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 2025  settembre 22 Lunedì calendario

Intervista a Dorina Vaccaroni

Dorina Vaccaroni ci parla davanti ai due amati cani, razza lagotto e labradoodle, e sotto il neon dei cinque cerchi olimpici, girati però al contrario. «È un regalo di mio padre, originale come me». Zero Branco, terra del radicchio trevigiano: la ragazza che dominava nel fioretto emanando femminilità, prima icona sexy del nostro sport, ha qui una delle sue basi italiane. L’altra è Asiago, «che adoro per le montagne da scalare in bici», ma da anni vive pure in California, prima Los Angeles, poi San Francisco, ora San Diego. Ha la cittadinanza americana, però non ha rinunciato alla nostra, «anche se l’Italia mi ha impedito di insegnare scherma, a differenza degli Stati Uniti». Scherma, più mental coaching, più lezioni di resilienza ai bambini, più ciclismo, ora declinato nella versione più dura: ecco la vita di «Dodì», quasi sempre estrema.
Campionessa e donna al centro dei gossip dell’epoca: lei è stata la prima sportiva «trasversale»?
«Non so che cosa sono stata. L’unico guaio è che sono spontanea: a volte prima di parlare dovrei riflettere, ma il carattere non si cambia. Da un lato è stato un bene essere così: ho fatto divertire. Però dall’altro ho avuto i miei bei casini, soprattutto a livello federale e burocratico».
Era l’emblema della femminilità abbinata allo sport.
«Cerco di esserlo ancora oggi nell’ultracycling: ho i miei body colorati, idem i calzini. Il ciclismo estremo tende al maschile, ma io voglio essere sempre donna. E le donne mi seguono: tante mi chiedono consigli e si fanno la treccia come l’ho io».
Dorina la Divina. O la Divina è solo Federica Pellegrini?
«La Pellegrini non la conosco. Poi perché Divina?».
Perché lei andava in pedana truccata e ingioiellata.
«E me ne infischiavo di quello che dicevano. In questi casi io non discuto, scantono».

La sua storia con Andrea Manzo oggi spopolerebbe nei social network.
«Andrea chi?».
Il calciatore che ha giocato pure nel Milan.
«Ah, l’ex marito, padre della prima figlia. I calciatori, i calciatori... Sempre in giro con le donnette: difatti s’è risposato e s’è separato pure dall’altra. Vivono nel loro mondo, particolare e pieno di soldi».
Certe attenzioni le davano fastidio?
«No. Se spieghi la tua vita, diventi d’esempio per le altre donne. Io credo di dare messaggi forti: non bisogna avere paura di agire, di cambiare vita, di andare in un altro Paese come ho fatto io».
Perché è finita con Manzo?
«Perché piaceva alle donne. Bel ragazzo, sportivo, pieno di soldi: gli ronzavano attorno e lui non era uno stinco di santo».

Ma Dorina Vaccaroni era attraente.
«Però sapete l’uomo com’è: Andrea non avrebbe dovuto sposarsi».

Oggi lei ha un compagno?
«Sono single convinta. Ho i miei cani, viaggio, vado in America, torno, mangio quando voglio, vado in bici pure di notte. Ho appena disputato la Race Across Austria e l’ho vinta. Ho pedalato per tre giorni, beccando acqua e neve sul Grossglockner: un uomo al mio fianco scapperebbe».
Non resta che cercarne uno simile a lei.
«Mi piacerebbe e non m’importerebbe quanti anni ha. Ma alla mia età non è facile trovarlo».

