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 2025  settembre 23 Martedì calendario

Adidas contro Puma: e se la battaglia infinita (ora diventata serie Tv) finisse con un matrimonio?

Herzogenaurach è una cittadina bavarese spaccata in due da un fiume reale, l’Aurach, e da uno invisibile: quello che per quasi un secolo ha separato Adidas da Puma, Adi Dassler dal fratello-nemico Rudolf. È la città dei «colli piegati», perché prima di iniziare una conversazione tutti guardavano in basso le scarpe dell’altro per capire a quale fazione appartenesse. Ora Herzogenaurach torna sotto i riflettori perché il 24 settembre approda su Disney+ la docuserie Sneaker Wars: Adidas V Puma, che ricostruisce la leggenda della faida dei Dassler, proprio quando la cronaca finanziaria rilancia un paradosso degno di una sceneggiatura: Adidas potrebbe inglobare Puma. Un ritorno sotto lo stesso tetto che cancellerebbe in un colpo solo ottant’anni di rivalità, e che i mercati osservano con la stessa curiosità con cui il pubblico si prepara a guardare la serie.
Diretta da Blair McDonald e Oliver Clark, la docuserie di Disney promette di riportare in vita tutti i passaggi più iconici di questa saga familiare: dalle Olimpiadi del 1936, con Jesse Owens che umilia Hitler vincendo tre ori indossando le scarpe di Adi Dassler, alla frattura insanabile che porta Rudolf ad attraversare il fiume di Herzogenaurach e fondare Puma. Fino alla città divisa in due clan, all’eredità avvelenata lasciata ai figli, agli anni delle mazzette agli atleti e della corruzione sportiva, come li ha raccontati con precisione chirurgica Barbara Smit nel libro La sfida del secolo. 
Eppure, mentre sugli schermi stanno per scorrere i rancori dei Dassler, la finanza scrive pagine nuove. Puma è in difficoltà: il titolo, che quattro anni fa valeva 114 euro, oggi viaggia intorno ai 19, dopo aver perso metà del suo valore solo dall’inizio del 2025. Le prospettive di bilancio parlano di perdite, e il malumore degli azionisti monta. Roy Adams, cofondatore del fondo Metronuclear e azionista di Puma, ha dichiarato al quotidiano economico Handelsblatt che «l’azienda è in uno stato di emergenza» e che «se il management non riuscirà a imprimere una svolta, una fusione con Adidas è l’opzione migliore». Parole che hanno acceso la Borsa: il titolo Puma, nei giorni successivi, ha guadagnato fino al 10% sulle ali delle speculazioni.
Il nodo resta la quota del 30% in mano alla famiglia Pinault, attraverso la holding Artemis. Ufficialmente il gruppo francese ha smentito qualsiasi intenzione di vendere «a questi livelli», ma una fonte vicina al dossier, citata da Reuters, ha ammesso che la partecipazione non resterà in portafoglio per sempre. Adidas, da parte sua, si limita alla formula di rito: «Non commentiamo speculazioni di mercato». Nel frattempo, altri fondi come CVC e Authentic Brands circolano nelle indiscrezioni come possibili interessati a Puma, segno che la febbre del dealmaking è tutt’altro che placata.
C’è anche un dettaglio che sembra uscito dalla penna di uno sceneggiatore: in primavera Puma ha nominato come ceo Arthur Hoeld, ex manager di Adidas, con effetto dal 1° luglio scorso. Una mossa che allora apparve ironica, oggi quasi profetica. Come se la storia volesse suggerire che, dopo decenni di separazione, le traiettorie dei due marchi sono destinate a convergere.
Il paradosso è evidente. La rivalità tra Adidas e Puma è parte integrante del loro fascino, un capitale simbolico che va oltre il fatturato e le sponsorship. Senza competizione, senza la narrazione di un derby eterno, che cosa resterebbe dell’aura dei due marchi? Per gli appassionati, per gli sneakerhead, per chi considera le tre strisce e il felino rampante come simboli identitari, l’idea di una fusione suona quasi blasfema. Ma per i mercati l’odio fraterno non paga più, e il tempo dei bilanci ha sempre la meglio sulla forza dei miti