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 2025  settembre 22 Lunedì calendario

“Comedians fu la nostra resistenza”

Gabriele Salvatores, il giorno in cui è iniziata l’avventura di “Comedians”, nel 1985?
«Lo racconta Paolo Rossi: dopo il suo Nemico di classe, ci eravamo detti: “Cerchiamo un testo da fare insieme”. Un giorno, mentre metteva a posto la libreria, gli è caduto in testa un libretto: Comedians di Trevor Griffiths. Ha iniziato a leggerlo, era su sei comici disperati: ciò che stavamo cercando. Abbiamo messo insieme gli interpreti scegliendo tra gli amici: Antonio Catania, Gigio Alberti, Renato Sarti, lo scomparso Gianni Palladino. Serviva un napoletano: Silvio Orlando arrivò a Milano da immigrato, cercava le monetine da mettere nell’ascensore, come a Napoli, mangiava le pizze fritte di mia madre, dormiva in sala prove. Così si è formato il gruppo».
Fondaste una squadra di calcio.
«I “Comedians”: abbiamo persino vinto un paio di tornei ARCI. Questo ha aiutato la coesione. Ancora oggi abbiamo una chat su Instagram: se uno chiama, gli altri rispondono. E poi facemmo anche una band che si esibiva all’inizio dello spettacolo».
Un corpo estraneo nella “Milano da bere”.
«Sì. L’ascesa di Berlusconi, le tv private, l’ansia di apparire. Un passaggio d’epoca pericoloso: dagli anni ’70 e dall’impegno civile aun’Italia individualista.
Trionfavano i film sugli yuppie. Comedians, invece, raccontava la Milano delle case di ringhiera, della comunità, del Leoncavallo, dei centri sociali, della cultura alternativa. C’era già il sentimento poi sfociato in Mediterraneo, che all’inizio infatti doveva chiamarsi
Lasciateci perdere
, e nella trilogia della fuga. Oggi mancherebbe quel senso di comunità, quella “guerriglia culturale” che ci animava».
Avete trasformato la comicità anglosassone in italiana.
«Andammo in scena la prima volta alla Versiliana, estate 1985: il titolo era Esercizi per comici. Io interpretavo l’esaminatore per dirigere gli attori in scena, improvvisazioni jazz. I personaggi del testo di Griffiths diventavano italiani veri: Gianni Palladino era un bidello, Paolo Rossi un facchino delle Ferrovie... Tutta gente del nostro mondo. Durante il Covid ho provato a rifare Comedians in film, fedele a Griffiths. Il risultato mi piace, ma fa meno ridere. È più duro, più politico. La differenza sta lì: noi lo avevamo “scaldato”, reso più vicino alla nostra vita».
Come spiega il grande successo?
«Facevamo molto ridere. La comicità a volte supera ideologie, situazioni. La voce girò subito. E poi penso alla battuta di Altan: “Dopo gli anni di piombo godiamoci il calduccio di questi anni di merda”. C’era ancora un forte senso di comunità. Oggi non viviamo un’epoca bella. Sono preoccupato, un po’ depresso: sono scomparse le ideologie. “Ideologico” non è una brutta parola: vuol dire avere un’idea. Se diventa un paraocchi non va bene, ma oggi non abbiamo un sogno comune. Ognuno pensa a sopravvivere, non a vivere. Manca la visione del futuro. Non so se uno spettacolo così si potrebbe rifare».
Berlusconi è stato il primo a reagire male alla comicità.
«Certo. Quando la destra parla di egemonia culturale della sinistra mi fa sorridere: l’egemonia culturale l’ha creata Berlusconi con le sue televisioni, il suo modo di proporsi, la sua intolleranza alle critiche. Oggi questa intolleranza è quasi una malattia. La discussione è la base della democrazia, e invece sembra vietata. In America i comici – Jimmy Kimmel e gli altri – sono sotto attacco forse più dei giornalisti. E i politici si sono appropriati del linguaggio comico».
Le epurazioni di comici tv?
«Una tattica che Trump ha adottato su larga scala. E non solo lui. In Italia è in atto un’occupazione culturale quasi militare. Non ho preclusioni verso intellettuali di destra – amo Céline, ad esempio – ma la differenza resta. Nel pensiero di sinistra c’è il rispetto delle idee diverse, a destra c’è intolleranza verso la critica comica».
Per Griffiths la battuta facile si siede sugli stereotipi maschilisti e razzisti. Per altri il politicamente corretto ha “rovinato tutto”.
«Ci sono comici scorretti che però dicono verità, anche se danno fastidio. Ma dietro la scorrettezza deve esserci un’idea di vita migliore. E poi attenzione: oggi chi governa dice cose scorrettissime, specie contro le minoranze. E non è vero che “non si può più dire niente”: certe cose si dicono eccome, ma solo da una parte».
Oggi un “Comedians” lo farebbe più a trazione femminile?
«Le rivelo una cosa: sto pensando a una serie tv legata alla vita dei comici e oggi ci sono molte donne bravissime: Angela Finocchiaro, Geppi Cucciari, con cui abbiamo fatto una chiacchierata, Virginia Raffaele, la grande Paola Cortellesi, Emanuela Fanelli, Teresa Mannino, Michela Giraud e altre. Sì, mi piace l’idea che quarant’anni dopo il testimone passi alle donne».