Corriere della Sera, 20 settembre 2025
Alessandra Mussolini: «La vera storia di quando nonna Rachele tradì nonno Benito. Lei lo fece per dimostrargli che non era alla sua mercé»
Alessandra Mussolini, qual è il suo primo ricordo di nonna Rachele?
«C’è sempre stata. Io sono del 1962, lei è morta nel 1979. La ricordo a Villa Carpena, in Romagna: io ero inappetente, lei mi faceva girare il mais sulla griglia, mi dava pane olio e sale, che mi piaceva da morire. Poi mi portava le uova dal suo pollaio, ma io facevo solo finta di mangiarle: l’uovo crudo non lo reggevo».
Che nonna era?
«L’opposto dell’altra, nonna Romilda».
La madre di sua zia, Sophia Loren, e di sua mamma, Maria.
«Nonna Romilda era alta, bionda, bella, affusolata, sempre truccata, tacchi alti e gonna lunga. Nonna Rachele era bassina, ma aveva occhi azzurrissimi, lucenti, che parevano sempre illuminati dal sole. Mia figlia Clarissa ha i suoi stessi occhi, e gli stessi ricci biondi: le assomiglia».
Come si vestiva?
«Di nero. Unica nota di colore, a volte, un abito a pois. La rivedo con il grembiule, i capelli bianchi raccolti. La accompagnavo a fare la spesa a Predappio, sul corso. E poi sulla tomba di nonno Benito».
Era affettuosa?
«Abbastanza. Io la facevo ridere con le mie scenette, quando parlavo napoletano. Ma non aveva l’espansività della nonna del Sud, con le sue battute, la sua ironia. Nonna Rachele aveva una sua disciplina. A tavola si stava composte. Chi era tostissima, poi, era zia Edda. Pure con il gatto, che si chiamava Pippo».
Il gatto di Edda Mussolini.
«Un siamese. Era come lei. Quando mi ordinava “prendi il gatto e portamelo in camera”, io avevo paura. Perché se il gatto abbassava le orecchie diventava aggressivo, poteva saltarmi addosso e graffiarmi tutta la faccia. La zia era uguale. Una donna durissima. Rigida. Sempre sul chi vive. Entrare nelle sue grazie era una fatica. E in un attimo la perdevi».
Entrambe, sua nonna e sua zia, avevano vissuto una tragedia: un marito fucilato. Cosa diceva nonna Rachele del marito, il Duce?
«Aveva una venerazione per lui. Ma teneva al riserbo. Non se ne parlava. Però, come le dicevo, mi portava sempre sulla sua tomba. Un rito».
E sua zia?
«Ricordo un’intervista degli anni 70, in cui raccontava di quando da ragazza era stata mandata lontano da Villa Carpena, in collegio, forse per coprire qualcosa che non doveva vedere. Una storia d’amore. Sua madre, mia nonna Rachele, voleva essere libera di vivere la sua vita. Ma cosa fosse accaduto a Villa Carpena, non si sapeva. Mia mamma ha sempre negato. Con mio padre Romano non ne ho mai parlato. Era un po’ il segreto di famiglia».
Su questo segreto di famiglia lei ha scritto un libro, un romanzo – «Benito. Le rose e le spine», in uscita da Piemme —, che però racconta una storia vera. Da cui il rapporto tra i suoi nonni esce in una luce del tutto diversa.
«Quando andai a salutare per l’ultima volta la nonna in ospedale, le cadde di mano un ciondolo, su cui erano incise due lettere. Una era certo una R, come Rachele. L’altra era indecifrabile. Poteva sembrare una B. Ma poteva essere anche una C».
B come Benito. C come...?
«Come Corrado. Corrado Varoli. Un uomo che aveva affascinato mia nonna fin dall’adolescenza. L’aveva visto passare a cavallo, tutto elegante, con il frustino, e lei che era poverissima ne era rimasta colpita. Lui avrebbe voluto sposarla. Ma lei aveva scelto Benito».
Un marito infedele.
«I genitori erano contrari a quell’unione. Alessandro Mussolini, il fabbro di Dovia di Predappio, conosceva bene suo figlio: una testa calda, un uomo forte ma inaffidabile. Alessandro aveva perso sua moglie, Rosa, che era stata la maestra di Rachele. E anche la madre di Rachele, Anna, era rimasta vedova. Così Alessandro Mussolini e Anna, che si erano amati in gioventù, andarono a convivere. E aprirono una taverna».
Ma non volevano che i loro figli, Benito e Rachele, stessero insieme.
«Provarono a trovarle un marito dabbene, il geometra Olivieri; ma mia nonna neppure lo guardò. E un giorno Benito arrivò con una pistola, dicendo: “Qui ci sono sei colpi. Se non mi date Rachele, il primo è per lei, e gli altri sono per voi”».
