Corriere della Sera, 21 settembre 2025
Intervista a Pier Luigi Battista
Nella vita di Pierluigi Battista ci sono un prima e un dopo. Questo è il prima.
«Dal post-Sessantotto fino al 1975, quasi alla maggiore età che all’epoca era a ventun anni, ho frequentato gruppi e gruppetti della sinistra parlamentare. E ho pensato e gridato cose orribili».
Sembra una citazione di Nanni Moretti.
«Per andare alla guerra contro mio padre, che pur essendo un liberal-conservatore era stato fascista nella Repubblica di Salò, mi sono messo con gente che era come mio padre. Ideologia totalitaria lui e ideologia totalitaria gli altri, solo che dall’altra parte. Ci sono cose di cui mi vergogno ancora».
Per esempio?
«Di aver fatto un volantinaggio a favore della rivoluzione culturale cinese, una follia che era costata milioni di morti. Ma l’elenco è lungo».
Andiamo avanti.
«Alla Feltrinelli rubavamo Stato e rivoluzione di Lenin. Pensi che scemi».
Non si ruba. È reato.
«A parte che non si ruba. Ma una volta che ti sporchi le mani con un furto, che fai, ti metti a rubare Stato e rivoluzione di Lenin? Ruba Anna Karenina, ruba la Metamorfosi di Kafka, se devi rubare! Comunque sia, Lenin e tutta quella robaccia l’ho buttata nella spazzatura dopo l’ultimo trasloco, con immenso godimento. Anna Karenina e la Metamorfosi li ho tenuti, sono stati parte del mio dopo».
Com’è passato dal prima al dopo?
«Grazie a mio padre. Un giorno torno da un corteo, rauco per aver urlato “Lollo libero!” per ore».
Lollo nel senso di Achille Lollo, uno degli incendiari del rogo di Primavalle?
«Nell’aprile del 1973, in un quartiere popolare di Roma, Primavalle, in un incendio doloso ai danni della casa del segretario locale del Movimento sociale erano morti i suoi due figli; il piccolo non aveva neanche dieci anni. Quasi tutta la stampa si schierò a favore dell’innocenza del gruppetto di Potere Operaio guidato da questo Achille Lollo, che era finito a processo. Mio padre mi prese da parte e mi fece vedere le carte».
Quali carte?
«Quelle dell’inchiesta, che aveva perché era uno degli avvocati di parte civile. “Tieni, non dovrei perché è materiale coperto dal segreto istruttorio e non farò mai più una cosa del genere. Leggi e non rompere i coglioni!”».
Lesse?
«Sì. Non c’era dubbio alcuno che erano stati loro, come anche Lollo avrebbe confessato anni dopo. Da quel giorno chiusi con quella robaccia del marxismo-leninismo, della sinistra extraparlamentare e affini. Avevo preso l’impegno di fare campagna elettorale per Democrazia proletaria alle elezioni del 1976 e lo portai a termine. Ma nel segreto dell’urna votai per i Radicali di Marco Pannella».
Per chi ha votato nella sua vita?
«Radicali, socialisti, una volta forse repubblicani e nel 1994 Berlusconi».
Questa è una rivelazione.
«Non l’ho mai confessato, lo faccio adesso. Ero troppo spaventato da quelli là».
Quelli là chi, la sinistra?
«Quelli là: il partito dei giudici di Mani Pulite, i manettari, il popolo dei forconi, degli arresti in massa. Mi facevano terrore, mi facevano orrore».
Nella Seconda Repubblica non ha mai votato a sinistra?
«Una sola volta per Walter Veltroni sindaco di Roma. Poi non ho votato per anni e sono tornato a non votare».
Ultimo voto?
«Un voto suicida, al Terzo Polo di Renzi e Calenda alle Politiche del 2022».
Voglia giovanile di giornalismo?
«Zero. Ho iniziato alla casa editrice Laterza, alle collane storiche».
E poi?
«Non sapendo che cosa farsene, la Mondadori mise Storia illustrata come allegato di Epoca; chiamarono me a dirigerla e Giuliano Ferrara a fare il direttore editoriale e la firma testimonial, visto che all’epoca lavorava praticamente solo per la televisione ed era già famosissimo. Il matrimonio tra le due testate fu un mezzo disastro».
Perché?
«I lettori di Epoca bramavano foto di donne nude. Non sapevano che farsene di un allegato in cui il massimo del brivido erano cose tipo “ecco il carteggio segreto tra Mussolini e Churchill” o “la storia della famiglia reale spagnola”».
Come finì?
«Male. Storia illustrata chiuse e io finii a Epoca, nel bel mezzo della guerra di Segrate per il controllo della Mondadori. Poi, quando Paolo Mieli andò a dirigere la Stampa, mi assunse insieme a Filippo Ceccarelli, Paolo Guzzanti e Alberto Statera».
Il sodalizio con Giuliano Ferrara si ricompose a Panorama.
«Giuliano, che faceva già il Foglio con le mitiche riunioni al caffè Radetzky di Milano, direttore. Io condirettore. Durò pochissimo. Il tempo di assistere in diretta ai primi segnali del Ferrara devoto».
Quali erano?
«Quando tornavamo a Roma prendevamo l’aereo assieme. Io, che ho sempre avuto paura di volare, al decollo mi abbandonavo a irripetibili gesti scaramantici. “E basta con quelle mani. Piuttosto, prega!”, diceva lui».
