera a cena. Poi scattò la storia di Ruby...».
E Berlusconi?
«Mai conosciuto».
Erano anche i tempi di Lele Mora, poco tenero con lei, commentando la frequentazione con qualche dubbio personaggio.
«A Lele piace allargarsi...»
Ha dovuto frequentare qualche aula di tribunale.
«Sempre da parte lesa. Mai un foglio giudiziario. Ma bisogna anche dire che è necessario riconoscere sempre una seconda opportunità a chi prova a rialzarsi, a ricominciare».
Se ne è parlato nei servizi di Report.
«Archiviamo alla voce “cattiverie”. Nulla su rapporti di nessun peso».
Ma ha accusato il colpo?
«Mi chiusero i conti in banca di Helbiz, 10 milioni di euro bloccati. Dovetti concentrare tutta l’attività della società negli Usa».
Torna e fa l’editore per controllare meglio la materia?
«Report ha avviato la sua inchiesta facendo leva su cinque articoli de La Sicilia scritti dal nostro Mario Barresi. Adesso che io ho comprato il giornale, qualcuno suggerisce di cancellarli dal sito. No. La storia deve restare scritta, anche quella con gli errori».
Parla di un giornale rinnovato.
«Nuove sedi a Catania e Palermo, ma stesso direttore. Una prima iniezione di 3 milioni di euro. Presto due pagine in inglese. Da ottobre tradotti tutti gli articoli. Perché la testata coincide con il “brand Sicilia” da proporre al mondo. Immagino un giornale che potrà anche offrire la terra in cui opera, la Sicilia, proponendo il resort confortevole o l’elicottero per Pantelleria...».
Come scoprì il mondo dei monopattini?
«Nel 2015 incrocio a San Francisco dei ragazzi di Uber che corrono sui monopattini. Un’illuminazione. Scopro che la fabbrica sta a Hong Kong, volo e ne compro uno dotato di Gps per poterlo rintracciare».
E noleggiarlo?
«Lo smonto e lo sistemo in valigia. Bloccato ai controlli. Poi mi fanno ripartire e decido di comprarne a migliaia. Un successo Usa clonato a Milano. Arrivai con i primi proprio davanti al negozio Armani».
Col Covid il governo Conte varò il bonus monopattino. Un affare?
«Tanti pensarono che fosse un favore fatto a me. Ma io affittavo, non vendevo. Non un centesimo di guadagno. Eppure, ancora oggi nel governo qualcuno pensa che il monopattino sia – come dire? – una cosa di sinistra».
Lei sta col centrodestra?
«Io sto con chi governa».
Anche in America, suppongo.
«Certo. Se in Usa sento parlare bene della Meloni, come succede, ne sono felice».
Inquieto per i dazi?
«Per niente. Grande mossa di Trump. Una scelta che darà tanta liquidità agli Usa».
Invece, tanti imprenditori italiani sono preoccupati.
«Sono molto amico di Paolo Zampolli, l’ambasciatore che presentò Melania a Trump, di casa in Florida a Mar-a-Lago dove ha saputo che molti italiani si stanno organizzando per aprire aziende negli Usa».
E chi le presentò sua moglie Samantha?
«Un caso. La sfilata a Como. Io, conquistato».
Le ha fatto troncare una carriera.
«Siamo felici così, con i nostri tre figli, in attesa degli altri tre».
Già programmati?
«Siamo a metà strada. L’obiettivo è sei. Compresi due gemelli. Mio nonno ne aveva uno, come mio suocero. La partita è aperta».

Sorride, trascinando nel brindisi gli amici e Samantha che annuisce, accarezzando il piccolo, pronta a rientrare nel Connecticut. Mentre lui si prepara a fare il pendolare sull’asse New York-Catania, via Milano.