Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 23 Martedì calendario

Chi ha «ucciso» le Nazioni Unite? Dal Ruanda a Trump, storia di un declino

Si apre al Palazzo di Vetro sull’East River l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Sono passati ottant’anni dalla loro fondazione. Oggi i residenti di New York non sono gli unici a chiedersi se valga la pena sopportare ogni anno questo caos infernale, il traffico paralizzato, i disagi per l’invasione di leader stranieri: a che scopo?
Molte analisi dell’Onu in questo anniversario assomigliano all’autopsia di un cadavere. Nessuno immagina che le Nazioni Unite possano mettere fine ai due più terribili conflitti del nostro tempo, Ucraina e Gaza. Alcune guerre «minori» negli ultimi mesi (India-Pakistan, Congo-Ruanda, Thailandia-Cambogia, Armenia-Azerbaijan) hanno conosciuto delle tregue, forse precarie, ma il merito se lo attribuisce Donald Trump che per le sue mediazioni vorrebbe il Nobel della Pace. A prescindere dalla fondatezza dei suoi vanti, quel che colpisce è, anche in questi casi, l’irrilevanza dell’Onu: l’organizzazione che era nata proprio per prevenire le guerre.
I dipendenti delle agenzie Onu stremati dai tagli di fondi preferirebbero additare proprio Trump come un colpevole della loro impotenza. «Fondata da un grande presidente americano (Franklin Delano Roosevelt), distrutta ottant’anni dopo da un suo indegno successore»: alcuni scriverebbero così l’epitaffio per questa organizzazione. Che Trump disprezzi e boicotti le istituzioni sovranazionali è un dato di fatto. Ma la crisi dell’Onu viene da lontano, schiacciarla sugli eventi degli ultimi mesi non ha senso. Per restare solo ai leader americani, George W. Bush all’inizio del millennio le aveva già tagliato i fondi, la osteggiava, e nel 2003 mandò il suo segretario di Stato Colin Powell a oltraggiarla con le menzogne sulle armi di Saddam Hussein. Comunque l’America non è l’unica superpotenza ad aver beffato, umiliato, svuotato di senso le Nazioni Unite. La storia del loro fallimento va rivista tutta intera. 
La grande illusione di Roosevelt
L’Onu nasce nel 1945, sulle macerie della Seconda guerra mondiale. È la seconda volta che un presidente americano ci prova, dopo Woodrow Wilson con la Società delle Nazioni, a costruire sulla tragedia di un conflitto mondiale un ordine pacifico fondato sul diritto internazionale. La Carta di San Francisco voluta da Roosevelt promette un futuro diverso: «Salvare le generazioni future dal flagello della guerra», impedire che si ripetano Auschwitz e Hiroshima. 
Per alcuni decenni l’Onu ha tentato di essere un simbolo di speranza e, in qualche occasione, si è rivelata un attore decisivo. Ma fin dalla sua concezione è prigioniera della grande illusione di Roosevelt: che i cinque vincitori della guerra (America, Urss, Regno Unito, con l’aggiunta un po’ forzata della Francia, e di una Cina che in modo artificioso è inizialmente rappresentata da Taiwan) abbiano la coesione e la buona volontà per essere i gendarmi della pace. 
Da quell’illusione nasce il Consiglio di Sicurezza, con il diritto di veto accordato ai suoi membri permanenti. A lungo andare si rivelerà un virus tremendo, paralizzante. Sorvolo qui su altre responsabilità dell’Onu, in campo umanitario, medico, scientifico: mi concentro sulla missione principale, la pace.
Dalla Corea all’Afghanistan
I successi originari si chiamano Corea e decolonizzazione. Il primo grande banco di prova arriva con la guerra di Corea (1950-1953). Nel giugno 1950 la Corea del Nord, sostenuta dall’Urss di Stalin e dalla Cina comunista di Mao, invade il Sud. È un’aggressione classica, un conflitto tra Stati, esattamente il tipo di scenario per cui l’Onu è stata concepita. Accade un fatto quasi irripetibile: l’Unione Sovietica, per protesta, sta boicottando le riunioni del Consiglio di Sicurezza. La Cina di Mao non ne fa ancora parte, al suo posto siede un rappresentante di Taiwan. Perciò non scatta nessun veto. In quell’occasione l’Onu approva una risoluzione che autorizza l’uso della forza per respingere l’invasione. 
Sotto bandiera Onu, in realtà sotto comando americano, una coalizione internazionale interviene a difesa della Corea del Sud. È una guerra terribile, con milioni di morti, ma segna anche un precedente… o un’illusione: l’Onu dimostra di poter agire con efficacia, almeno quando le grandi potenze sono divise o distratte. La pace non arriva: nel 1953 c’è solo un armistizio, ancora oggi in vigore. Ma la legittimità dell’intervento resta un segnale forte. 
Negli anni successivi, un altro terreno in cui l’Onu gioca un ruolo positivo è la decolonizzazione. Dagli anni Cinquanta in poi, l’organizzazione è spesso il foro internazionale che dà voce ai nuovi Stati indipendenti. Alcune operazioni di pace accompagnano la transizione alla sovranità: in Congo negli anni Sessanta, nonostante enormi difficoltà, i caschi blu riescono a contenere la frammentazione; in Namibia negli anni Ottanta l’Onu organizza le elezioni e garantisce la nascita di uno Stato indipendente; in Mozambico e Cambogia le missioni internazionali consolidano accordi di pace che mettono fine a guerre civili devastanti. 
