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 2025  settembre 19 Venerdì calendario

Nicola Piovani. Vi prego, spegnete la musica di sottofondo

Dodici anni fa, sulle colonne di questo giornale, espressi per la prima volta in pubblico il mio pensiero sulla musica passiva, cioè su quella musica che non ho deciso di ascoltare, ma devo sentirla per forza: o perché sto comprando l’insalata al supermercato, o perché sto per decollare su un aereo, perché sto in una boutique turistica, perché sto prendendo un caffè al bar, perché sto al ristorante chic, a bordo piscina, in palestra, sotto i ferri di un dentista di tendenza…
Scrissi quell’articolo pensando che additare questo costume – per me malcostume – della musica di sottofondo potesse suscitare un qualche consenso, creare un sentimento condiviso che ne rallentasse il dilagare. Invece, dopo dodici anni, il costume (malcostume) ha fatto passi da gigante: ormai non c’è luogo dove ci si possa difendere dal diffondersi straripante di questo blob musicale, da questa musica da parati che implacabilmente si insinua nel nostro vivere, nel nostro parlare, che ci impedisce di goderci in silenzio un bicchiere di vino, una partita a carte, una chiacchierata fra amici. In un bar uno schermo muto trasmette gli orrori di Gaza mentre in diffusione c’è una musichetta ballabile. L’horror vacui detta legge. Il silenzio sta diventando sempre più raro e prezioso, come aveva ben profetizzato Federico Fellini nel 1990, con l’ultima frase del suo ultimo film La voce della luna, affidata alla voce di Roberto Benigni: «Eppure io credo che se ci fosse un po’ più di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire». Trentacinque anni dopo, il silenzio è diventato sempre più un lusso prezioso.
Su questo tema credo che il costume, occidentale e non solo, sia ormai definitivo e allora ho definitivamente rubricato questo tema nel capitolo delle mie battaglie perse (non poche). Oggi mi limito alla difesa personale. Ad esempio, quando vado a fare un concerto fuori Roma, il nostro direttore di scena cerca un ristorante per far cenare dopo teatro tutti noi musicisti e tecnici. E chiede al telefono: «Ce l’avete nel locale la musica di sottofondo?». Se rispondono sì, cerchiamo un altro luogo. Ma a volte è impossibile, a quell’ora ci dobbiamo rassegnare a mangiare fettuccine con la cassa in quattro nelle orecchie che inquina le nostre chiacchierate dopo concerto.
Sia chiaro: l’inquinamento prescinde dalla qualità della musica che viene diffusa. Usata così, la musica è designificata, una canzone di Cohen vale una di Povia, Perez Prado vale Ravel, Brassens vale Califano. Un pedale di contrabbassi non si distingue dal rumore del frigorifero. Sono tornato in un hotel della scogliera amalfitana dove, anni fa, dalle finestre la sera entrava in camera il suono delle onde marine sulla battigia. Oggi in quella stessa stanza si sente la musica di una vicina discoteca, soprattutto le frequenze basse.
È una battaglia persa, come ho detto, e mi devo rassegnare: perché alla maggioranza dei clienti – dei cittadini – quest’uso della musica piace. La commessa di una jeanseria mi ha detto che la musica in sottofondo per l’intera giornata lavorativa le è di aiuto. Un negoziante mi ha detto che con la musica “vende di più” e un conoscente mi ha detto che con la musica a tavola si parla di meno, e questo per lui è un pregio. Insomma, la maggioranza ha diritto di godersi Arisa e Coltrane in sottofondo mentre sorseggia lo spritz, o aspetta il treno. La maggioranza va rispettata, e noi democraticamente la rispettiamo.
Però mi è venuta un’idea. Chiedo: sarebbe troppo sperare che i locali senza tappeti musicali – ce ne sono – fossero segnalati, raggruppati nell’informazione? Se sul sito fossero contraddistinti come locali “SMS” – Senza Musica di Sottofondo? – (o “music free” per chi è più trendy.) Potremmo introdurre il simbolo nelle guide, facilitare la ricerca telematica, che ci aiuterebbe a saltare i locali musicarelli, nel rispetto di tutti. Perché in democrazia la sacrosanta maggioranza decide. Ma il sale della democrazia è anche il rispetto delle minoranze.