Avvenire, 19 settembre 2025
Il boom dei dissalatori nell’anno più secco
Da secoli ci si industria per bere l’acqua del mare. Basta farla evaporare e separarla dal sale. Ce ne parla persino Aristotele nella Metereologica del IV secolo a.C.: «Quando si trasforma in vapore, l’acqua salata diventa dolce, e il vapore, quando si condensa, non forma nuovamente soluzione salina; io stesso l’ho riconosciuto tramite la sperimentazione». In realtà, la dissalazione per distillazione è un processo di lunghissima data, ma inefficiente; dagli anni Ottanta si usano delle membrane semimpermeabili attraverso le quali si fa passare l’acqua salmastra ad una certa pressione che provoca la separazione delle molecole di acqua e del sale. Si chiama processo di osmosi inversa.
Trasformare l’acqua da salata a dolce non è mai stato necessario come oggi: quella che si sta per chiudere in Europa è una delle estati più siccitose di sempre. Secondo le rilevazioni dell’Osservatorio europeo sulla siccità (Edo), con oltre la metà (53%) dei terreni colpiti da siccità, agosto 2025è stato il mese più secco in Europa e più in generale nel bacino del Mediterraneo dall’anno di inizio delle osservazioni, il 2012. Più precisamente, dall’inizio del 2025, ogni mese ha registrato un record per il proprio periodo dell’anno, ma agosto 2025 è stato anche il mese più secco in assoluto.
La carenza d’acqua amplia la domanda di dissalatori. Ma c’è un problema economico, perché produrre un metro cubo di acqua potabile in Italia ha spesso dei costi superiori al suo valore di mercato. Questa è anche la ragione per cui gli impianti possono avere vita breve, generando costi ulteriori, in quanto le tecnologie descritte necessitano un continuo esercizio e una frequente manutenzione. Come un reattore nucleare, un dissalatore “deve” continuare a lavorare per esser efficiente.
«Oggi abbiamo 340 dissalatori nel Paese ma non sappiamo quanti sono efficienti» ammette Silvio Oliva, presidente di Andara (Associazione italiana della dissalazione), che ha organizzato il Primo Simposio Nazionale sulla Dissalazione, a Palermo, insieme alla Community Valore Acqua di TEHA (The European House Ambrosetti), Università di Palermo e Ordine degli Ingegneri di Palermo. Il settore è vitale, nel senso che la domanda è forte – secondo la community la capacità di produzione è destinata raggiungere 1 milione di metri cubi al giorno entro il 2030, con una crescita media annua del +6%, il doppio rispetto al volume registrato nel 2010, posizionando il nostro Paese tra i primi 30 al mondo per produzione di acqua dissalata, con una capacità oggi di 700.000 m³/giorno, secondo dopo la Spagna (peraltro più lungimirante di noi nell’investire prima che l’acqua diventasse una grave emergenza), e con un contributo pari a quasi l’8% della produzione di acqua dissalata dell’Unione Europea ma, precisa Oliva, «anche in questo campo è un continuo salto ad ostacoli della burocrazia che ci impone dalle venti alle trenta autorizzazioni per ogni operazione». Un’accelerazione è stata impressa dal Decreto siccità del giugno 2023.
