Corriere della Sera, 19 settembre 2025
«Salto oltre i limiti come Spiderman»
Ha dormito pochissimo, travolto da emozione e messaggi. «Ero bello stanco, appena ho toccato il letto sono svenuto». L’Italia scopre Mattia Furlani, vent’anni, il ragazzo volante esce dal perimetro degli appassionati di atletica: l’oro mondiale di Tokyo è un passe partout che spalanca nuovi territori. Non c’è più bisogno, in Giappone, di sottolineare concetti triti («Sono nato in Italia, pago le tasse in Italia, mangio italiano, parlo italiano, romano e reatino: e il problema sarebbe la pelle nera? Ma dai…» ha detto l’anno scorso al Corriere), lo sport viaggia più veloce della società, è già oltre. Come per Nadia Battocletti, il trionfo passa dal flop al Mondiale 2023, un supplizio necessario: «Si cresce anche attraverso le lezioni della vita». Mattia si commuove rigirandosi tra le mani la medaglia vinta col personale (8,39), da campione, e parlando del nipotino in arrivo a novembre, figlio della sorella Erika: «Lo vizierò, cresceremo insieme, la medaglia è solo il primo regalo che ho in serbo per lui».
Finché non sento l’inno, non ci credo, aveva detto.
«Adesso l’ho sentito, è risuonato bello forte. È una medaglia che vale tanto, ma è solo l’inizio».
Campione del mondo battendo il record di precocità (22 anni) di un certo Carl Lewis: cosa significa?
«Lewis è sempre stato un punto di riferimento, spero di avvicinarmi a lui come medaglie e risultati. Datemi spazio, ho solo vent’anni. Ho bisogno dei miei tempi. Oggi pensare al record del mondo (8,95 m, Mike Powell, 30 agosto 1991, Tokyo ndr) mi sembra un’utopia».
Sul podio sembrava assorto.
«Ho visto mamma nel pubblico, e mi sono commosso. Ho pensato al nostro percorso insieme, a questa stagione: due ori mondiali, al chiuso a Nanchino e all’aperto a Tokyo, sono tanta roba. Ma questa medaglia pesa di più».
Powell era un atleta potente. Il record richiede una certa struttura fisica: arriverà a quella misura con la sua leggerezza?
«Lavoro per migliorare: tra gli obiettivi c’è anche irrobustirmi, passo dopo passo. Sono giovane, non ho finito di crescere, nei prossimi sei anni cambieranno un sacco di cose. Non bisogna avere fretta: sto imparando a essere paziente».
Più palestra all’orizzonte, quindi?
«La priorità è il fisico. Introdurremo metodologie di lavoro nuove. Ripartiremo su concezioni diverse, verificando come reagisco ai cambiamenti. Quali? Va chiesto a mamma: io eseguo i suoi ordini».
Come si è rilassato nei giorni giapponesi?
«Ascoltando tanta musica prodotta da mio fratello Luca».
È vero che da piccolo la sabbia della buca del lungo non le piaceva?
«Verissimo, mi dava fastidio. Preferivo la pulizia del materassone dell’alto, su cui atterrare».
Vacanze dove?
«Sarà una decisione last minute condivisa con Giulia, la mia ragazza. C’era una mezza idea di rimanere in Giappone ma sento di aver bisogno di tornare a casa almeno una settimana».
Non abbiate paura di sfidare il mondo, è il messaggio che ha lanciato ai suoi coetanei.
«Sì, lo ribadisco. Mettersi in gioco è fondamentale, invece tra gli adolescenti c’è chi preferisce defilarsi, per timore del confronto. Per rispetto di se stessi, almeno provare ad affrontare le proprie paure è doveroso. Io la vedo così».
Con l’oro lei diventa un modello da imitare. Quali sono i suoi, oggi?
«Per me il giamaicano Gayle, argento, atleta da 8,69, è un mito. Stare in pedana con lui è un onore. Ma soprattutto ho la possibilità di avere un rapporto con Marcell Jacobs, e di confrontarmi con lui. È un gran campione, un bel traino. Ci siamo sentiti, mi ha detto che correrà la staffetta».
Ci dà una notizia, Mattia. E poi?
«Mi ha fatto i complimenti. I suoi mi fanno particolarmente piacere».
Coach Khaty dice che non prevede limiti per lei.
«Eh vediamo, qualche obiettivo in testa ce l’ho».
Una misura?
«Secondo me oggi valgo 8,60. In allenamento è uscito, per farlo in gara ci devono stare tutte le carte in regola».
Lewis è rimasto imbattuto dieci anni.
«Dieci sono tanti! Con mamma lavoriamo per raggiungere gli undici…!».
C’è qualcosa di Lewis e Powell che vede in sé?
«Non saprei… Carl era il figlio del vento, la sua leggerezza è leggendaria. Powell aveva una struttura potentissima. Mi è capitato di incontrarli entrambi, a un evento, un paio di anni fa. Si sono fermati a parlare con me quando non ero ancora nessuno. Due grandi».
Se Lewis era il figlio del vento, lei chi è?
«Io sono Spiderman».
Vinto l’oro, torna un ragazzo ventenne.
«Infatti non vedo l’ora di trovare un playground per giocare a basket tre contro tre, impugnare la Playstation e ascoltare un po’ di trap coreana. Ho anche voglia di mettere i denti in un buon supplì. Al di fuori di Roma non li conosce nessuno, ed è un peccato».