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 2025  settembre 21 Domenica calendario

La sete è ormai l’arma letale per gli sfollati: dieci dollari per cento litri di acqua potabile

Un secchio bianco, uno nero e una tanica di plastica sono appoggiati sulla sabbia. «Stiamo aspettando che portino l’acqua per riempirli», racconta ad Avvenire una donna di 28 anni originaria del Nord della Striscia, vicino al nuovo rifugio che ha trovato a Khan Yunis. Manda la foto dei contenitori, per spiegare come ci si procuri da bere nella zona. «Cento litri di acqua costano 10 dollari. È quanto spendo ogni giorno, anche per lavarmi, cucinare, sciacquare i piatti, andare in bagno e pulire la tenda. Cerchiamo di mantenerci puliti perché qui è tutto inquinato, ho paura che potremmo ammalarci e non ci sono cure». Racconta che donatori da Europa e Paesi arabi inviano denaro per fare giungere autobotti fra la popolazione.
E ci sono le Nazioni Unite e alcune Ong, che però non bastano. Nella Striscia il 96% delle famiglie ha sperimentato infatti una situazione di insicurezza idrica, ha riferito il 17 settembre il Wash Cluster, coordinamento tra organizzazioni umanitarie Onu e non governative.
«Qui non c’è un posto vicino dove rifornirsi d’acqua, e nessun ente ufficiale la distribuisce
» ci racconta una famiglia arrivata al campo di al Nuseirat. «Alcuni privati e operatori di stazioni di desalinizzazione girano per le strade e la vendono. Dieci litri noi li paghiamo due shekel, più di mezzo dollaro. Per cucinare, lavarci e fare il bucato finora abbiamo usato la stessa acqua. Gli edifici attorno utilizzano pozzi a energia solare, per usi non potabili. Ma noi viviamo nelle tende e il sistema è diverso». Dopo quarantotto ore di silenzio per il blocco di Internet a Gaza City, è tornato online Zakaria Bakr, un pescatore che si trova ancora in città e che riferisce di «attacchi da terra, dall’aria e dal mare, e aerei che sparano a intermittenza». Qualche giorno fa ha perso due famigliari. «Portiamo l’acqua a casa riempiendo taniche, il che è molto faticoso e insufficiente. L’acqua per bere e cucinare viene fornita da organizzazioni tramite i camion. Attorno, si crea un affollamento soffocante di persone, perché non è disponibile tutti i giorni. Per l’igiene, l’acqua non potabile arriva in quantità molto ridotte dalle condutture comunali, però sempre fuori servizio», Secondo l’Ocha (Nazioni Unite) al 9 settembre il 69 per cento (520 su 756) delle strutture di approvvigionamento idrico e dei servizi igienicosanitari si trovava in aree soggette a ordini di evacuazione o in zone militarizzate da Israele. Già a febbraio, l’Interim Rapid Damage and Needs Assessment (Irdna) stimava poi che oltre l’89 per cento delle strutture fosse distrutto o danneggiato, tra pozzi, bacini idrici, pompaggio di acque reflue e impianti di desalinizzazione. Si lavora, malgrado la guerra, per ripristinarli. Il 13 settembre, la rete Bani Suhaila Mekorot che rifornisce Khan Younis è stata riparata. Il numero dei desalinizzatori operativi a Khan Yunis e Deir al-Balah è aumentato da uno a sei, e di recente è stata inaugurata la conduttura finanziata dagli Emirati Arabi Uniti che collega il centro di desalinizzazione sul lato egiziano del valico di Rafah alla Striscia meridionale.
La guerra non colpisce solo gli impianti fissi. Medici senza Frontiere ha denunciato che il 15 settembre le forze israeliane hanno aperto il fuoco su un’autocisterna «chiaramente identificabile» della Ong mentre distribuiva acqua potabile a Gaza City. Percorso e orari erano stati comunicati in anticipo alle autorità israeliane, assicura Msf, che poi commenta: «Si è trattato di un deliberato tentativo di sabotare la distribuzione. (…) Costringere le persone ad andarsene prendendo di mira i rifugi e le infrastrutture rimanenti non è solo brutale, ma anche illegale».