la Repubblica, 23 settembre 2025
Perché vogliamo che almeno il giallo sia rassicurante
Quattro arzilli pensionati si ritrovano ogni giovedì nella sala comune di un’elegante residenza per anziani nel cuore della campagna inglese per coltivare un singolare hobby: risolvere delitti. Sono un’ex agente segreta, un aggressivo ex sindacalista, uno psichiatra empatico e un’infermiera vedova. Non fosse per l’ambientazione in uno di quegli angoletti di campagna inglese che più british non si può, un simile impianto narrativo si potrebbe scambiare per uno spin-off dei simpaticissimi vecchietti del BarLume di Marco Malvaldi. E invece questi eroi della riscossa senile sono i protagonisti del Club dei delitti del giovedì, oggi un acclamato film Netflix con star del calibro di Helen Mirren e Pierce Brosnan, domani una serie che si preannuncia epocale e in origine un quartetto di romanzi di Richard Osman, brillante conduttore televisivo passato alla scrittura e alfiere della prepotente riscossa di un modo di raccontare storie gialle che va sotto la definizione di cosy crime: come dire «delitto accogliente, confortevole».
Qualche purista preferisce l’espressione “delitti all’antica”. Che ci sia qualcosa di antico, nel cosy crime, è innegabile. Ci sono elementi di una tradizione che risale agli albori del poliziesco. Spesso i protagonisti sono investigatori dilettanti. Gente che non è pagata per risolvere misteri, ma ci si dedica con assoluto disinteresse. Per mettere alla prova la propria intelligenza, per combattere la noia, per curiosità scientifica, perché l’adorato gatto di casa si è casualmente imbattuto in un avambraccio dimenticato nel capanno di caccia, perché il vicario ha mangiato il fungo sbagliato, e via dicendo. E quando, invece, chi indaga è un professionista, per rientrare nella “banda cosy” occorre che dismetta l’aria cupa e tragica di chi è perseguitato da un passato ingombrante o dal demone di una qualche dipendenza, per assumere condotte ironiche, divertenti, talora strampalate. Occorre che sia “sbirro”, ma che lo dia a vedere il meno possibile. Del resto, un altro tratto distintivo del cosy crime, anch’esso di stampo tradizionale, sta nella diffidenza per la polizia e gli inquirenti in generale. Che, pure, servono ai dilettanti, non foss’altro perché altrimenti alcune informazioni sarebbero precluse, ma che sono considerati o dei sempliciotti o degli arroganti da punire. Esattamente come Sherlock Holmes trattava, con un misto di condiscendenza e velato disprezzo vagamente classista, il povero ispettore Lestrade di Scotland Yard.
Ciò detto, se si guarda alla storia del giallo, ci si renderà conto di come, sino all’avvento dell’hard boiled di Hammett e Chandler, tutto il genere poliziesco sia stato cosy o ci sia andato molto vicino. In una declinazione, se si vuole, metafisica, nella quale un rappresentante del Bene combatteva contro le oscure forze del Male in un duello di intelligenze destinato a concludersi inevitabilmente con il trionfo del primo e il ripristino dell’ordine, morale e sociale, turbato dalla ferita inferta dal crimine. Il che descriveva perfettamente il ruolo che la borghesia si era ritagliata nel nuovo ordine occidentale e la consapevolezza che ne derivava. Poi, con la crisi di Wall Street del ’29, le cose cambiano. Rimettere ordine diventa sempre più difficile, i valori tradizionali entrano in crisi, le certezze vacillano. Ed ecco spuntare autori che restituiscono il crimine alla sua autentica dimensione di esercizio di violenza e prevaricazione. Le indagini cessano di essere un divertimento intellettuale e i cadaveri si riappropriano di quello sconveniente odore di morte che li caratterizza.
Il crime “sociale”, se così vogliamo definirlo, non soppianta, ma affianca il giallo classico. E sovente grandi autori praticano entrambe le scritture. Si dice che il cosy di oggi sia figlio di Agatha Christie e di Georges Simenon: è vero che Miss Marple indaga sferruzzando, ma Christie ha scritto romanzi molto più complessi e attraversati da un dolente pessimismo sulla natura umana. E il Simenon dei cosiddetti “romanzi duri” è tutt’altro che “accogliente”. Ma è innegabile che, da qualche anno a questa parte, il cosy stia diventando egemone nel panorama letterario, non solo anglosassone. Si parla di autori da milioni di copie vendute, e quando Richard Osman si affaccia in un teatro per svelare i “segreti di bottega” di un produttore di bestseller, l’evento è sold-out. Perché tanto successo? Sostiene The Economist che in tempi orribili come quelli che viviamo si vuole essere rassicurati. Da qui la propensione per le scritture “accoglienti”. I cadaveri del cosy crime sono corpi depurati, senza intensità drammatica, si sono rialzati dai marciapiedi dei bassifondi, si sono ripuliti del sangue e si sono quietamente rimessi a sonnecchiare nel salotto buono di casa. In attesa che il pensionato di turno consegni alla giustizia il colpevole. Sta accadendo, dunque, l’esatto opposto di quanto si verificò un secolo fa. Allora la crisi e il turbamento politico spinsero autori e pubblico verso scritture più aspre e ricche di venature critiche, oggi viviamo un momento di ritiro collettivo, una fuga generalizzata dal senso di spaesamento e di impotenza che ci opprime.
Ma che ci sia, al fondo, anche un inconfessato anelito di speranza? Come dire: se un dilettante sprovvisto di mezzi, magari avanti negli anni, può sbrogliare l’intricata matassa, perché non potrebbe farcela uno qualunque, uno di noi?