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 2025  settembre 21 Domenica calendario

Intervista a Cecilia Zorzi

L’oceano non fa paura, non è solo una sfida: è una opportunità. Alle 15,30 parte da Les Sables-d’Olonne la traversata Mini Transat, e al via c’è un’italiana che vuole provare a cambiare il mondo della vela: Cecilia Zorzi, trent’anni, partita dal Lago di Caldonazzo in Trentino per approdare su una barca da poco più di sei metri in mezzo all’oceano Atlantico, in solitaria, senza contatti con la terraferma. Prima tappa fino alle Canarie, lungo stop in attesa di far sfogare gli uragani, poi vele spiegate verso Guadalupa.
Cecilia Zorzi, com’è riuscita una trentina della Val di Fiemme, terra di sciatori di fondo, ad arrivare alle traversate atlantiche?
«L’acqua mi ha sempre attirato, anche se in famiglia nessuno è mai andato per mare. Sono stata fortunata, i miei genitori mi hanno supportato, lasciato seguire quel che mi faceva felice anche se sapevano che l’imprevisto può capitare: a sei anni mi hanno messo in barca loro».
Due mondi così diversi, mare e montagna.
«Ma non quanto si crede. Nell’oceano trovo tante sensazioni ed emozioni simili alla montagna.
Soprattutto all’alba e al tramonto, momenti che in genere viviamo all’interno della civiltà. Invece se vai a farti un giro in mare e vedi il sole che scende nel silenzio ti senti come in montagna, nel bosco, di notte, quando ascolti solo i campanacci delle mucche. Una dimensione non esclude l’altra, anche se nella vela d’altura ho trovato il mio posto, la mia pace. Voglio capire cosa si sente quando sei un puntino in mezzo all’oceano. In vita mia non ero mai arrivata oltre le Azzorre, navigare fino ai Caraibi con le tue forze è tanta roba. Ma ora mi trovo sul pontile della Vendée Globe, il giro del mondo senza scalo e assistenza che partirà nel 2028, e già sogno una sfida ancora più grande».
Dove vive per realizzare al meglio i suoi progetti?
«In Bretagna, a Lorient. Qui c’è una grandissima cultura della vela offshore, centri di allenamento che attirano i turisti. Ma la costruzione della mia barca nel cantiere l’ho seguita vivendo a Santa Marinella negli ultimi due inverni».
Lei è attivista Lgbt e si sta impegnando per cambiare il mondo
della vela: da cosa vuole cominciare?
«L’oceano ci insegna che là fuori siamo tutti velisti, ci siamo solo noi, il mare e basta. Questa lezione ce la dobbiamo portare a terra. In un momento difficile del Paese, dobbiamo far capire che abbiamo il diritto di essere qui a realizzare inostri sogni, indipendentemente dal nostro genere e orientamento. Nella vela vogliamo rompere lo stereotipo del Capitan Findus, il navigatore oceanico visto come un omone in barca».
Come si può incidere concretamente su questi cliché?
«Abbiamo creato un gruppo che sichiama Rudder Rebels. Siamo partite all’inizio con un gruppo di ragazze che volevano condividere la loro esperienza, navigare, fare sorellanza, organizzare tavole rotonde per affrontare queste problematiche. Abbiamo aperto a un ragazzo trans, ma poi ci siamo rese conto che questa dimensione è riduttiva, perché ci sono tanti che vorrebbero cambiare questa visione patriarcale. Abbiamo accolto tutte le persone che non accettano il sistema in cui viviamo da troppo tempo. Qui a Les Sables-d’Olonne c’è stata una bella affluenza alla nostra serata».
Ci sono altri progetti simili o siete partite da sole per ora?
«UpWind ha creato programmi di formazione per donne impegnate nella vela offshore, con l’obiettivo di schierarne almeno una al via della prossima Route du Rhum. È stata selezionata anche l’italiana Francesca Clapcich, che ormai vive negli Stati Uniti e insieme alla moglie sta crescendo la sua bambina. Nel progetto UpWInd è massima l’attenzione alla terminologia e all’inclusione».
Come giudica la regola che prevede una donna a bordo nella prossima America’s Cup?
«Posso raccontare una mia esperienza. Quest’estate sono stata invitata all’Admiral’s Cup, il Mondiale di vela d’altura a squadre che ora si disputa con una donna e un under 27 a bordo. Ci ho messo un po’ a ingranare, ero preoccupata pensando a come avrebbe vissuto la mia presenza un equipaggio formato al settanta per cento da velisti che navigano insieme dall’America’s Cup del 2007. Ma poi ho visto che si fidavano, e senza la regola della donna a bordo questo non sarebbe mai successo. Sarà lo stesso per Coppa, la regola può far storcere il naso a qualcuno perché lascia a terra grandi velisti, ma sarà fondamentale per far entrare le donne in quel circolo».
Insomma, ha cominciato a sognare Luna Rossa?
«Il sogno lo tengo stretto, anche nella scorsa coppa femminile a Barcellona c’era una possibilità ma stavo partendo col mio progetto. Mi piacerebbe tantissimo viaggiare su quegli aggeggi, mi manca la velocità di quel tipo di vela. Vedremo, intanto il richiamo dell’oceano è ancora più forte».