Corriere della Sera, 24 settembre 2025
La politica, la condanna del figlio. L’anno nero di Beppe Grillo
Assorbire il dolore, forse reagire. Per Beppe Grillo la sentenza di condanna a otto anni in primo grado per stupro nei confronti del figlio Ciro segna comunque uno spartiacque. «Servirà tempo perché è stato un colpo durissimo», dice chi lo conosce bene. La famiglia si è chiusa nel riserbo. Lui, l’ex garante del Movimento, viene descritto come «cupo». Per lui – sempre strenuamente convinto dell’innocenza del figlio – il verdetto (oltre a Ciro sono stati condannati a 8 anni Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, a 6 anni e 6 mesi Francesco Corsiglia) segna la fine di un anno nero. Prima la cacciata dal partito che ha fondato e per cui si è speso in prima linea per anni, ora la decisione del tribunale. «Sembra una beffa: tutto quello che poteva andare storto è andato storto. E nel peggiore dei modi», commenta una fonte. «Adesso? Beppe si farà sentire. A suo modo. Ne sono convinto».
Solo un anno fa Grillo tuonava sul blog: «Riprendiamoci le nostre battaglie». «Rivendico il mio diritto all’estinzione del Movimento. Io quando vedo questa bandiera dei 5 Stelle, con davanti il mago di Oz (Conte, ndr) che parla di democrazia diretta, mi viene un buco nello stomaco», diceva il garante. Ma la sfida con Giuseppe Conte si è risolta con la cancellazione (a colpi di clic) del ruolo del garante dai Cinque Stelle. Una decisione varata dall’Assemblea Costituente a fine novembre e ribadita pochi giorni dopo dalla ripetizione del voto chiesta dallo stesso Grillo. L’unico commento per un addio così brutale lo showman l’ha affidato all’ironia, citando The Truman Show: «Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte». Ma lo strappo con i Cinque Stelle non si è del tutto consumato: sottotraccia è rimasta la querelle legale per l’utilizzo del simbolo. I vertici del Movimento non hanno rinnovato i contratti da 300mila euro annui di consulenza con l’ex garante e hanno ipotizzato anche di togliere al fondatore lo scudo legale.
Se le cose sul fronte politico si sono deteriorate, sul fronte personale è arrivata la ferita più grande con la condanna di Ciro. Grillo – confida chi lo conosce – è da settimane più inquieto. Solo pochi giorni fa tracciava sul blog un parallelo. Un post dal titolo «Chiamatemi Sinbad». «Ernst Bloch, nel “Principio Speranza” lo raccontava come metafora. Sinbad che naufraga, perde tutto, rischia di annegare ma si aggrappa a un legno e sopravvive», scriveva Grillo. E concludeva: «Non è più tempo di aspettare che il pesce si giri di nuovo e ci offra un’altra illusione di terraferma. È tempo di buttarsi e nuotare insieme verso una riva che ancora non vediamo ma che sappiamo esiste». Ora quelle parole suonano quasi come un auspicio sia per l’ex capo politico M5S sia per il padre ferito. Ma chi lo conosce bene ricorda anche che Sinbad è uno degli pseudonimi utilizzati dal Conte di Montecristo. «Beppe medita vendetta? Di sicuro è a terra ora. Ma si rialzerà». Per ora l’unica certezza è che «di sicuro rivedremo il Grillo guerriero all’appello».