Però l’Onu è rimasta impotente e inutile di fronte a una delle più grandi guerre di quel periodo: l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Unione sovietica, iniziata nel 1979 e durata per un intero decennio.
Successi e fallimenti degli anni 90
Un momento di gloria arriva nel 1990-1991, con l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. Questa volta l’aggressore non è una piccola potenza regionale: Saddam controlla uno degli eserciti più potenti del Medio Oriente. Il Consiglio di Sicurezza reagisce con decisione, anche perché il mondo si trova nella fase «unipolare», con l’America unica superpotenza (l’Urss si sta dissolvendo, la Cina è ancora all’inizio del suo decollo e segnata dal massacro di Piazza Tienanmen). 
Dal Palazzo di Vetro partono sanzioni economiche, ultimatum, infine la risoluzione 678 che autorizza «tutti i mezzi necessari» per cacciare l’Iraq dal Kuwait. La prima Guerra del Golfo, condotta da una vasta coalizione guidata dagli Stati Uniti di George Bush padre, ha dunque un chiaro mandato Onu. Quel momento è percepito come l’apice della credibilità delle Nazioni Unite. Sono gli anni immediatamente successivi al crollo del Muro di Berlino: la Guerra fredda è finita, tra Washington e Mosca è sbocciata una sorta di luna di miele. Sembra il preludio a un «nuovo ordine mondiale» in cui l’Onu sarebbe finalmente lo strumento condiviso della sicurezza collettiva.
Meno spettacolari, ma non irrilevanti, sono i successi del peacekeeping negli anni Novanta. In America centrale, in paesi come El Salvador e Guatemala, le missioni Onu facilitano il disarmo delle guerriglie e il ritorno alla democrazia. In Timor Est, dopo la violenza dell’occupazione indonesiana, l’Onu assume direttamente l’amministrazione del territorio, guidandolo all’indipendenza. Questi interventi (e alcuni altri) dimostrano che, in scenari circoscritti, con il consenso delle parti, la forza multinazionale dei Caschi blu può fare la differenza: garantire elezioni, facilitare il ritorno dei rifugiati, addestrare polizie locali, avviare la ricostruzione.
Ma gli anni Novanta segnano anche fallimenti gravi. Nel Ruanda del 1994, una missione Onu è presente sul terreno quando comincia il genocidio. Ottocentomila persone sono massacrate in poche settimane, mentre il mondo guarda altrove. L’Onu ne esce con la reputazione macchiata. Poco dopo, in Bosnia, i Caschi blu sono testimoni impotenti del massacro di Srebrenica: più di ottomila civili musulmani sterminati sotto il naso dei peacekeeper olandesi.
Questi episodi dimostrano che l’Onu funziona solo in contesti di media intensità, mai di fronte a genocidi o guerre ad alta intensità. Quando il fuoco brucia davvero, i caschi blu diventano ostaggi della loro stessa debolezza. 
I limiti nel Dna
Il Kosovo nel 1999 è un punto di svolta diverso: l’Onu non fallisce per debolezza, viene aggirata. Di fronte alle pulizie etniche ordinate da Milosevic contro la popolazione albanese, la Nato voleva intervenire. Stavolta al Consiglio di Sicurezza Russia e Cina sono pronte al veto. Allora l’Alleanza Atlantica decide di bombardare la Serbia senza mandato Onu. L’intervento ferma Milosevic. L’Onu viene ridotta a un ruolo notarile: solo dopo, con la risoluzione 1244, si prende in carico l’amministrazione civile del Kosovo, mentre la sicurezza resta in mano alla Nato. 
Il nuovo secolo accentua il declino. Nel 2003 gli Stati Uniti invadono l’Iraq senza autorizzazione Onu: un atto che marginalizza il Palazzo di Vetro. Nel conflitto siriano, dal 2011, il Consiglio di Sicurezza è paralizzato dai veti contrapposti di Russia, Cina e Stati occidentali: nessuna capacità di prevenire la catastrofe umanitaria, milioni di profughi, centinaia di migliaia di morti.
Infine, la prova più recente: l’invasione russa dell’Ucraina, prima nel 2014 con l’annessione della Crimea, poi nel 2022 con la guerra su vasta scala. L’Assemblea Generale vota a larghissima maggioranza per condannare Mosca, ma il Consiglio di Sicurezza resta impotente: la Russia è membro permanente con diritto di veto. L’Onu non ha alcun mezzo per imporre il rispetto della Carta da parte di uno dei suoi fondatori. Inoltre il fronte della condanna si rivela molto meno esteso quando si tratta di applicare le sanzioni contro Putin: buona parte del Grande Sud globale (con in testa l’India) fa defezione e continua a commerciare con Mosca. 
I limiti dell’Onu sono scritti nel suo Dna. Ogni volta che un membro permanente è coinvolto in una crisi – Russia in Ucraina, Stati Uniti in Iraq, Cina in Tibet o Xinjiang o a Hong Kong – l’Onu diventa spettatrice. L’altro grande limite è la dipendenza dagli Stati membri: i caschi blu non sono un esercito ma contingenti nazionali prestati temporaneamente.
Senza volontà politica e senza mezzi, le missioni diventano simboliche. La parabola dell’Onu dai giorni «eroici» (ma un po’ per caso) della Corea alla paralisi sull’Ucraina, ricalca la storia della nostra epoca: da un mondo che sognava la pace universale al ritorno delle logiche di potenza. L’agonia del sogno si consuma da decenni, non è un disastro recente. E le impronte digitali sul cadavere le hanno lasciate in molti.