Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  settembre 21 Domenica calendario

Manovra, più entrate e meno spese per interessi Ma troppe richieste al Mef

 Il miglioramento del rating sull’Italia, da BBB a BBB+, deciso da Fitch l’altro ieri, che segue l’analoga promozione decretata da Standard & Poor’s lo scorso aprile, rasserena la cornice entro la quale il governo dovrà mettere a punto la manovra di finanza pubblica per il 2026. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, fa il suo lavoro e avverte che non c’è alcun «tesoretto» da spendere. Un mettere le mani avanti comprensibile da parte di chi ha fatto della «prudenza» di bilancio la sua linea, raccogliendo per giunta risultati incoraggianti: non solo il giudizio positivo delle agenzie di rating ma anche una sensibile riduzione dello spread con i bund decennali tedeschi, sceso venerdì a 78,6 punti, «il minimo da quindici anni», rivendica la premier Giorgia Meloni. Il che, come riconosce lo stesso Giorgetti, fa la differenza, nel senso che, ammette, si potranno fare cose che non si sarebbero potute fare con lo spread a 250 punti, com’era tre anni fa.
Per avere un’idea, l’Ufficio parlamentare di bilancio, lo scorso dicembre, quantificò in 17 miliardi di euro quanto lo Stato avrebbe risparmiato sulla spesa per interessi sul debito pubblico nel quinquennio 2025-29 (di cui 4,3 miliardi nel biennio 2025-26) in seguito al calo dello spread (allora da 145 punti nell’estate 2024 a 110 punti a fine anno) e alle previsioni sulla riduzione della curva dei rendimenti sui titoli di Stato. È vero, come ha osservato la presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, nell’audizione dello scorso aprile sul Documento di finanza pubblica, che nel frattempo i tassi di rendimento erano saliti (dal 3,6% al 3,9%) in seguito all’aumento dei rendimenti sui bund tedeschi per via delle maggiori spese per la difesa. Ma nella seconda parte del 2025 i rendimenti si sono stabilizzati intorno al 3,5% mentre, secondo i dati del Mef, il costo medio all’emissione dei titoli di Stato, che nel 2024 era del 3,41%, è sceso al 2,83%. Insomma, le stime dello scorso dicembre saranno pure da aggiornare, e l’autorithy lo farà presto, ma resta che dalla spesa per interessi dovrebbero arrivare risparmi, tanto più se la Bce taglierà i tassi. Così come altre risorse arriveranno dalle entrate: + 16,4 miliardi nei primi 7 mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024, come ha certificato Bankitalia. Nuovi margini arriveranno infine se il deficit, come dice Giorgetti, dovesse scendere sotto il 3% del Pil già nel 2025, il che farebbe uscire l’Italia dalla procedura europea di infrazione con un anno di anticipo.
Detto questo, e ribadito che Giorgetti non vuol sentir parlare di tesoretto, il problema è che sul tavolo del ministro dell’Economia c’è già un affollamento di richieste dei partiti di maggioranza per svariati miliardi, che non potranno essere accolte tutte. Bisognerà fare delle scelte. Dai 3 ai 5 miliardi – per giunta strutturali – serviranno per tagliare la seconda aliquota dell’Irpef dal 35 al 33% ed eventualmente aumentare il corrispondente scaglione fino a 60 mila euro, priorità indicata non solo dal viceministro per l’Economia, Maurizio Leo (Fratelli d’Italia), ma anche da Forza Italia. Operazione i cui costi potrebbero essere mitigati dando una ulteriore stretta alle detrazioni, in base al reddito e penalizzando le famiglie senza figli. Qualche miliardo servirebbe anche per coprire le priorità della Lega: da una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali (sarebbe la quinta) all’estensione della flat tax del 15% fino a 100 mila euro di ricavi (0ra 85 mila).
Schermaglie politiche a parte, diversi sono i capitoli in attesa di risposta: dalle risorse in più per la difesa alla conferma della detrazione del 50% sulle ristrutturazioni edilizie, che altrimenti scenderebbe, nel 2026, al 36%; dal potenziamento dell’Ires premiale per le imprese agli sgravi sul lavoro, tredicesima compresa, alla cedolare secca sugli affitti commerciali, chiesta dal ministro per il Pnrr, Foti.