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 2025  settembre 19 Venerdì calendario

Beffato l’uomo dei diamanti di Anversa Il suo tesoro sparito dal tribunale di Torino

Il bottino che lo ha reso famoso – diamanti e gioielli per 150 milioni di dollari – non si è trovato mai e fin qui è cronaca nera consegnata alla storia del “colpo” del secolo al World Diamond Center di Anversa. Ma non è l’unico tesoro ad essere sparito tra quelli riconducibili a Leonardo Notarbartolo, 73 anni, la mente e il braccio del furto al caveau del 2003, due fortunate serie cinematografiche su Amazon e Netflix e un alone di mito criminale che lo accompagna da due decenni. Notarbartolo non trova più gioielli e diamanti per 300 mila euro: «Sono stato un ladro, ma anche un gioielliere – dice con malcelata ironia – e so quanto vale quello che è sparito. Stavolta però denuncio tutti perché il ladro, in questo caso, non sono io».
Ecco, sparito, qui sta il punto di tutta la vicenda. A distanza di 22 anni dall’impresa criminale per la quale ha scontato dieci anni di carcere, l’autorità giudiziaria belga ha finalmente risposto all’ultima delle 15 istanze di restituzione del materiale che gli fu sequestrato il giorno del suo arresto a marzo 2003 nella casa di San Bernardino di Trana, via Colombè, nel Torinese. Le ha firmate – tutte – il suo avvocato storico Basilio Foti. Materiale acquisito e «blindato» all’epoca dalla Squadra Mobile di Torino su delega dei magistrati di Anversa. Rolex e gioielli. Ma anche collane, anelli e diamanti che nei documenti dell’epoca sono registrati come «pietre trasparenti». Che per inciso non c’entravano nulla col colpo e che quindi – pur se con un lasso di tempo ampiamente divaricato dalla burocrazia che evidentemente non è male solo italiano – i magistrati stranieri hanno deciso che gli venga restituito. «Quando però lo scorso 12 settembre – racconta – mi sono presentato alla Squadra Mobile, in Questura, per ottenere indietro quei beni, di proprietà della mia azienda orafa di Valenza – ho preso atto che mancavano moltissime cose». Cosa? «Collier d’oro con diamanti, rubini, anelli preziosissimi: un sacco di roba guardi».
In Questura gli sarebbe stato riferito «che gli scatoloni con il materiale erano custoditi all’ufficio Corpi di Reato» del Tribunale, un locale interno a Palagiustizia in corso Vittorio Emanuele. Scala F, terzo piano del torrione. «Che erano due involucri – dice – e che non avevano altro da darmi». Morale: «Ho fatto presente che il verbale di sequestro (che esibisce, ndr) redatto dagli stessi poliziotti all’epoca dei fatti non corrispondeva al materiale restituito. Mancano decine di gioielli e il valore è rilevante».
Notarbartolo parla senza tentennamenti e i dubbi sul suo racconto sono presto fugati dal raffronto tra i due documenti a firma degli investigatori messi uno accanto all’altro. Diversi Rolex, alcuni gioielli e una ricetrasmittente erano custoditi nelle due scatole «sigillate con ceralacca e lacci» racconta, «ma c’è davvero troppa roba che non è tornata nelle mie mani e stavolta andrò fino in fondo». Notarbartolo annuncia che nei prossimi giorni presenterà una denuncia nero su bianco. Il suo legale Foti conferma: «È inevitabile che lo faccia per avere indietro quanto gli spetta». Secondo il racconto dell’autore del colpo del secolo «anche la polizia, di fronte all’evidenza degli ammanchi mi ha detto testualmente di regolarmi di conseguenza. L’ho inteso come un corretto esercizio del mio diritto a denunciare».
Si tratterà adesso di ricostruire passo dopo passo il percorso che quelle due scatole hanno compiuto in 23 anni. Dal momento in cui i poliziotti dell’epoca hanno apposto i sigilli ai beni finiti sotto sequestro fino al giorno in cui sono stati prelevati dall’ufficio «Corpi di reato» per tornare nelle mani del legittimo proprietario. Impresa complessa ma non proibitiva, che potrebbe aiutare a comprendere dove sta la falla di questa storia clamorosa. Comprese le consulenze che potrebbero essere state disposte sui gioielli, tecnica ancora oggi obbligatoria in Italia per appurare l’autenticità dei materiali e rubricarli correttamente. L’unica cosa certa è che quei beni erano sotto custodia dello Stato e non sono – a sentire il proprietario – tornati tutti indietro. «Ho pagato giustamente il mio conto con la giustizia, ma questo non vuol dire che debba subìre un furto dallo stesso Stato che ho riconosciuto nella sua funzione e nella sua legittimazione a condannarmi. Già in passato ho soprasseduto ad alcune situazioni spiacevoli, ma stavolta non intendo rimanere zitto». Sul «colpo» di Anversa solo una battuta: «Quel luogo era pieno di difetti e io li ho trovati tutti».