Il quadro nazionale lascia perplessi esperti come Oliva. «Molti impianti sono vecchi e sotto i 1000 metri cubi al giorno e vanno aggiornati, se ne realizzano di nuovi, come quello pugliese di Val di Tara, finanziato dal Pnrr, e sta avanzando un modello che prevede la partecipazione di capitale privato, come a Palermo, ma spesso si sconta l’opposizione ideologica di chi non si informa e pensa che “consumiamo” l’acqua del mare». La salamoia, questo concentrato ipersalino che esce dal processo di dissalazione, ovviamente costituisce un problema ambientale e sono in corso studi per limitarne l’impatto: un dissalatore restituisce il 60% della risorsa che capta e l’acqua marina viene reimmessa nel bacino con una concentrazione salina almeno doppia alle 35mila parti per milione con cui è stata captata; lo stesso vale per la risorsa estratta dalle falde e ai bacini salmastri, quelli cioè che l’aggressione del cuneo salino rende inidonei tanto all’uso potabile quanto a quello irriguo. «Ma bastano degli accorgimenti, come una conduttura che scarica in alto mare, per non scompensare l’ecosistema marino» precisa il tecnico. Una competenza che non interessa, ad esempio, le associazioni tarantine schierate contro le pericolose salamoie… Il nemico vero della dissalazione, tuttavia, sono i bilanci. Un impianto oggi costa mille dollari al metro cubo di capacità installata e la produzione al metro cubo, che assorbe 3 chilowattora, costa 60 centesimi contro i 6 dei Paesi arabi. La differenza la fa, ovviamente, la bolletta elettrica e poiché produrre acqua dissalata finisce con il costare due euro al metro cubo, ti imbarchi in quest’impresa solo se sei costretto dalla penuria di risorsa idrica, dal momento che sul mercato puoi trovare acqua potabile ad un prezzo inferiore. Sarà anche per questo che alcuni impianti siciliani sono fermi da anni. «Alcuni gruppi industriali stanno lavorandoci – obietta Oliva – ma la sostenibilità economica di ogni impianto va valutata caso per caso». L’impiego dell’acqua dissalata è concentrato nel settore industriale, che assorbe oltre il 68% della capacità complessiva, mentre l’utilizzo a fini potabili è marginale, per quanto più di tre milioni di italiani già bevano acqua dissalata.
Spinto dalla siccità, il governo ha accelerato due anni fa sui dissalatori mobili di Gela, Porto Empedocle e Trapani, impianti con una portata complessiva di 96 litri al secondo, per i quali la Regione Sicilia ha stanziato 110 milioni di euro. Il piano prevede anche l’ammodernamento e la ristrutturazione del dissalatore di Porto Empedocle, che garantirà una produzione giornaliera superiore a 30.000 m³. Fra i grandi progetti previsti nel prossimo quinquennio ci sono Palermo (capacità giornaliera di 70 mila metri cubi e un investimento di circa 180 milioni di euro), Taranto (oltre 55 mila metri cubi/giorno e 100 milioni di euro d’investimento) e Brindisi (80 mila metri cubi/giorno e 100 milioni di euro). «Il quadro normativo – aggiunge Benedetta Brioschi, partner Teha– presenta, tuttavia, alcuni elementi limitanti come l’ammissibilità degli impianti di dissalazione subordinata alla presenza di una comprovata carenza idrica e assenza di fonti idropotabili alternative economicamente sostenibili».
Nella logica dell’economia circolare, il nostro Paese sta lavorando anche sul fronte del riuso delle acque reflue – con molti limiti, visto che la Francia riesce a riutilizzarle 4 volte più di noi – e delle acque meteoriche: recuperiamo solo 5,9 miliardi di metri cubi (11% del totale) a fronte di una disponibilità di 54 miliardi di metri cubi. Le grandi dighe sono datate, in quanto hanno un’età media di 58 anni e in alcuni casi raggiungono i 92 anni. I 340 impianti di dissalazione italiani sono quasi tutti localizzati nelle piccole isole. Nel mondo sono quasi 23 mila gli impianti, concentrati soprattutto in Medio Oriente (39%), che traina la crescita del settore, seguito dagli Usa, ma a livello internazionale cresce ancor più rapidamente il riutilizzo delle acque reflue (Usa) e industriali (Cina). Secondo gli analisti di mercato il solo settore della desalinizzazione – a livello mondiale supererà i 20 miliardi di dollari nel 2027 laddove nel 2024 si stimava inferiore ai 15. Il cambiamento climatico sta esercitando un’ovvia pressione: una persona su 10 vive in “stress idrico elevato e critico” secondo l’agenzia per l’acqua delle Nazioni Unite.