la Repubblica, 20 settembre 2025
Ex Ilva, la gara è a rischio flop i sindacati: “Stop alla cassa”
La vertenza ex Ilva è sempre più densa di incognite. Le scadenze fissate per la prossima settimana – 24 settembre tavolo azienda- sindacati per la cig, 26 settembre offerte di acquisto – potrebbero non essere risolutive. Che il complesso siderurgico fosse sull’orlo del baratro, con un solo altoforno attivo a Taranto e perdite che sfiorano i due milioni al giorno, era noto. Adesso che Acciaierie d’Italia, nella riunione al ministero del Lavoro, ha certificato la drammatica situazione, il timore della chiusura è reale. Soprattutto fra i sindacati. Incassato il rinvio del tavolo al 24 settembre (l’azienda vuole la cig per un massimo di 4.450 lavoratori), Fim Cisl, Fiom Cgil e Uilm chiedono di essere convocati aPalazzo Chigi per avere certezze.
Ammesso che la vendita degli impianti vada in porto e si riesca a dismettere gli altiforni a carbone, bisognerà fare i conti con un diverso fabbisogno occupazionale. I forni elettrici, infatti, richiedono un terzo della manodopera degli altiforni a carbone: si passerebbe dagli attuali mille a circa trecento addetti per ognitonnellata di acciaio. L’ipotesi di assorbire gran parte degli esuberi con la realizzazione a Taranto di quattro impianti di Dri, il preridotto di ferro necessario per i forni elettrici, è sfumata dopo il no dell’amministrazione del capoluogo jonico alla nave rigassificatrice per l’approvvigionamento di gas liquido.
Questo scenario ha spinto gli azeri di Baku Steel, con i quali era stata avviata una trattativa riservata, a sfilarsi. Entro venerdì il governo aspetta le offerte degli indiani di Jindal International, del fondo statunitense Bedrock Industries e di eventuali altri player. In ogni caso si tratterà di una svendita. La procedura di cessione è tornata indietro di un anno. Se dodici mesi fa l’obiettivo era quello di ricavare almeno un miliardo, fra valore degli asset e magazzino, adesso ci si dovrà accontentare di una cifra vicina allo zero. Tutto sembra favorire Jindal: il gruppo indiano sarebbe in grado di rifornire i forni elettrici del preridotto fatto in Oman. I potenziali acquirenti, che potrebbero siglare intese con altri player interessati a singoli asset (nei mesi scorsi si è parlato del gruppo Marcegaglia), sanno bene di andare incontro ad un aumento dei costi di produzione e di rilevare un complesso i cui impianti sono a fine ciclo. Questo significa che, almeno fino a quando il processo di decarbonizzazione non sarà completato, saranno necessari continui interventi di manutenzione con un rallentamento della produzione e aumento dei costi. Altre incognite che rendono il percorso sempre più accidentato.