Ebbero una bambina, Edda, ma non si sposarono subito.
«All’inizio lui la portò in un alberghetto, perché non avevano casa. Fu Rachele a imporsi. Lui sfuggiva: “Non sono tipo da matrimonio”. Lei però insistette, e alla fine vinse. Non era così sottomessa com’è stata raccontata».
Ma fu tradita. Molte volte.
«La prima a presentarsi a casa fu una donna di nome Anita. Adesso le amanti si rivelano alle mogli su Instagram. Un tempo scrivevano lettere. Anita invece venne di persona. E raccontò a Rachele che aveva avuto una storia con Benito, ma aveva capito che non sarebbe mai stato suo. Rachele ne soffrì moltissimo».
Un’altra donna vicina a Mussolini fu Angelica Balabanoff.
«Lavoravano insieme all’Avanti!. Ma non si capì mai cosa ci fosse tra i due».
Lei nel libro non parla di Margherita Sarfatti.
«E neppure di Claretta Petacci. È un’altra la storia che mi interessa. Ho potuto ricostruirla grazie a un documento inedito, che mi è stato affidato da un mio parente di Predappio, Franco Moschi. È un manoscritto di trentotto pagine. L’autore è Augusto Moschi, nonno del mio parente e figlio di Aurelio Moschi. Aurelio aveva sposato una delle sorelle di Rachele, Rosina; era quindi cognato di Benito Mussolini».
Aurelio e Augusto Moschi frequentavano Villa Carpena.
«E furono testimoni di quello che accadde veramente. Certo, è noto che Benito piombò sgommando sulla sua auto per scoprire se la moglie gli era infedele. Ma ora conosciamo nei dettagli la vera storia».
Quale storia?
«L’amore tra Rachele e Corrado Varoli, che era stato non a caso scelto da mia nonna per lavorare a Villa Carpena come amministratore. Furono sorpresi da un’altra sorella di Rachele, Augusta, che entrò in camera con il vassoio della colazione e li trovò insieme. Il vassoio cadde a terra, il bricco del latte andò in mille pezzi. E Augusta disse subito che avrebbe avvertito Benito».
Perché?
«Perché era segretamente innamorata di lui. E aveva sempre avuto un rapporto difficile con Rachele. Mia nonna era la più piccola di cinque sorelle. C’erano anche due fratelli, morti bambini. Lei fu l’unica ad andare a scuola, a imparare a leggere e a scrivere. Ma gliela fecero pagare».
Lei nel libro racconta un’infanzia durissima.
«Il mattino in classe, il pomeriggio a badare ai maiali. Le altre compagne la prendevano in giro, oggi si direbbe che la bullizzavano. Un giorno la presero a sassate. Rachele si difese, ma fu colpita alla testa da una pietra. Scese al ruscello per lavarsi la ferita, e sull’altra riva vide per la prima volta un uomo che la fissava con occhi che non avrebbe mai dimenticato. Era Benito».
Diceva del rapporto difficile con le sorelle.
«Andò a casa di Rosina, che si era sposata, ma trovava umiliante farle da serva, dover svuotare il pitale del marito. Così andò a servizio da un uomo che la faceva dormire nel letto della ragazza che c’era prima: morta di tubercolosi».
Ma lavorò anche in una casa borghese, per la famiglia di un maresciallo.
«Una casa in cui c’era un gran viavai di uomini. Il maresciallo l’aveva incaricata di riferirle cosa faceva la bellissima moglie. Che si prostituiva. Per Rachele fu uno choc. Poi lavorò per un padrone violento, che sotto i suoi occhi picchiò la nuora incinta sino a farle perdere il bambino. Lei era stata relegata in uno scantinato; anche da anziana dormiva sempre con la luce accesa, perché aveva paura del buio. Fatto sta che fuggì. Tornò dalla madre e dalla sorella rimasta a casa: Augusta. Che le disse gelida: qui non c’è posto per te. E la cacciò».
Ma poi le parti si invertirono. Rachele divenne la moglie del capo del governo. E Augusta andò a stare con lei a Villa Carpena.
«Gliel’aveva chiesto Mussolini, forse anche per controllarla. Augusta decise di avvertirlo con una lettera che la moglie lo tradiva. Ma non sapeva scrivere. Così la dettò a sua figlia Giulietta, che la scrisse con la mano tremante».
E raccontò di aver sorpreso Rachele con un uomo?
«Non osò tanto. Disse che le cose non andavano più come prima. Ovviamente, Benito capì. E si precipitò a Villa Carpena, con la sua Alfa Romeo rossa. Affrontò Rachele. Che pianse. Ma non confessò».
