corriere.it, 21 settembre 2025
Caffè verso i 2 euro a tazzina: perché i prezzi salgono (e crescono le alternative, dai ceci al dattero)
I dazi arrivano in tazzina. Il prezzo medio di un caffè espresso al bar in Italia potrebbe raggiungere i 2 euro entro la fine del 2025, con un incremento superiore al 50% rispetto al 2020. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui negli ultimi cinque anni il costo del caffè è salito da 0,87 a oltre 1,30 euro, con punte a 1,43 euro in alcune città del Nord. Alla base dei rincari ci sono i cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti in Brasile e Vietnam, l’aumento dei costi energetici e logistici, l’inflazione e le nuove normative ambientali Ue. Il mercato italiano resta comunque solido, con consumi annuali pari a 327 milioni di chili di verde e un valore complessivo di 5,2 miliardi di euro, destinato a superare i 6 miliardi entro il 2030.
«Per i consumatori italiani la questione non è soltanto economica. Il caffè incide per meno dell’1% sulle spese annuali delle famiglie, ma ha un valore simbolico enorme: è il rito quotidiano che accompagna la socialità, la pausa di lavoro, il saluto tra amici. Se il suo prezzo diventa proibitivo, il rischio è che venga percepito come un lusso e perda quella dimensione democratica che lo ha reso unico nel mondo. Per i produttori e i distributori la sfida è invece difendere i margini, sempre più compressi dai costi, puntando sui segmenti premium e monoporzionati che offrono redditività fino al 60%. Non a caso, diverse aziende stanno sperimentando alternative al caffè tradizionale, dai ceci ai semi di dattero, per rispondere alle sfide climatiche e ridurre la dipendenza dai raccolti tropicali», dice il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore.
Ma perché cresce il prezzo del caffè? L’impennata è il risultato di una concatenazione di fattori che si sommano lungo l’intera catena del valore, dalla produzione agricola fino alla distribuzione.
Sul banco degli imputati c’è il cambiamento climatico: siccità persistenti in Vietnam e piogge torrenziali in Brasile – Paesi che insieme producono circa metà del caffè mondiale – hanno ridotto i raccolti e destabilizzato l’offerta. Nel 2024 il prezzo dei chicchi grezzi è aumentato fino all’80%, mentre i futures sull’Arabica hanno toccato livelli record, alimentati da fenomeni speculativi. Come segnalato da diverse aziende i dazi americani del 15% sul caffè dall’Italia avranno poi un impatto significativo sulla marginalità e sulla decisione o meno di alzare i prezzi ai consumatori.
A questi si è aggiunto l’incremento dei costi energetici, con gas ed elettricità che pesano fortemente sulla fase di torrefazione, e quello della logistica internazionale, appesantita dalle congestioni nei porti strategici come Suez e dal raddoppio dei noli marittimi. L’inflazione ha inciso ulteriormente, gonfiando i costi per imballaggi e manodopera, e la speculazione finanziaria ha accentuato la volatilità dei mercati: nel 2024 i futures del Robusta hanno superato i 4.000 dollari a tonnellata, e nell’agosto 2025 l’Arabica ha sfiorato i 360 dollari per libbra, con un rialzo annuo superiore al 40%.
Per il Centro Studi incidono anche le nuove normative europee contro la deforestazione. Norme che hanno imposto agli importatori sistemi di tracciabilità e certificazioni che, se da un lato rafforzano la sostenibilità ambientale, dall’altro comportano costi aggiuntivi soprattutto per i piccoli produttori, trasferiti a cascata sui listini finali. Una tempesta perfetta che rende plausibile la corsa verso i 2 euro per tazzina entro la fine del 2025.