Avvenire, 19 settembre 2025
«Scomparsi miliardi in Sud Sudan»
Sette anni dopo la tregua, il ritorno della guerra civile non è mai stato così forte nel Sud Sudan, secondo l’Onu depredato da una classe dirigente corrotta. E in Sudan l’epicentro della cruenta guerra civile si è ormai spostato nella città assediata di El Fasher in Nord Darfur dove gli abitanti assediati sono costretti a mangiare cibo per animali avariato.
È tornato a riaccendersi il conflitto etnico e politico in Sud Sudan quasi sette anni dopo la fine di una guerra che tra il 2013 e il 2018 aveva causato circa 400mila morti tra i sostenitori del presidente, Salva Kiir, e quelli del vicepresidente Riek Machar, che adesso è agli arresti domiciliari da marzo. Due giorni fa a Juba il ministero della Giustizia lo ha accusato di omicidio, terrorismo, tradimento e crimini contro l’umanità. È ritenuto colpevole di aver coordinato, con 7 co-imputati, un attacco contro una base militare nel nord del Paese causando l’uccisione di più di 250 soldati. Intanto un rapporto dell’Onu conferma le pesanti accuse di corruzione ai governanti. I funzionari del Sud Sudan secondo il Palazzo di Vetro hanno infatti dirottato miliardi di dollari derivanti dal petrolio, dall’indipendenza del Paese nel 2011, con comportamenti «predatori», prosciugando le finanze statali con conseguenze drammatiche per la popolazione. Il petrolio sudsudanese ha generato 25,2 miliardi di dollari (21,3 miliardi di euro) di entrate dal 2011, una somma il cui utilizzo risulta «quasi completamente oscuro», secondo la Commissione che agisce per conto del Consiglio dei diritti umani dell’Onu.
Parallelamente, il Pil pro capite è sceso a un quarto di quello che era all’indipendenza e il paese figura al 192esimo posto su 193 Paesi per il suo indice di sviluppo umano. Intanto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha deciso di estendere per un altro anno l’embargo sulle armi al confinante Sudan, mentre e un appello per una tregua di tre mesi tra l’esercito e i parami-litari delle Forze di supporto rapido, Rsf, lanciato con un appello congiunto da Usa, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi è caduto nel vuoto.
Le notizie che giungono dal nord del Darfur, dalla città di El Fasher assediata dalle Rsf, confermano il deterioramento delle condizioni umanitarie. Testimoni hanno riferito al Sudan Tribune che un nutrito contingente delle Rsf ha fatto irruzione due giorni fa nel villaggio di Tura provocando lo sfollamento di massa di migliaia di persone. Alcuni degli sfollati hanno deciso di fuggire verso la Libia. Tura era un importante centro commerciale dall’inizio della guerra nell’aprile 2023. Il suo mercato era una linfa vitale per El Fasher, fornendo beni essenziali dopo il collasso delle catene di approvvigionamento. Ora El Fasher è diventato il peggior campo di battaglia della brutale guerra civile sudanese. Da quasi 18 mesi la città del Darfur è sotto assedio da parte dei paramilitari che cercano di costringerla alla resa con la fame e hanno eretto un muro di terra lungo 20 miglia attorno ai suoi confini. Se i 260 mila residenti rimasti restano, rischiano di essere bombardati o morire di fame. Se fuggono, rischiano di essere uccisi, derubati o violentati.
I convogli alimentari delle Nazioni Unite, ha riferito il New Tork Times che da oltre un anno non riescono a consegnare cibo, sono stati attaccati dai droni mentre si avvicinavano alla città. Per sopravvivere, molti si cibano del mangime per animali, l’ambaz, soggetto a contaminazione di funghi soprattutto nella stagione delle piogge. Almeno 18 residenti sono morti nelle ultime settimane per averlo mangiato.