E lui?
«Lui non poteva neanche credere che lei potesse mentirgli. Non riusciva ad accettare che lei potesse desiderare un altro. In ogni caso, le ordinò di far sparire quell’uomo, di togliergli il lavoro».
Ma perché Rachele l’aveva tradito con Corrado, secondo lei?
«Non per vendetta. Anzi. Per riequilibrare la situazione. Per vedere cosa si provava a fare quello che lui aveva fatto spesso: stare con un’altra persona. E, in qualche modo, anche per riconquistare il marito».
Mussolini come reagì?
«Finse di crederle, la salutò, e si mise in viaggio verso Roma. Ma poi ebbe un ripensamento. Un’intuizione. E tornò indietro. Mia nonna aveva invitato a cena Corrado, per dirgli di persona che doveva andarsene. Vicino a Villa Carpena c’era una pattuglia della polizia, cui Rachele aveva dato un incarico: segnalare l’arrivo dei visitatori. Quando arrivava una persona qualsiasi, un colpo di clacson. Quando arrivava il marito, tre colpi di clacson».
I colpi di clacson furono tre.
«Corrado capì che rischiava la vita, e fu preso dal panico. Si buttò in cucina, trafelato, facendo cadere le sedie. E qui entrano in scena i miei ricordi personali. A Villa Carpena si entrava in un salotto con un grande tavolo rettangolare e un enorme camino. Una piccola porta conduceva in cucina. Da qui partivano due scale strette che scendevano una in cantina, l’altra nel ripostiglio. Erano i nostri nascondigli quando eravamo bambini. Proprio in quel ripostiglio, dietro qualche cassa di legno, si nascose Corrado, con il cuore in gola».
Mussolini lo trovò?
«Per fortuna no. Però aveva visto che la tavola era preparata per due. La storia finì. Tempo dopo, mia nonna fece in modo che si incontrassero, per chiarire l’accaduto. C’è una fotografia che li ritrae insieme: Corrado tutto elegante e un po’ imbarazzato, Benito con lo sguardo duro, quasi un ghigno».
Rachele poi si trasferì a Roma, a Villa Torlonia. Che influenza aveva sul marito?
«Questo non lo so, e il libro non ne parla. Non voglio entrare nella questione storica e politica».
Questa è una vera fortuna, perché il mio giudizio storico e politico su Mussolini è molto diverso dal suo.
«E che, non lo so? In questo libro, a me interessava raccontare Rachele in una luce nuova e autentica. Non una donna sottomessa, ma una personalità forte, che si è scontrata con quella irriducibile di un uomo che non c’era mai, eppure non se n’è mai andato davvero».
Dopo Edda arrivarono Vittorio, Bruno, suo padre Romano e Anna Maria. Che padre era il Duce?
«Più accondiscendente di Rachele. Abbiamo ancora le pagelle di mio papà, non sempre brillanti, firmate da suo padre. Mia nonna menava. Lui si preoccupava per i giochi pericolosi che Edda faceva con i fratelli a Villa Torlonia, ad esempio saltando da un tetto all’altro. Il maschiaccio di famiglia era lei, Edda. E Benito cercava di coprirla: Rachele non doveva sapere niente».
Rivide mai Corrado?
«Sì, un giorno del 1960, a Castrocaro. Per caso, in un ristorante. Lei ebbe un tuffo al cuore. Si parlarono per l’ultima volta, si sfiorarono la mano. Ma ormai era troppo tardi».
Non ebbe più altri uomini, dopo la morte di Mussolini?
«No. Ma non è mai stata, come nell’immaginario collettivo, la donna sottomessa che sta a casa ad aspettare. E quel tradimento d’amore finì per rafforzare il legame con il suo uomo; perché lui aveva capito che lei non era proprio alla sua mercé. La prevedibilità è la tomba del sentimento; e Rachele è stata imprevedibile. Anomala, per l’epoca. Ho scritto questo libro anche per renderle giustizia».
Crede sia vero quello che Mussolini scrive nell’ultima lettera alla moglie, prima di essere fucilato, in cui le giura di avere amato soltanto lei?
«Non lo so. So che la loro unione era stata puntellata da mille sacrifici, dalle disgrazie, dalle rivincite. Puntellata dalla storia. Una relazione esplosiva».
Ora lei Alessandra ha un figlio, promessa del calcio, che porta il nome di Mussolini.
«Si chiama così. Dalla nascita. Gli abbiamo dato entrambi i cognomi: il mio e quello del padre, Floriani. Non è che decide quale nome portare: si chiama Floriani Mussolini. Ha scelto di portare sulla maglia solo il suo nome di battesimo – Romano, come mio padre – e il numero dei suoi anni: 22».