Pregi e difetti di Dorina Vaccaroni.
«Li dicano gli altri. Però ho un’energia da sfogare: altrimenti divento cattiva. Immaginate un uomo che mi chiude in casa: “Non puoi andare in bici, devi farmi da mangiare”. Non funziona, io amo la libertà. E tra l’altro sono pure vegana».
Era impegnativo mettersi con lei?
«Immaginate una in perenne movimento: ginnastica, corsa, scherma. E finita la scherma, passeggiate. Sì, ero impegnativa. E lo sono ancora oggi. Gli uomini mi piacciono, ma... primo, devono farmi ridere; secondo, devono amare ballare anche sotto la pioggia; terzo, devono avere l’energia di vivere. Il pantofolaio mi mette malinconia».
Le figlie: Jessica e Annette, 10 anni di differenza, avute da due uomini diversi. Com’è la mamma Dorina?
«Entrambe sono sposate, Annette abita a Roma, Jessica, che mi ha reso nonna di una nipotina, vive qui. Sono la classica mamma “americana”. Ovvero: i figli li fai, ma poi devi insegnare loro a volare. Le madri italiane, invece, si tengono i ragazzi attaccati al sedere fino a quando hanno 60 anni.
Entrambe pensano che le trascuri, ma le ho rese libere. E da sempre le ho abituate a prendere da sole autobus, treni e aerei. Avrei voluto che almeno una mi seguisse negli Usa, ma non è successo: e non sono nemmeno mai venute a trovarmi».
Quale delle due le assomiglia nel carattere?
«Nessuna. Io amo l’avventura, loro no».
Ci tenevano a diventare a loro volta sportive al top?
«Jessica ha provato con la scherma, Annette con la ginnastica ed è arrivata terza al Mondiale di aerobica. Ma la ginnastica rischia di buttarti nell’anoressia: l’ho fatta smettere quando ho ricevuto le lettere dell’allenatore che spiegava che cosa farle mangiare».
Avere una campionessa come madre le ha condizionate?
«Forse un po’ scocciava».
Scherma, sport di rivalità: quali erano le sue?
«La scherma è difficile. Non ho amici schermidori, a differenza del ciclismo. In bici sono sola con me stessa, sto anche dieci giorni senza dialogare con qualcuno. Nella scherma, invece, sei uno contro l’altro, hai momenti comuni. E devi andare a mangiare, o peggio ancora a dormire, con chi magari ti ha appena battuto in finale al Mondiale. Ecco perché volevo stare in stanza da sola: il c.t. Attilio Fini mi aveva capito e mi dava questa possibilità. Amici nella scherma? Solo i miei piccoli allievi negli Usa».
Perché ha smesso a 30 anni?
«Perché stare in pedana mi andava stretto. Io sono un’atleta di “endurance” e ho una capacità aerobica enorme: amavo correre, fare maratone, andare in bici. Se avessero inventato prima il triathlon sarei stata triatleta. Ma avevo 5 anni, vivevo a Venezia ed ero iperattiva: papà mi fece sfogare nello sport, l’unica palestra che trovò era di scherma».
Qual era l’avversaria bestia nera?
«Nessuna. Quando ho smesso le battevo tutte. Avrei potuto vincere di più? Vero».
Valentina Vezzali è stata la più forte di sempre?
«Quando l’ho conosciuta era mediamente forte. Poi è diventata la migliore? Non discuto, ma forse si è abbassato il livello generale».
La sua scherma oggi sarebbe ancora vincente?
«Le farei “morire” tutte».
Martina Favaretto è la stella del futuro, ma anche del presente perché ad appena 23 anni è già stata numero uno al mondo.
«Vive vicino a me. I genitori mi hanno chiesto di seguirla, l’ho fatto da quando aveva 9 anni: le davo lezioni, le facevo fare tanta ginnastica, mangiavamo assieme, la portavo di qua e di là. All’inizio era una schiappa, ma ho capito che di carattere è tosta. Al primo campionato italiano era in lacrime dopo il girone eliminatorio: le aveva prese da tutte. Le ho detto: “Stai calma, c’è l’eliminazione diretta”. Difatti ha vinto lei».
Però gliel’hanno tolta.
«Nonostante i successi e un diploma Isef avrei dovuto iscrivermi alla scuola di scherma: ecco le assurde regole. Ho provato a parlare al presidente del Coni dell’epoca, Giovanni Malagò, mentre a quello della scherma ho detto che avrei fatto l’esame ma senza frequentare la scuola. Respinta. Allora ho insegnato in Svizzera, ma mi facevano fare la spada. Così ho scritto agli americani: mi hanno preso al volo. L’America? Ti mette a tuo agio, le relazioni umane sono migliori».
Ma Donald Trump?
«Ah, non seguo la politica, però vederlo mi fa un po’ ridere: con quei capelli...».
Non segue la politica, tuttavia si era candidata per il Centro Cristiano Democratico.
«Mi aveva messo in mezzo un amico, è finita lì. La Meloni mi è comunque simpatica, ma a me piaceva Silvio Berlusconi, conosciuto quando ero sposata con Manzo: era allegro e gentile con le donne, a me ha regalato un orologio d’oro».
Ciclismo dal 2000, poi l’ultracycling: che cosa l’attrae?
«La libertà. E la possibilità di vedere paesaggi stupendi. Ho cominciato con le gare tradizionali, sono passata al granfondo, infine sono approdata all’endurance. Collaboro anche con Gaudens Cycling: organizza tour in bicicletta in tutto il mondo, sono testimonial per l’Italia».
Il ciclismo estremo è durissimo.
«Di più: tremendo. È una malattia, ma è anche un sogno. Riesco perfino a non dormire per tre giorni, restando in bici: vedo la Luna, le stelle, le albe, i tramonti, ascolto il mio silenzio e il mio respiro. Paura? Mai.
Non è un vizio come fumare o bere, il mio è un vizio sano».
C’è poi la Race Across America.
«L’ho già fatta tre volte e due l’ho vinta. Cinquemila chilometri, incontrando di tutto: i 55 gradi del deserto, la pioggia, il freddo. E non puoi fermarti. Otto persone mi seguono, incluso un medico. L’ho completata in 11 giorni: ho solo un’ora al giorno per mangiare, dormire, lavarmi, cambiarmi. Vince, banalmente, chi arriva prima degli altri. Nel 2026 ci riproverò per migliorare il primato del mondo».

Percorre 50 mila km all’anno in bici: il doppio di quelli che Forrest Gump ha corso a piedi nel film. Ma forse un giorno il fisico le dirà stop...
«Il corpo l’ho già scassato con cadute, botte, clavicole rotte: quando sarò più anziana non smetterò, ridurrò solo le distanze. La bici insegna una cosa semplice: volere è potere».