Corriere della Sera, 22 settembre 2025
Sette Regioni al voto. In gioco la nostra salute
L’autunno inaugura la stagione delle elezioni regionali. Si inizia dalla Valle d’Aosta il 28 settembre, dove lo statuto speciale prevede solo l’elezione del Consiglio. Nelle Marche, il 28 e 29 settembre, il presidente uscente Francesco Acquaroli (FdI) affronterà l’eurodeputato Matteo Ricci (Pd), ex sindaco di Pesaro. Si prosegue in Calabria il 5 e 6 ottobre: il governatore Roberto Occhiuto (FI) sarà sfidato da Pasquale Tridico (M5S), europarlamentare ed ex presidente Inps. In Toscana, il 12 e 13 ottobre, il presidente uscente Eugenio Giani (Pd) cercherà un secondo mandato contro Alessandro Tomasi (FdI), sindaco di Pistoia. Il 23 e 24 novembre si voterà in Veneto, Campania e Puglia. Il candidato del centrosinistra per il Veneto è Giovanni Manildo, ex sindaco di Treviso; per la Campania Roberto Fico (M5S), ex presidente della Camera; e per la Puglia l’europarlamentare Antonio Decaro, ex sindaco di Bari. Il centrodestra non ha ancora ufficializzato i propri candidati. La posta in gioco per i cittadini è altissima: il governo di una Regione impatta direttamente sulla salute. L’84% della spesa corrente regionale va alla Sanità. Budget 2025: Valle d’Aosta 272 milioni; Marche 3,2 miliardi; Calabria 4 miliardi; Toscana 8,1 miliardi; Veneto 10,5 miliardi; Campania 11,9 miliardi; Puglia 8,5 miliardi.
Lo Stato definisce i Livelli essenziali di assistenza (Lea) e le regole generali del sistema: stabilisce le modalità di lavoro per i medici di base, il numero di medici e infermieri e la loro formazione, le retribuzioni e le misure per smaltire le liste d’attesa. Le Regioni gestiscono la programmazione e l’organizzazione sanitaria sul territorio: decidono quali ospedali aprire, chiudere o accreditare, quali attività affidare al pubblico o al privato, quanti medici assumere e dove, quante risorse destinare a strutture per anziani e assistenza domiciliare, come organizzare Cup, screening, vaccinazioni. Alle Regioni competono la prevenzione e i controlli su alimenti, luoghi di lavoro e ambiente. Dunque l’efficienza o meno dei servizi sanitari regionali dipende dalle strategie del presidente e dalla sua filiera di comando.
Il presidente di Regione sceglie fiduciariamente l’assessore alla Sanità, che è il suo braccio operativo, e insieme nominano i direttori generali di Asl e ospedali. La valutazione tecnica è obbligatoria: dal 2016 i manager devono essere iscritti a un Albo nazionale, avere 5-7 anni di esperienza dirigenziale, un corso in sanità pubblica e meno di 65 anni. Ma la scelta finale resta politica. In Lombardia, dopo il voto del febbraio 2023, le 40 direzioni generali di Ats e Asst sono state distribuite, secondo ricostruzioni interne, ricalcando i pesi elettorali: 15 poltrone a Fratelli d’Italia (25,17% dei voti), 8 alla Lega (16,5%), 5 alla lista Fontana (6,15%) e 4 a Forza Italia (7,24%). Altri 8 manager sono stati indicati dall’assessore Guido Bertolaso. Anche se ad alcuni direttori generali è difficile attribuire una casacca netta, la logica della spartizione politica è evidente. In Emilia-Romagna le nomine sono condizionate anche da questioni geografiche: a Piacenza, il dg rispecchia il colore politico del sindaco; a Parma, l’indicazione passa dall’Unione industriali. Le aziende sanitarie di Reggio Emilia, Bologna, Ferrara, Modena e Imola sono di area Pd, mentre l’Ausl Romagna è legata all’ex presidente Vasco Errani. Il Rizzoli è considerato vicino a circuiti massonici, il Sant’Orsola all’area cattolica, ma dice la sua anche il rettore. Nelle Marche e in Toscana verranno nominati 7 nuovi direttori generali, in Veneto 12, in Calabria 8, in Puglia 10, in Campania 15.