Poi, nel 2004, dopo essere ritornato alla Stampa, Battista è arrivato al Corriere della Sera con i galloni da vicedirettore di Paolo Mieli. Ha conservato la carica fino al 2010. Una delle costanti della sua esperienza giornalistica e di commentatore è stata ed è ancora la grande attenzione a Israele. È in uscita per la Nave di Teseo «Il professore ebreo perseguitato due volte», la storia dell’amara vicenda dell’anatomista Tullio Terni: cacciato dall’università nel 1938 per le leggi razziali e poi epurato dall’Accademia dei Lincei nel 1946 perché era stato fascista, lo scienziato ebreo si tolse la vita con una pillola di cianuro il 25 aprile 1946, a un anno esatto dalla Liberazione. Quella pillola la conservava in tasca dal 1943, da inghiottire nel caso fosse finito nelle mani dei tedeschi.
Perché questo libro adesso?
«Perché siamo esattamente al 1938, all’alba delle leggi razziali. Lo vede il clima che c’è in giro nei confronti degli ebrei?».
Un coro le risponderebbe: e lei lo vede che cosa sta succedendo a Gaza?
«Non ne dubito. Perché siamo ormai nel pieno infantilismo del dibattito politico, dove ormai si vive di manicheismo scemo tra oppressori e oppressi. Ci sono quelli che sono classificati tra gli oppressori? Allora, la loro morte non indigna. Ci sono quelli che sono censiti tra gli oppressi, tipo gli islamisti? Allora, che gli sia consentito tutto: a qualcuno frega qualcosa delle gru con gli impiccati in Iran o delle condizioni delle donne in Afghanistan?».
A lei, par di capire, sì.
«Dopo il 7 ottobre vivo una condizione di profondo disagio perché ho capito che anche con la maggior parte delle poche persone con cui avevo una condivisione dei valori di fondo, ecco, anche con loro non si può parlare».
Netanyahu le piace?
«Spero si levi di torno prima possibile. Ma temo che non succederà: può persino rivincere le elezioni».
Non le pare di esagerare con il riferimento al 1938?
«Ai giornalisti ebrei non è concesso di parlare nelle università».
Non succede ovunque.
«Succede ad Harvard come a Torino, dove gli studenti ebrei si tolgono la kippah prima di entrare all’università sennò li corcano di botte».
Hanno fermato i manifestanti Pro Pal, a Roma...
«Ma l’ha capito dove volevano andare o no? Volevano raggiungere la sinagoga».
Perché raccontare ora la storia di Tullio Terni?
«Primo, perché la conoscono in pochi. Secondo, perché è la spia del fenomeno più occultato del post-fascismo».
Quale?
«Le leggi razziali favorirono l’ascesa del fior fiore del mondo accademico-culturale dell’antifascismo del Dopoguerra. Al momento della promulgazione, gli ebrei erano il 7 per cento del corpo dei docenti universitari, quindi una bella fetta. Non c’è una lista di chi ha preso il loro posto anche se i nomi sono facili da ricostruire».
Lei li conosce?
«Sì ma preferisco non farli. La bibliografia del mio libro dice già molto».
C’è Concetto Marchesi, uno dei più grandi latinisti del Novecento, iscritto al Partito comunista...
«...Eugenio Garin, Norberto Bobbio, l’elenco è lunghissimo. Ma nessuno lo fa. Il punto sostanziale, al di là dei nomi, è stato l’andazzo: più eri stato favorito dal fascismo prima, più nel Dopoguerra ti sei accanito dall’altra parte per ripulirti. Al povero Terni, invece, non è rimasto che il suicidio. Cacciato prima, cacciato dopo».
Il fascismo sta tornando?
«Il fascismo è un fenomeno storico. C’è la stampa libera? È consentita l’attività dei sindacati e dei partiti? Ecco, se la risposta alle due domande è sì, non c’è fascismo».
Trump?
«Trump è fascista nelle intenzioni. E sono fascisti nelle intenzioni anche quelli della sinistra woke, quelli della cancel culture, quelli che non vogliono far parlare gli ebrei».
Meloni le piace?
«È brava ma ha un problema grossissimo: i suoi».
Schlein?
«Non ha difeso Liliana Segre dagli attacchi antisemiti dopo averla portata per anni come una Madonna pellegrina, quando gli serviva in chiave anti-Meloni. Per questa gente non voterò mai».
Chi sono oggi le persone che sente più vicine?
«Quelle con cui riesco a discutere e a litigare tranquillamente: Paolo Mieli, Ernesto Galli della Loggia, Giuliano Ferrara, che sono un po’ i miei fratelli maggiori».
I suoi maestri?
«Lucio Colletti e Alberto Asor Rosa».
Marxisti entrambi. Il secondo, Asor Rosa, fino alla morte.
«Ma persone che vivevano e consentivano il confronto culturale aspro. Non gente che voleva vedere morto chi non la pensava come loro. Oh, dopo questa intervista mi massacreranno».
Le daranno del brontolone.
«Quello dipende dal fatto che sto invecchiando. Ma è la parte più bella della vecchiaia. Gli acciacchi, le malattie, le analisi che non vanno bene, certo; ma vuoi mettere la libertà di dire tutto, ma proprio tutto, quello che ti viene per la testa?».