I direttori generali scelgono fiduciariamente i direttori sanitari e amministrativi, ma il loro potere si estende anche ai primari. Un concorso per primario si basa su un profilo oggettivo (le esigenze del reparto) e uno soggettivo (i requisiti del candidato). Il dg deve nominare il candidato con il punteggio più alto. E qui si annida la discrezionalità. In commissione siede sempre il direttore sanitario, uomo di fiducia del Dg, e l’esito può essere orientato fin dalla stesura del bando, inserendo requisiti tagliati su misura per il prescelto. Ad esempio, per un primario di neurochirurgia si può richiedere una particolare specializzazione in chirurgia cranica, o per ginecologia un’esperienza combinata in laparoscopia e oncologia. La selezione avviene per titoli e colloquio, con un peso preponderante assegnato all’orale (fino a 60 punti su 100), dove è facile orientare le domande. L’incarico dura 5 anni e, sebbene sia prevista una valutazione dei risultati, la rimozione di un primario per obiettivi mancati è un evento raro.
Una Regione che non assicura i Lea o che sfora il bilancio può essere sottoposta a commissariamento da parte dello Stato. La vigilanza è affidata al «Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Lea», istituito nel 2005. È formato da 7 rappresentanti dei ministeri (4 della Salute, 2 dell’Economia e uno per gli Affari Regionali) e da 7 rappresentanti delle Regioni. Di fatto, le Regioni possono controllare se stesse. I verbali delle riunioni del Comitato, che contengono l’analisi di eventuali criticità e le relative raccomandazioni, non sono pubblici.
Considerate le estreme difficoltà che i cittadini incontrano sul fronte sanitario, è nel loro interesse verificare le competenze dei candidati. L’esperienza dimostra che producono risultati migliori i presidenti e gli assessori con un solido passato amministrativo, spesso ex sindaci, che si dedicano allo studio della sanità, all’analisi dei dati e che poi collaborano con i tecnici. Per questo, prima del voto, è legittimo chiedere ai candidati di indicare il nome del futuro assessore alla Sanità, e di definire le priorità che intende perseguire. La qualità dell’assistenza sanitaria dei prossimi cinque anni dipenderà dunque dalla scelta che i cittadini faranno. E potrà fare la differenza fra ricevere un’ambulanza in 14 minuti o in 35; avere accesso a uno screening di prevenzione oncologica con un’adesione del 76% o dell’1%; poter contare su macchinari diagnostici aggiornati o tecnologie obsolete.
Nel luglio 2024, la premier Giorgia Meloni e il ministro della Salute Orazio Schillaci hanno promesso una Piattaforma nazionale con dati aggiornati e comparabili sulle liste d’attesa. Ad oggi, però, questa trasparenza non esiste: i dati delle Regioni non sono pubblici. E se mai lo saranno, ciò avverrà dopo le elezioni regionali. Abbiamo fatto una prova sul campo: cosa succede quando viene prescritta una colonscopia con codice di priorità B, che per legge va garantita entro 10 giorni? Marche (Ascoli Piceno): prescrizione 5 settembre, risposta: «Al momento non ci sono posti disponibili, la prendiamo in carico per farla contattare entro 5 giorni». Calabria (Reggio Calabria): prescrizione 5 settembre, appuntamento 10 settembre 2025, ma in una struttura a due ore e mezzo di auto. Toscana (Firenze): prescrizione primo settembre, appuntamento 12 settembre. Veneto (Venezia): prescrizione 11 settembre, nessun appuntamento disponibile, inserimento in lista di attesa. Puglia (Bari): prescrizione 26 agosto, primo appuntamento disponibile 2 ottobre 2026. Campania (Napoli): prescrizione 26 agosto, nessuna disponibilità in tutta la provincia di Napoli. Può essere che poi davvero richiamino entro 5 giorni per dirti quando ti daranno l’appuntamento, ma il cittadino deve fidarsi del Servizio sanitario. Altrimenti prenota subito a pagamento anche se magari fa fatica ad arrivare a fine mese.